Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

giovedì 12 ottobre 2017

Decine di migliaia di polacchi per il Rosario ai confini: "L'Europa rimanga l'Europa"

Nota (I) : Dopo 60 anni dal ritiro delle truppe dell'Unione Sovietica dall'Austria, grazie alla "crociata del Rosario", la Polonia intraprende una nuova crociata per difendere la Cristianità in Europa. La luce della Speranza arriva da est. Ricordando Don Bosco, "La guerra viene del Sud; la pace viene dal Nord. "

Nota (II)  : il presente blog verrà, per un periodo iniziale, aggiornato parallelamente alla nuova piattaforma Wordpress. Articolo consultabile anche nel lin: https://equitatusimperialis.wordpress.com/2017/10/12/decine-di-migliaia-di-polacchi-per-il-rosario-ai-confini-leuropa-rimanga-leuropa/


Marinai fermi a pregare in mare, la messa celebrata dall'arcivescovo di Cracovia nell'anniversario della battaglia di Lepanto e delle apparizioni della Madonna a Fatima.

Roma. Erano decine di migliaia i polacchi che sabato hanno formato catene umane lungo i confini del paese, pregando “Dio perché salvi la Polonia e il mondo”. Migliaia di persone strette l’una all’altra, coroncina del Rosario in mano, hanno segnato tutti i 3.511 chilometri del confine che separa Varsavia da Germania, Ucraina, Bielorussia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Mar Baltico. Perfino in mare, i marinai si sono fermati e hanno iniziato a recitare il Rosario. A presiedere la celebrazione eucaristica, trasmessa dalla locale Radio Maria, è stato l’arcivescovo di Cracovia, mons. Marek Jedraszewski, che ha invitato a pregare “per le altre nazioni europee, perché capiscano che è necessario tornare alle radici cristiane affinché l’Europa rimanga l’Europa”.

La data scelta non era casuale: il 7 ottobre, infatti, ricorreva l’anniversario della battaglia di Lepanto, che nel 1571 aveva bloccato l’avanzata ottomana in occidente. L’iniziativa è partita dai laici, con i vescovi che poi hanno appoggiato il programma. La conferenza episcopale polacca ha tentato, in qualche modo, di riportare l’evento a una dimensione prettamente spirituale, facendola coincidere l’imminente anniversario dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima, il 13 ottobre.  “Crediamo che se il Rosario venisse recitato da un milione di polacchi lungo il confine del paese, potrebbe cambiare non solo il corso degli eventi, ma anche aprire il cuore dei cittadini alla grazia di Dio. Cent’anni fa Maria ha affidato ai tre bambini portoghesi un messaggio di salvezza: pentitevi e offrite riparazioni per i peccati contro il mio cuore e recitate il Rosario”.

Battaglia di Lepanto

Fonte: Il Foglio


venerdì 29 settembre 2017

Cavalleria Cristiana - repetita iuvant

A distanza di quasi 7 anni, precisamente quando era il 20 Ottobre 2010, vigilia della ricorrenza del Beato Imperatore Carlo d’Austria, vogliamo, in data odierna 29 Settembre 2017, aggiornare la piattaforma del nostro spazio telematico, invocando ora non solo la protezione del Beato Imperatore, ma anche degli Arcangeli Mikaël, Gabriel e Raphaël.


 S.Raffaele, s.Michele e s.Gabriele


San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia; sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo, che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli; e tu, o Principe della milizia celeste, con la potenza divina ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni, i quali errano nel mondo per perdere le anime. Amen.
O glorioso Arcangelo san Gabriele, io condivido la gioia che provasti nel recarti, quale celeste messaggero, a Maria, ammiro il rispetto col quale ti presentasti a lei, la devozione con cui la salutasti, l’amore con cui, primo fra gli Angeli, adorasti il Verbo incarnato nel suo seno. Ti prego di ottenermi di ripetere con gli stessi tuoi sentimenti il saluto che allora rivolgesti a Maria e di offrire con lo stesso amore gli ossequi che allora presentasti al Verbo fatto Uomo, con la recita del Santo Rosario e dell’Angelus Domini. Amen.
O glorioso Arcangelo san Raffaele, che dopo aver custodito gelosamente il figlio di Tobia nel suo fortunoso viaggio, lo rendeste finalmente ai suoi cari genitori salvo e incolume, unito a una sposa degna di lui, siate guida fedele anche a noi: superate le tempeste e gli scogli di questo mare procelloso del mondo, tutti i vostri devoti possano raggiungere felicemente il porto della beata eternità. Amen.

La necessità di questo cambiamento è dovuta ai tempi che stringono e che stiamo vivendo, i quali richiederanno da noi un’opportuna risposta, sia umana che spirituale, in modo che non tutto vada perduto e qualche luce fioca brilli ancora, nonostante un apparente trionfo delle tenebre.

Riproponiamo ora, come all’inizio, le riflessioni di:

Primo Siena, Il mio itinerario metapolitico –  Introduzione a La Espada de Perseo, Metapolitica n.1-4, anno 2008

E’  autentica cavalleria cristiana quella degli umili ‘cavalieri erranti’ (nel duplice senso di andare e di errare) : simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito” E’ necessario avere “visione critica dei tempi moderni, riguardo alle ideologie quali espressioni di una cultura moderna, plagata di ambiguità che mettono in discussione qualunque principio di trascendenza. […] La politica oggi è troppo spesso “ridotta all’esclusiva ricerca di vantaggi naturali o all’ossessione del potere cinicamente perseguito, potrà recuperare la nobiltà del suo valore positivo ed essere restituita alla sua missione civica”. Dobbiamo trovare la forza interiore di rendere realtà il sogno affiorato di “un progetto di civiltà che permetta all’umanità del secolo ventuno d’incamminarsi verso la conciliazione personale e l’armonia sociale. Un procedere, quindi, lungo la dantesca diritta via che, nel solco dinamico della tradizione, conduca verso il modello sapiente della Civitas, restituita alla sua triplice ed essenziale vocazione: la vocazione civile espressa nell’arte fabbrile degli artisti e dei produttori; la vocazione politica espressa nell’arte cavalleresca dei guerrieri e dei condottieri; la vocazione religiosa espressa dall’arte dei monaci e dei sacerdoti.
La politica così concepita potrà proiettare l’arte del Buon Governo della Civitas Hominum negli spazi luminosi della metapolitica, ispirata dai principi e valori trascendenti del Regnum Dei.”  

{NOTA: il presente blog verrà, per un periodo iniziale, aggiornato parallelamente alla nuova piattaforma, https://equitatusimperialis.wordpress.com/blog/ }

 


giovedì 28 settembre 2017

La cristianità persa dalla Spagna

Stiamo assistendo nelle ultime settimane ad un aumento di tensioni interne in Spagna: ci riferiamo in particolare all'ondata indipendentista che sta investendo la Catalogna.

Facendo un confronto tra presente e passato della Spagna, si può tristemente constatare che tanta fede è andata perduta, mentre prima era radicatissima, il cattolicesimo era religione di Stato e i soldati si inginocchiavano davanti al Santissimo. Altro esempio, tra i tanti, di devozione è la scorta della Guardia Civil alle veggenti di Garabandal durante le apparizioni. [1]




Sono ben lontani i tempi di Ferdinando il Cattolico, di Carlo V - Nel mio regno il sole non tramonta mai, diceva - e del Generalissimo Franco.

Chi è che vuole la secessione della Catalogna? E perché?

È risaputo che i secessionisti catalani siano di ispirazione anticristiana (influenze già durante la guerra civile [2]), europeista e globalista: basti ricordare la manifestazione a Barcellona a favore dell'accoglienza dei rifugiati e le esternazioni della prima cittadina della capitale catalana contro i turisti (tra l'altro motore per la loro economia...).



In base a queste premesse, sarebbe facile pensare che ad istigare gli indipendentisti siano l'Unione Europea, Soros e i poteri globalisti. Tuttavia, la presa di posizione ufficiale degli uffici di Bruxelles, del presidente francese ultraeuropeista Macron e anche della stampa ordinaria sembra dimostrare l'esatto opposto: l'élite globalista non è favorevole ad iniziative secessioniste; assieme al portavoce della Commissione UE [3], lo ribadisce l'ex primo ministro francese Manuel Valls, il quale definisce una possibile secessione catalana "in una certa maniera, la fine dell'Europa". [4] Noi riteniamo che Valls, in questo caso, abbia ragione, pur non essendo suoi estimatori, perché il principale effetto di una secessione sarebbe quello di gettare ulteriore benzina sul fuoco dei nazionalismi. Inoltre, come osserva Lucio Caracciolo ne "L'Espresso", che l'unità dell'Europa passi attraverso la disintegrazione degli Stati, invece che sull'integrazione degli Stati nazionali, è piuttosto acrobatica. [5] Noi diremmo piuttosto, paradossale.



Che cosa sta succedendo allora, dietro le quinte della criptopolitica? È un'ipotesi concreta che, nella lotta in atto tra due élites oramai spaccatesi, la frangia nazional-conservatrice -da alcuni chiamata "sovranista" [6] - stia aizzando i catalani contro Madrid, per accelerare un collasso dell'Unione Europea. Il vento "populista" è tornato a soffiare e, appena domenica scorsa, i tedeschi hanno inflitto un duro colpo ad Angela Merkel e a Martin Schulz [7]. I nazional-conservatori hanno inflitto un colpo forse mortale ai globalisti, avendo messo ai vertici di Alternative für Deutschland una lesbica, convivente con una cingalese e con un figlio ottenuto da inseminazione artificiale: in questo modo, tutte le accuse di nazismo, razzismo, antisemitismo e omofobia non hanno senso. Anche perché, questa foto parla da sola:


Per questo, non ci illudiamo su miglioramenti di determinati fronti aperti, in particolare in Medio Oriente (vedi Siria), ma questo è un altro argomento.

Provando a guardar le cose con una visione metapolitica, sarebbe sicuramente una grossa perdita per la Spagna, se la Catalogna si dovesse staccare. Tuttavia, queste tensioni e questi attriti non sono nient'altro che un effetto della perdita di fratellanza spirituale e di fede, dovuta alla scristianizzazione dell'Europa, Spagna inclusa.
Ci si dovrebbe appellare al diritto internazionale, per evitare che le tensioni sfocino in una guerra civile; tuttavia, "il fondatore del "diritto internazionale", Ugo Grozio, aveva scritto che il diritto naturale esisterebbe ugualmente anche se Dio non esistesse. [...] Ora è evidentissimo che una normatività del tutto agnostica e terrena non ha alcuna garanzia di durevole rispetto."
[8]
Inoltre "è natura della guerra essere aggressiva e sanguinosa, ma è colpa dell'uomo essere caduto in uno stadio dove domina sovrana la guerra". Essa costringe l'uomo a fare per forza i suoi esercizi spirituali che per amore non fece. [9]

Riteniamo una secessione poco probabile, ma non poco dipenderà dal ruolo che avranno i Mossos d'Esquadra domenica 1 Ottobre. Nessun cambiamento, infatti, è possibile, se non vi è un supporto delle forze armate. Tuttavia, la guerra è dettata dalla legge cosmica ed è mossa da fili invisibili, che, se non in Spagna stavolta, avranno prima o poi, ulteriori effetti visibili, che serviranno a bere l'amaro calice e faranno da espiazione collettiva, se necessario. [10]


[1] http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&view=article&id=225679:garabandal&catid=83:free&Itemid=100021

[2] Un libro interessante di uno che ha visto e combattuto la guerra civile del 1936-39 dal vivo è "Omaggio alla Catalogna" di George Orwell.

[3] http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2017/09/28/catalogna-rajoy-non-va-a-vertice-tallin_65890ad9-e8ec-4ccd-87fe-dbf40fb62501.html

[4] http://www.equinoxmagazine.fr/2017/09/27/manuel-valls-lindependance-catalane-cest-fin-de-leurope/

[5] http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/09/22/news/la-sfida-della-catalogna-a-madrid-una-lezione-per-gli-europei-1.310659?refresh_ce

[6] http://federicodezzani.altervista.org/amministrazione-trump-ai-blocchi-partenza-perche-gioisce/

[7] http://federicodezzani.altervista.org/il-tempo-sta-scadendo-no-lincidente-di-angela-merkel-non-ci-voleva/

[8] Silvano Panunzio, Metapolitica. La Roma Eterna e la Nuova Gerusalemme.
     "IV. Sacralità della guerra e suo rito di espiazione cosmica." pp.104-105

[9] Ibidem.

domenica 17 settembre 2017

Il diritto a non emigrare

Continua il nostro dibattito sulla questione delle migrazioni: vogliamo ora riprendere dei discorsi e delle citazioni di Benedetto XVI e di S. Giovanni Paolo II sul "diritto a non emigrare".

Per cominciare, riportiamo alcuni punti salienti del Messaggio per la Giornata mondiale delle Migrazioni del 2013 [1], nel quale Benedetto XVI evidenzia che la migrazione comporta diritti e doveri:

"Cari fratelli e sorelle!
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha ricordato che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (n. 40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (ibid., 1). [...] Nella mia Enciclica Caritas in veritate ho voluto precisare, sulla scia dei miei Predecessori, che «tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo» (n. 11), riferendomi anche ai milioni di uomini e donne che, per diverse ragioni, vivono l’esperienza della migrazione. In effetti, i flussi migratori sono «un fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale» (ibid., 62), poiché «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» (ibidem). [...]

In effetti, fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza di un futuro ritorno alla terra d’origine. Fede e speranza, dunque, riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano, consapevoli che con esse «noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Enc. Spe salvi, 1). [...]

La Chiesa e le varie realtà che ad essa si ispirano sono chiamate, nei confronti di migranti e rifugiati, ad evitare il rischio del mero assistenzialismo, per favorire l’autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri.[...]
Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono. [...]
Rallegratevi poiché il Signore vi è vicino e, insieme con Lui, potrete superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro delle testimonianze di apertura e di accoglienza che molti vi offrono. Infatti, «la vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata» (Enc. Spe salvi, 49). 




Degni di nota sono anche alcuni commenti di un intellettuale francese, Philippe de Villiers [2], che cita anche il cardinale Robert Sarah:

"Papa Francesco propone di annullare ogni differenza tra i clandestini, gli immigrati  legali e i cittadini. Risultato: la cittadinanza appare come un concetto obsoleto di fronte al “diritto assoluto d’installazione  per i migranti”. Il multiculturalismo promosso da Francesco diverrebbe secondo lui il solo modello conforme al Vangelo. Il Migrante, con la M maiuscola,  appare  in una visione quasi cristica. Il patriottismo  diventa un peccato. Non si potrebbe essere cattolico  e patriota: è la doxa dei mondialisti.
Mai, in nessun momento, il papa  parla dell’immensa angoscia materiale, morale e spirituale dei cittadini dei paesi d’accoglienza, della loro insicurezza e del loro confronto tanto doloroso su base quotidiana con un’altra società dai costumi incompatibili.
La sollecitudine di papa Francesco è emiplegica:  anzitutto per i paesi d’accoglienza inondati, poi per  i paesi d’Africa  –  Nel suo libro “Dio o Niente” il cardinal Sarah chiede agli africani di sviluppare l’Africa e non sradicarsi.  Altrimenti saranno infelici, perché un uomo sradicato è un uomo impoverito, tagliato via dalla sua linfa e dalla sua memoria."
Tanti uomini e donne che oggi sono sradicati, si possono identificare non solo negli africani, ma anche nei sud europei di Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, oppressi sia dalle politiche di austerità, dettate dalla Banca Centrale Europea (a tutti gli effetti, esecutrice degli ordini di banche d'affari di oltreoceano) che dalle classi politiche corrotte delle nazioni d'origine.

Ultimi commenti, ma non meno interessanti, visti soprattutto i santi e gli pontefici citati, sono quelli di Laurent Dandrieu [2]:



Il papa prende posizione per la difesa dei diritti e dignità dei migranti, indipendentemente dal loro statuto immigratorio”: insomma reclama diritti uguali per i legali e gli illegali. E tra questi diritti mette “la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione”:  è un premio all’illegalità. Un  attentato fortissimo ai diritti delle nazioni e della cittadinanza. Perché la cittadinanza non esiste che per consenso sulla legittimità della legge. Se si postula che la legge è fatta per essere aggirata, non c’è più bene comune possibile”:
“San Tommaso d’Aquino scrive: “è proprio della pietà rendere culto ai genitori e alla patria” e , seguendo Sant’Agostino, sancisce che si deve la carità in priorità  a coloro che ci sono prossimi per legami di snague e di cittadinanza. Leone XIII scrive che “la legge naturale ci ordina di amare di un amore di predilezione e di dedizione il paese in cui siamo nati e cresciuti”. Pio XII insegna che “nell’esercizio della carità  esiste un ordine stabilito da Dio,  per cui si deve portare un amore più intenso e fare del  bene di  preferenza a coloro cui siamo uniti da legami speciali. Lo stesso Divin Maestro diede l’esempio di questa preferenza verso la sua terra ed il suo popolo  quando pianse per l’imminente distruzione della Città santa”.
Giovanni Paolo II ha molto sviluppato questa “teologia  delle nazioni”,  nazioni che egli non vede solo come un bene politico e uno strumento al sevizio del bene  comune, ma a cui riconosce una dignità spirituale  eminente: la nazione, spiega, di tutte le comunità umane, è “la più importante per la storia spirituale dell’uomo” . Va fino ad affermare che “la fedeltà all’identità nazionale possiede anche un valore religioso”.
…Papa Francesco scrive  anche: “L’integrazione non è un’assimilazione che porta a sopprimere o dimenticare la propria identità culturale”. Il problema è che questo multiculturalismo sbocca di fatto in un rifiuto di considerare la cultura del paese d’accoglienza come una cultura di riferimento, ciò  che rende de facto l’integrazione illusoria."

Fonti:
[1]  http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/messages/migration/documents/hf_ben-xvi_mes_20121012_world-migrants-day.html

[2] http://www.maurizioblondet.it/cattolici-francesi-papa-francesco-suo-immigrazionismo/



venerdì 14 luglio 2017

Santità, le nostre energie per dienderVi sono terminate.

Santità,

A seguito dei recenti fatti, che si susseguono quasi quotidianamente e devastano la reputazione della Santa Romana Chiesa, allo stesso modo di una diga che cede, siamo profondamente addolorati nel dover constatare che le nostre energie per difenderVi sono terminate.

I fatti principali che ci lasciano esterrefatti sono:

1) il continuo silenzio alle domande che i quattro cardinali Caffarra, Burke, Brandmüller e Meisner le hanno rivolto, esponendole i loro "dubia" sulla Vostra enciclica "Amoris Laetitia". Il Vostro silenzio continua nonostante una seconda sollecitazione, avvenuta alla fine dello scorso aprile.



2) La sorprendente e inaspettata rimozione del Cardinale Müller come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede.




3) Gli aberranti fatti riguardanti le orge sodomite a base di droga nelle stanze vaticane, con intervento e irruzione della polizia.




4) Le sue affermazioni nell'intervista con Eugenio Scalfari, che rivelano un pericoloso atteggiamento filomondialista e occidentalista, dato che siete arrivato alla conclusione che "l'Europa deve assumere al più presto una struttura federale. Le leggi e i comportamenti politici che ne derivano sono decisi dal governo federale e dal Parlamento federale, non dai singoli Paesi confederati". Inoltre, alcune righe prima avete affermato che temete "che ci siano alleanze assai pericolose tra potenze che hanno una visione distorta del mondo: America e Russia, Cina e Corea del Nord, Putin e Assad nella guerra di Siria".

Santità, da quel che ci risulta, i cristiani in Siria hanno riacquistato speranza dopo l'intervento della Russia e circa mezzo milione di profughi siriani stanno ritornando in Siria. Possibile che Assad e Putin siano così pericolosi? Inoltre, nessuno dei suoi predecessori ha mai visto male un dialogo tra Stati Uniti e Russia: dobbiamo tornare a situazioni come la crisi di Cuba?


 


Scalfari conclude il suo articolo con la frase: "Un Papa come questo non l'abbiamo mai avuto."

Siamo costretti a dire che quest'affermazione è vera, ma per un motivo ben diverso da quel che intende Scalfari.

giovedì 29 giugno 2017

Charlie Gard: occidente marcio fino al midollo

Durante il suo pontificato San Pio X affermò: "Oggi più che mai il regno di Satana risiede nella mollezza dei cristiani". Si parlava di un secolo fa. Possiamo dunque affermare che nei tempi odierni, sempre più bui, la vita di un bambino gravemente malato  non riesce ad esser salvata per la totale assenza della nostra fede, che potrebbe essere capace di smuovere le montagne? Questo è possibile. Se Charlie Gard dovesse morire, ci auguriamo che il suo sangue da martire possa risvegliare le nostre anime e renderci dei veri guerrieri, soldati di Cristo, contro questo nichilismo imperante, contro quest'occidente apostata di se stesso e non più al tramonto, ma nella sua notte più buia.
Affidiamo l'anima di Charlie alla protezione dei santi Pietro e Paolo, di san Giovanni Battista e santo Stefano martire, perché lo possano accompagnare alla gloria di nostro Signore Gesù Cristo e di Dio Padre Onnipotente. E perché possano intercedere per il perdono di tutti noi, che non abbiamo fatto abbastanza per salvare la sua vita innocente.

Vogliamo proporre ora, tra i tanti articoli scritti, quello che ci ha colpito di più, a firma di Mauro Bottarelli:

Onore a Charlie, guerriero “difettato” che morirà da vivo. In un mondo di falsi vivi, già morti dentro.

Pochissimi media hanno messo in evidenza una notizia arrivata ieri e, giocoforza, quasi tutti di ispirazione cattolica. La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo si è pronunciata sulla vicenda del piccolo Charlie Gard, affetto da una rara malattia genetica e ha dato ragione ai medici: si possono sospendere le cure che tengono in vita il bambino, nonostante l’opposizione dei genitori. Insomma, in un mondo che vede come massima espressione di progresso e giustizia lo ius soli, si arriva al paradosso di santificare una carta d’identità (e, più importante, in prospettiva una certificato elettorale) e di gettare nell’immondizia quanto di più sacro esista, al di là del credo religioso: il rapporto naturale e carnale tra genitori e figli. Insomma, quella brutta parola chiamata famiglia. Già, la famiglia, quella che anche i gay hanno il diritto di avere, figli contro-natura compresi, tanto ci sono le fabbriche di desideri in India o negli Stati Uniti, 50mila dollari e l’incubatrice umana è pronta a soddisfare ogni capriccio.

E poi ci sono Chris e Connie, papà e mamma di Charlie, i quali da ieri hanno una certezza: i giudici della Corte dei diritti di Strasburgo hanno deciso che loro figlio deve morire, perché è un surplus di vita in un mondo troppo razionale e moderno per accettare oggetti difettati. La sentenza di ieri mette infatti la parola fine a una lunga battaglia giudiziaria: conferma le decisioni prese dai tribunali britannici di staccare la spina al piccolo Charlie e ritira le misure preventive ordinate il 19 giugno scorso. Charlie deve morire, in nome del diritto e della scienza che non sa accettare i propri limiti: ovvero, che non si vive e non si muore solo in base all’esistenza di una cura o di un vaccino, si vive e si muore anche come testimonianza dell’umano e del mistero che esso porta con sé. E questo vale, paradossalmente, di più per chi come me non può appoggiarsi alla fede: negare una trascendenza, un senso di divino e di superiore, la necessità ontologica di una dimensione spirituale dell’uomo, equivale a negare la vita stessa.


La storia di Charlie è tanto breve quanto enorme. Nato il 4 agosto del 2016, gli è stata diagnosticata una rara malattia genetica, la sindrome di deperimento mitocondriale, la quale provoca il progressivo e inesorabile indebolimento dei muscoli. Per i medici del Great Ormond Street Hospital, il più importante ospedale pediatrico inglese, in cui il piccolo è stato ricoverato, la malattia è incurabile. Il piccolo Charlie, che è ricoverato in terapia intensiva, intubato e tenuto in vita da una macchina che lo fa respirare e nutrire, non ha speranze di sopravvivere a lungo. Per i dottori sarebbe meglio staccare la spina e evitargli ulteriori sofferenze. Ma i genitori si oppongono e tentano in tutti i modi di tenere in vita il loro figlio, dando vita a una battaglia giudiziaria. Volevano anche provare a sottoporlo a un trattamento sperimentale negli Stati Uniti e hanno lanciato una raccolta fondi per sostenere le spese, arrivando a raccogliere, ad aprile, 1,25 milioni di sterline da oltre 80mila donatori.

Quando il 12 aprile scorso l’Alta Corte inglese ha stabilito che i medici potevano staccare la spina, Connie Yates e Chris Gard hanno fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani, sostenendo che l’ospedale ha bloccato l’accesso a un trattamento per mantenere in vita il piccolo negli Stati Uniti, violando così il diritto alla vita e anche quello alla libertà di movimento, e denunciando, inoltre, le decisioni dei tribunali britannici come “un’interferenza iniqua e sproporzionata nei loro diritti genitoriali”. Ieri, poi, la sentenza di Strasburgo. Sentenza di morte, come tanto va di moda in questo periodo. Come dimenticare gli alti lai in onore di Thanatos quando Marco Cappato ha posto fine alle sofferenze di DJ Fabo, accompagnandolo a morire in Svizzera: sembra il 25 aprile della dignità umana e del giusto trapasso, una festa lugubre e laica di celebrazione della morte come inizio di una nuova vita liberata. Se ci pensate, è lo stesso pensiero che hanno in testa i martiri jihadisti che tanto ci fanno paura e contro cui opponiamo gessetti colorati, arcobaleni, concerti rock e mille altri, futili inni alla vita. Più che altro, inni al consumismo di una vita vuota che – giunta al suo limite scientifico – invoca la morte dignitosa. La stessa cosa che ha fatto l’altro giorno la figlia di Stefano Rodotà, la quale si è sentita in dovere di ringraziare i medici che hanno assistito il padre negli ultimi giorni, poiché – avendo li difeso i diritti per tutta la vita – gli hanno riconosciuto il diritto a non soffrire. 

Già, la sofferenza. Soffrire significa dolore, è una condizione che nessuno vuole patire. Ma sofferenza significa anche lotta, battaglia. E Charlie rappresenta, nella sua inconsapevole lotta per la vita che non ha e non avrà, l’ultimo guerriero di un Occidente ormai marcio nel midollo e, per questo, speranzoso di un ricambio etnico che dia nuovo sangue alla sua patibolare andatura verso il Nulla plastificato del moderno. In quale mondo un tribunale di meri esecutori del diritto può prendere una decisione che sovrasti quella dei genitori, quando si parla di vita o morte di un bambino? Quale mondo faustiano pone come limite, come confine tra giusto e sbagliato, la cartella clinica di un ospedale, fosse essa redatta anche dal più grande luminare vivente? Perché Charlie deve morire, adesso e in fretta?

Forse perché quel cuoricino che batte ha in sé la forza di un leone che ci fa sentire piccoli, pavidi e pusillanimi di fronte alla guerra quotidiana che non abbiamo più il coraggio di combattere? Forse perché quell’orsacchiotto che sta sempre con lui ci ricorda che esiste sempre una speranza a cui aggrapparsi per non arrendersi, fosse anche una speranza vana in partenza? Vogliamo davvero un mondo di toghe e camici che decidano del nostro destino in base a diagnosi e sentenze che creano un precedente? Charlie è vivo, anche se la sua vita non è come la nostra: chissà se sente qualcosa, magari dolore? Chissà se intuisce qualcosa, se almeno vede i colori e il buio che scende quando arriva la sera? Sicuramente sente il calore di mamma e papà, sempre lì accanto a lui: è questo che fa paura a questa immondizia di mondo che stiamo costruendo a colpi di sentenze e bio-testamenti, il Mistero.

Già, il senso di mistero che sta dentro la mano di una madre che tiene quella del figlio, infondendogli quella medicina non catalogata dagli enti preposti alla salvezza clinica e sanitaria dell’uomo: la Fede. Non in Dio, sia esso Allah o Visnù o Paperoga ma nella forza della vita contro la morte, nel valore stesso della battaglia, nell’onore della sconfitta che passa attraverso il sangue, i tagli, il dolore e le cicatrici. E’ redenzione, quanto di più laico e quasi blasfemo esista in questo mondo di teologi della morte spacciata per diritto assolutista. Un mondo che invoca il diritto alla speranza per i bambini che arrivano sui barconi dalla Libia ma che la nega al piccolo Charlie, oltretutto essendo così infame e codardo da nascondersi dietro sentenze di tribunali e pareri medici, quindi ammantando la sua condanna a morte come scelta nel bene del bambino, una fine dell’accanimento terapeutico che dovrebbe rientrare nell’ambito del concetto sacrale di pietas.

Charles Peguy diceva che “la speranza è una bambina irriducibile”, molto più importante delle sorelle più anziane, ovvero fede e carità. Una bambina che “va ancora a scuola/e che cammina/ persa nelle gonne delle sue sorelle… E? lei, quella piccina, che trascina tutto/perché la fede non vede che quello che è/e lei vede quello che sarà/la Carità non ama che quello che è/ e lei ama quello che sarà/Dio ci ha fatto speranza”. Peguy era cattolico e diceva che “Cristo passa meglio attraverso le ferite” ma non serve scomodare né Cristo, né ogni altro concetto di divino per capire che il piccolo Charlie rappresenta l’Occidente che non voleva arrendersi e che, invece, viene piegato dalle stesse leggi che dovrebbero proteggerlo e tutelarne l’avvenire, fosse anche un avvenire di poche settimane o mesi. I burocrati kafkiani di Strasburgo vogliono uccidere la speranza che Charlie incarna, perché finché ci saranno un padre e una madre pronti a tutto per il proprio figlio, anche a scalare la montagna dell’insondabile e dell’irrazionale, il mondo avrà un appiglio per i giorni bui.

Qui, invece, si vuole che il buio trionfi. Che la paura trionfi. Che la distruzione di ogni concetto di fede e spiritualità trionfi. Ineluttabilità del declino, spacciata per giacobinismo illuminante del diritto a tutto, via sentenza o diagnosi, deve essere la nostra nuova legge.

E Charlie rappresenta un intoppo a questo piano, perché Charlie rappresenta [...] la volontà di non arrendersi, la gioia della lotta nella consapevolezza della sconfitta, il pugnace spirito di chi non ha paura di combattere una battaglia impari, anzi ne riconosce la grandezza in fronte a se stesso, prima che al destino o a un Dio a cui votarla. Quando in quel lindo e straordinario ospedale londinese staccheranno i macchinari a Charlie e il suo piccolo cuore cesserà di battere, anche il nostro correrà un po’ meno. Quando Chris e Connie lo stringeranno per l’ultima volta, saremo noi a dire addio al residuo di umano che poteva ancora salvarci, nonostante ogni giorno porti la sua pena, sempre un po’ più grande.

Onore a te, quindi, piccolo guerriero che china il capo. Non per scelta ma per imposizione del nuovo Ordine della paura e della morte, supremo motore immobile del nostro declino. I tuoi pugnetti chiusi e i tuoi occhi “difettosi”, che scrutano la vita senza capirla, saranno le nostre armi. Micidiali e impietose col nemico. E chi preferirà restare comodamente sul divano, piuttosto che affrontare il destino a viso aperto, pagherà il prezzo più alto. Quello di dover vivere da morto. Non come Charlie, che morirà da vivo. E a testa alta. 

MAURO BOTTARELLI

Dal libro dell'Apocalisse:

[9]Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. [10]E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello". [...]
[13]Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: "Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?". [14]Gli risposi: "Signore mio, tu lo sai". E lui: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. [15]Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. 
[16]Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, [17]perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi". 
(Ap 7, 9-10, 13-17)

 

Fonte: https://www.rischiocalcolato.it/2017/06/onore-charlie-guerriero-difettato-morira-vivo-un-mondo-falsi-vivi-gia-morti-dentro.html 

 

domenica 18 giugno 2017

L’immigrazione, la Chiesa e l’Occidente. Parla Ettore Gotti Tedeschi







A seguito del martellante dibattito sull'acquisizione della cittadinanza italiana, gonfiato dagli organi di stampa per ordini ricevuti, vogliamo riportare un'intervista di un paio di mesi fa ad Ettore Gotti Tedeschi. Speriamo possa servire a far rivalutare certe posizioni che ci lasciano molto perplessi.


L'ex banchiere Ior spiega a Formiche.net come le vere cause del fenomeno migratorio non siano affatto quelle economiche.
 
 
Le motivazioni economiche non bastano a spiegare l’immigrazione di massa. E’ un fenomeno “previsto e voluto per modificare la struttura sociale e religiosa della nostra civiltà, in pratica, per ridimensionare il cattolicesimo”. Sono parole messe nero su bianco da Ettore Gotti Tedeschi nell’Ottavo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo curato dall’Osservatorio internazionale card. van Thuân sul tema immigrazione. L’economista e banchiere cattolico, già presidente Ior, ha affidato a un breve saggio le sue valutazioni, che dopo la presentazione del Rapporto a Roma hanno suscitato alcune critiche (qui e qui) insieme a commenti positivi.

Gotti Tedeschi, nel suo intervento lei parla di una “correzione fraterna” ad alcune istituzioni ecclesiali che non avrebbero compreso il problema dell’immigrazione. In cosa consiste questa correzione?
Sono rimasto preoccupato della solerzia umanitaria piena di toni emotivi che tende a ignorare i numeri del fenomeno e non affronta le cause del problema. Si direbbe infatti che ci siano tre “tabù” che oggi non si devono o possono affrontare razionalmente e in modo completo: il problema della natalità, dell’ambiente e delle migrazioni. Si direbbe che ci sia una volontà superiore, diffusa ed imposta, che non vuole che si discutano questi tre tabù. Così come si direbbe che ci siano “controllori” pronti ad usare ogni mezzo, inclusa l’intimidazione, affinché su questi tabù si accetti un pensiero unico: basta nascite perché l’uomo distrugge l’ambiente, facilitiamo perciò l’immigrazione perché è la miglior soluzione. Ci sono molti punti non chiari su tutti e tre i tabù, ma per rimanere in tema è bene sapere che i dati e le informazioni sulle immigrazioni regolari sono influenzati da accordi o “ricatti economici” con nazioni di partenza migrazioni. I dati e le informazioni sulle immigrazioni irregolari sono ancor meno chiari; si pensi che gli sbarchi irregolari in Italia nel 2016 (181.436) sono stati quaranta volte quelli del 2010 (4.406). E  ci si renda conto che il fenomeno della clandestinità è in aumento e  fuori controllo. Nel 2015 lo status di rifugiato è stato riconosciuto solo per il 5% dei casi, il 36% ha ricevuto assistenza umanitaria ed il 59% è stato rifiutato, ma non si sa dove sia. E si tratta di più di 100mila persone (su 153.842 sbarcati). Nel 2016  il dato è cresciuto, sono arrivate via mare 181.436 persone (18% in più del 2015) e gli irregolari espulsi con riaccompagnamento nel Paese di origine sono stati solo il 5%. In pratica, la cosiddetta clandestinità cresce ad un ritmo di 100mila unità all’anno, e i Paesi confinanti con il nostro ostacolano gli espatri.  Si tratta di dati forniti dall’Alto Commissariato dell’Onu sui rifugiati.

Perché non bastano le ragioni economiche per spiegare il fenomeno migratorio?
Il fenomeno migratorio viene spiegato, o meglio lasciato intuire, con tre principali cause: i conflitti, la povertà, il bisogno di manodopera. E’ evidente che queste tre cause esistono, ma da cosa sono spiegate, e se possano esser risolte, non viene quasi mai discusso. Prendiamo il primo, i conflitti. Fino ad una decina di anni fa venivano “spenti” praticamente sul nascere, poi si direbbe che siano stati tollerati (o persino provocati, si pensi alla Libia), mentre la vendita di armi verso vari Paesi cresceva e si ritiene che queste armi possano esser servite all’Isis. I conflitti che hanno generato migrazioni potevano esser soffocati o no? Prendiamo la seconda causa, la crescita della povertà. Non appare così vero il problema, se guardiamo i flussi migratori. Quelli provenienti da Paesi in vere difficoltà economiche sono tra il 5 e il 10%. Ma è importante notare come questa povertà sia anche dovuta a nostre mancanze negli ultimi dieci anni. Si vada a vedere le conclusioni del famoso G8 per l’Africa dove ci impegnavamo a sostenere investimenti e esportazioni dai Paesi poveri; che abbiamo fatto? Praticamente nulla. Infine, il bisogno di manodopera; il gap di popolazione per il crollo demografico rende necessarie le migrazioni? Ma chi o cosa ha provocato questo gap che oggi pretende di gestire? Chi ha imposto il crollo della natalità in Occidente e ora pensa di compensarlo con immigrazioni? In un momento di crisi economica, con un tasso di disoccupazione nel nostro Paese come l’attuale? Con un costo di accoglimento così gravoso per il nostro bilancio?
Io ho parlato dell’esigenza di chiarire le vere cause del problema, che altrimenti non si risolve, anzi si aggrava. I dubbi sul fatto che si vogliano disconoscere queste vere cause stanno anche nella confusione che regna in Europa. Si è mai pensato come mai i migranti siano prevalentemente giovani e sani? I meno giovani non temono i conflitti e la fame?

Veniamo al punto. Lei ha scritto che c’è un disegno per “ridimensionare il cattolicesimo”, ha parlato di un progetto di re-ingegnerizzazione gnostica del mondo che ha un nemico dichiarato: la Chiesa cattolica, e lo ha fatto citando il segretario dell’Onu Ban Ki-moon e il Rapporto Kissinger del 1974. Perché la Chiesa cattolica è il bersaglio?
Io credo proprio che il fenomeno migrazioni sia una delle (peggiori) conseguenze dei fallimenti del cosiddetto Nuovo Ordine economico Mondiale instaurato negli anni Settanta per regolare il necessario processo di globalizzazione. Invito a riflettere sul fatto che tutti gli obiettivi del Nuovo Ordine non solo non si son realizzati, ma si è prodotto esattamente il contrario: si volevano estinguere tutte la cause di conflitti, diseguaglianze, povertà, intolleranza religiosa, totalitarismi, e si è prodotto il risultato opposto, incluso un processo di migrazione forzato. Il vero grande “successo” del Nuovo Ordine è stato aver creato una crisi economica globale, a sua volta origine di altre conseguenze dannose. Dobbiamo poi riconoscere che c’è stato un altro “vero successo”: quello legato al processo dichiarato di relativizzazione delle fedi religiose, mirante alla laicizzazione delle stesse, con conseguente crollo dei valori morali e cambiamenti all’interno della Chiesa cattolica. Se osserviamo le conseguenze di questi fatti osservati, non possiamo non riflettere sul rischio (per alcuni) o opportunità (per altri) di una processo di reingegneria socio-religiosa ispirata certamente, e direi anche gestita. Se poi avessimo anche la pazienza di andarci a rileggere le dichiarazioni fatte dai leader internazionali negli ultimi quaranta anni, troveremmo materia di analisi sul fatto che “nulla succede per caso”. Non parliamo di teorie di complotto, parliamo di fatti.

Leggendo il suo saggio, viene da pensare che la stessa Chiesa cattolica finita sotto attacco non abbia capito quanto sta accadendo. E’ così?
Il cattolicesimo è una fede assoluta e dogmatica che pretende doveri verso il Creatore. Il mondo laicista non tollera questi “doveri”. Vede, il progetto di Nuovo Ordine Mondiale prevedeva più obiettivi strategici che andavano dal controllo delle nascite ai nuovi paradigmi etici verso le fedi religiose più dogmatiche, al fine di avere una sola grande religione universale. Negli ultimi quarant’anni non si è fatto altro che discutere sui nuovi obiettivi per l’umanità, poi abbiamo avuto l’11 settembre e tutto è cambiato, si è gestita opportunisticamente l’emergenza… Si è lasciato ben intendere che i diritti civili che il mondo meritava non avevano nulla a che fare con quelli insegnati dalla morale cattolica tanto che il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità arrivò a spiegare che l’etica cristiana non avrebbe più dovuto esser applicata in futuro. E Obama nel 2009 dichiarò che la salute è benessere psico-bio-sociale, e via ad aborto senza restrizioni, eutanasia grazie a limitazione cure, negazione al diritto di coscienza. Era evidente che il cattolicesimo era sotto attacco, no? Poi il segretario dell’Onu Kofi Annan nel suo storico discorso ai leader religiosi a New York nel 2000 arrivò a parlare di una esigenza di sincretismo religioso per creare una nuova religione universale, spiegando che i processi di immigrazione avrebbero aiutato questo progetto…

La Chiesa è rimasta a guardare?
Io non mi permetto di criticare le istituzioni ecclesiastiche, tantomeno il Papa; che mai potrebbe dire di diverso il Papa, se non esortare alla carità? Semmai resto perplesso di fronte ad affermazioni fatte da illustri membri di istituzioni che sembrano voler ignorare le cause e fanno proposte genericamente umanitarie, prescindendone. Ha mai visto risolvere un problema agendo sugli effetti anziché sulle cause? Come si può pensare di risolvere problemi di miseria materiale e sociale senza risolvere prima i problemi morali? Ma questi illustri ecclesiastici hanno letto e meditato su Caritas in Veritate e Lumen Fidei? E poi trovo sbagliato usare considerazioni morali-umanitarie facendo riferimenti sacri.

Qualcuno l’ha attaccata dicendo che con le sue teorie va contro il messaggio di Papa Francesco e si avvicina alle tesi di Trump e Salvini. Come risponde?
Avrà notato che da qualche tempo nel nostro Paese si son sviluppati due sport: gli “interpretatori del Santo Padre” e i “cacciatori dei dissidenti” (veri o inventati) del pensiero del Papa. Mancando argomenti inventano similitudini suggestive ed offendenti.

domenica 14 maggio 2017

CANONIZZAZIONE DEI BEATI FRANCISCO MARTO E JACINTA MARTO - OMELIA DEL SANTO PADRE


«Apparve nel cielo [...] una donna vestita di sole»: attesta il veggente di Patmos nell’Apocalisse (12,1), osservando anche che ella era in procinto di dare alla luce un figlio. Poi, nel Vangelo, abbiamo sentito Gesù dire al discepolo: «Ecco tua madre» (Gv 19,26-27). Abbiamo una Madre! Una “Signora tanto bella”, commentavano tra di loro i veggenti di Fatima sulla strada di casa, in quel benedetto giorno 13 maggio di cento anni fa. E, alla sera, Giacinta non riuscì a trattenersi e svelò il segreto alla mamma: “Oggi ho visto la Madonna”. Essi avevano visto la Madre del cielo. Nella scia che seguivano i loro occhi, si sono protesi gli occhi di molti, ma… questi non l’hanno vista. La Vergine Madre non è venuta qui perché noi la vedessimo: per questo avremo tutta l’eternità, beninteso se andremo in Cielo.

Ma Ella, presagendo e avvertendoci sul rischio dell’inferno a cui conduce una vita – spesso proposta e imposta – senza Dio e che profana Dio nelle sue creature, è venuta a ricordarci la Luce di Dio che dimora in noi e ci copre, perché, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il «figlio fu rapito verso Dio» (Ap 12,5). E, secondo le parole di Lucia, i tre privilegiati si trovavano dentro la Luce di Dio che irradiava dalla Madonna. Ella li avvolgeva nel manto di Luce che Dio Le aveva dato. Secondo il credere e il sentire di molti pellegrini, se non proprio di tutti, Fatima è soprattutto questo manto di Luce che ci copre, qui come in qualsiasi altro luogo della Terra quando ci rifugiamo sotto la protezione della Vergine Madre per chiederLe, come insegna la Salve Regina, “mostraci Gesù”.

Carissimi pellegrini, abbiamo una Madre, abbiamo una Madre! Aggrappati a Lei come dei figli, viviamo della speranza che poggia su Gesù, perché, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, «quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo» (Rm 5,17). Quando Gesù è salito al cielo, ha portato accanto al Padre celeste l’umanità – la nostra umanità – che aveva assunto nel grembo della Vergine Madre, e mai più la lascerà. Come un’ancora, fissiamo la nostra speranza in quella umanità collocata nel Cielo alla destra del Padre (cfr Ef 2,6). Questa speranza sia la leva della vita di tutti noi! Una speranza che ci sostiene sempre, fino all’ultimo respiro.

Forti di questa speranza, ci siamo radunati qui per ringraziare delle innumerevoli benedizioni che il Cielo ha concesso lungo questi cento anni, passati sotto quel manto di Luce che la Madonna, a partire da questo Portogallo ricco di speranza, ha esteso sopra i quattro angoli della Terra. Come esempi, abbiamo davanti agli occhi San Francesco Marto e Santa Giacinta, che la Vergine Maria ha introdotto nel mare immenso della Luce di Dio portandoli ad adorarLo. Da ciò veniva loro la forza per superare le contrarietà e le sofferenze. La presenza divina divenne costante nella loro vita, come chiaramente si manifesta nell’insistente preghiera per i peccatori e nel desiderio permanente di restare presso “Gesù Nascosto” nel Tabernacolo.

Nelle sue Memorie (III, n. 6), Suor Lucia dà la parola a Giacinta appena beneficiata da una visione: «Non vedi tante strade, tanti sentieri e campi pieni di persone che piangono per la fame e non hanno niente da mangiare? E il Santo Padre in una chiesa, davanti al Cuore Immacolato di Maria, in preghiera? E tanta gente in preghiera con lui?». Grazie, fratelli e sorelle, di avermi accompagnato! Non potevo non venire qui per venerare la Vergine Madre e affidarLe i suoi figli e figlie. Sotto il suo manto non si perdono; dalle sue braccia verrà la speranza e la pace di cui hanno bisogno e che io supplico per tutti i miei fratelli nel Battesimo e in umanità, in particolare per i malati e i persone con disabilità, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati. Carissimi fratelli, preghiamo Dio con la speranza che ci ascoltino gli uomini; e rivolgiamoci agli uomini con la certezza che ci soccorre Dio.
Egli infatti ci ha creati come una speranza per gli altri, una speranza reale e realizzabile secondo lo stato di vita di ciascuno. Nel “chiedere” ed “esigere” da ciascuno di noi l’adempimento dei doveri del proprio stato (Lettera di Suor Lucia, 28 febbraio 1943), il cielo mette in moto qui una vera e propria mobilitazione generale contro questa indifferenza che ci raggela il cuore e aggrava la nostra miopia. Non vogliamo essere una speranza abortita! La vita può sopravvivere solo grazie alla generosità di un’altra vita. «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24): lo ha detto e lo ha fatto il Signore, che sempre ci precede. Quando passiamo attraverso una croce, Egli vi è già passato prima. Così non saliamo alla croce per trovare Gesù; ma è stato Lui che si è umiliato ed è sceso fino alla croce per trovare noi e, in noi, vincere le tenebre del male e riportarci verso la Luce.

Sotto la protezione di Maria, siamo nel mondo sentinelle del mattino che sanno contemplare il vero volto di Gesù Salvatore, quello che brilla a Pasqua, e riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è missionaria, accogliente, libera, fedele, povera di mezzi e ricca di amore.







giovedì 11 maggio 2017

Sul centenario di Fatima: il legame con i sogni di Don Bosco

A due giorni dal centenario delle Apparizioni a Fatima, vogliamo riproporre alcune nostre riflessioni, basandoci anche sui sogni di San Giovanni Bosco. Ne riportiamo una parte degli scritti:

"Le leggi di Francia non riconoscono piú il Creatore, ma il Creatore si farà conoscere e la visiterà per tre volte con la verga del suo furore. [...]Parigi… Parigi! Invece di armarti nel nome del Signore, tu ti circondi di case di immoralità! Ma esse saranno distrutte da te stessa! L'idolo tuo, il Panteon, sarà incenerito, affinché si avveri che mentita est iniquitas sibi (l'iniquità ha mentito a sé stessa). I tuoi nemici ti metteranno nelle angustie, nella fame, nello spavento e nell'abominio delle nazioni. Ma guai a te se non riconoscerai la mano di chi ti percuote! Io voglio punire l'immoralità, l'abbandono, il disprezzo della mia legge! La terza volta, tu cadrai in mano straniera: i tuoi nemici vedranno da lontano i tuoi palazzi in fiamme, le tue abitazioni divenute un mucchio di rovine, bagnate dal sangue dei tuoi prodi che non sono piú! Ma ecco un gran guerriero dal Nord che tiene, nella sua mano destra, uno stendardo sul quale è scritto: "Irresistibile mano del Signore!" [1]

Alla luce delle ultime vicende riguardanti la Francia, tra personaggi politici al potere seguaci di eminenze grigie auspicanti la soppressione degli anziani, perché costosi per i bilanci statali, e "matrimonii" fatti di relazioni multiple (di queste aberrazioni aveva accennato pure dieci anni fa pure Francesco Cossiga), e primi atti di ribellione da parte di disoccupati, potremmo non esagerare a dire che la realizzazione delle profezie di Don Bosco sia vicina alla concretezza.

Abbiamo voluto citare Don Bosco, perché la connessione tra le profezie del santo fondatore dei Salesiani e la Santissima Vergine apparsa a Fatima esiste anche secondo il Cardinale cinese Joseph Zen, di cui riportiamo un'intervista ripresa dal blog di Marco Tosatti.


Vogliamo inoltre riportare alcune parti scritte dal grande studioso Silvano Panunzio, riguardo l'argomento:

"Del Papato, si intravede la crisi e la lotta interna ed esterna. Merita di osservare che, della Rivelazione di Fatima, si è data grottescamente, una spiegazione edulcorata. Ma Don Bosco conferma quella vera. La Piazza San Pietro verrà ridotta alquanto male e il Pontefice camminerà sulle sue rovine, dirigendosi all'estero, per poi tornare.



Intramezzando un nostro commento, si potrebbe dire che, in ipotesi ciò potrebbe riferirsi al penultimo Pontefice, quello previsto da San Malachia come de gloria Olivae. Invero, Pietro Romano ha altra storia e prospettiva e non rientra in questo quadro del veggente Salesiano.
Molto importante è l'assicurazione: la Nave di Pietro, sbattuta qua e là da grande tempesta, rimane indenne, perché ancorata a due colonne incrollabili: l'Eucaristia e il Culto della Madre Divina." [2]

Meriterebbero ora spazio anche i messaggi di Garabandal, dove si accennano a terribili fatti come "i sacerdoti porteranno il popolo di Dio sulla strada della perdizione", "sembrerà che la chiesa non ci sarà più" o "sarà difficile celebrare le messe". I fatti odierni ci inducono a pensare che queste profezie si stiano già realizzando, tra ambiguità sui sacramenti, prelati con relazioni omosessuali dichiarate, etc. etc.



Ma di Garabandal parleremo successivamente. L'essenziale è vigilare e pregare.


[1] I sogni di Don Bosco

[2] S.Panunzio, Vicinissimi a Dio "Summa Sanctitatis" (Cap. Miracoli di giorno, Visioni di notte - Don Bosco)

domenica 30 aprile 2017

Perché tornino a battere cuori di cavalieri

Proponiamo la recensione di un libro sulla crisi dell'uomo contemporaneo, scritto da Roberto Marchesini, già autore di "Quello che gli uomini non dicono". Concordiamo senza esitazione sulla necessità del recupero delle quattro virtù cardinali: Fortezza, Prudenza, Temperanza e Giustizia.


di Andreas Hofer (dal blog di Costanza Miriano)


 
L’uomo contemporaneo è in crisi di virilità. Roberto Marchesini in un aureo libretto traccia una preziosa mappa per permettergli di riscoprire se stesso e la grandezza della sua vocazione attraverso il difficile – e al tempo stesso esaltante – cammino delle virtù. Solo così nel petto dell’uomo del terzo millennio tornerà a battere il cuore di un cavaliere medievale. Le prime fra tutte le virtù sono, naturalmente, quelle dette “cardinali”.
A che serve un Codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio come quello che ha dato alle stampe Roberto Marchesini per Sugarco? Sappiamo quale sia la reazione quasi pavloviana del mainstream. Ma perché mai avere un codice? A che ci serve? Noi facciamo quello che ci pare e piace! È il principio alla base dell’edonismo di ogni tempo: lo scopo della vita sta nella ricerca del piacere.
Ma davvero cercare il piacere vuol dire fare quello che si vuole? Qui sta precisamente l’inganno della morale del piacere. Sì, perché fare ciò che ci piace non coincide affatto col fare ciò che si vuole, ci ricorda Marchesini – che in questa sua ultima fatica riannoda le fila di un discorso iniziato sette anni fa con Quello che gli uomini non dicono. E lo prova il fatto che ci si impegni in attività faticose, che esigono sacrificio (come lo sport, lo studio, il lavoro, ecc.) senza che nessuno ci costringa a farlo. Il piacere anestetizza, solleva dalla sofferenza. Ma non può dare senso alla nostra vita. Chi pensa solo a divertirsi (dal latino divertere, cioè allontanare, deviare) in realtà è qualcuno che cerca di allontanarsi dalla sofferenza. Il divertimento sottrae per un attimo fuggente dall’angoscia di una vita senza scopo, non di più.
Eccolo, il nemico mortale della morale del piacere: l’idea che la vita abbia un télos, uno scopo intrinseco, e che la vita trovi la sua piena realizzazione soltanto col compimento di questo scopo. L’imperativo del divertimento per tutti e a tutti i costi non vale che a consegnare la vita umana a un insensato eterno presente.
In verità c’è stata nell’Antichità una scuola filosofica che considerava il piacere come lo scopo della vita: la scuola di Aristippo di Cirene. A differenza dell’amico Socrate, Aristippo non disputò mai sul fine ultimo della vita accontentandosi di affermare che la felicità stava nella ricerca del piacere. Una posizione che aveva delle precise conseguenze sul piano morale. Se solo il piacere è la misura del bene, allora la virtù e l’amicizia non sono altro che beni strumentali, utili solo per la nostra convenienza. Per la scuola cirenaica nemmeno esisteva un ordine naturale. «Nulla è giusto o bello o turpe per natura, ma solo per convenzione (nomos) e consuetudine (ethos)», si legge in uno dei frammenti dei Cirenaici.
Uno dei discepoli più coerenti di Aristippo fu un certo Egesia, il quale sosteneva l’impossibilità di raggiungere la felicità (sempre intesa come piacere) poiché quaggiù sulla terra, a causa dei dolori del corpo, i piaceri si rivelano davvero pochi. E non esistendo altri valori all’infuori del piacere e dell’utilità tanto valeva allora darsi la morte. Questo radicale pessimismo valse ad Egesia il poco lusinghiero soprannome di “persuasore di morte” (peisithanatos), visto che molti, udite le sue teorie, si davano spontaneamente la morte. Per questo gli fu vietato di insegnare la sua deleteria dottrina nelle scuole.
Inutile dire dove aleggi oggi lo spirito di Egesia. Non è difficile intravedere la sua ombra dietro all’opera di quei manutengoli senza scrupoli che accompagnano, da novelli persuasori di morte, i fragili e i deboli verso i servizi eutanasici forniti a caro prezzo da alcune cliniche svizzere. L’imperativo del piacere promette una falsa liberazione. Non porta ad altro che alla schiavitù dalle passioni, non senza prima averci illusi di aver optato liberamente per la morte. Ma c’è libertà nella scelta del nulla? Non è invece un desiderio di onnipotenza che, come quello che ghermisce Kirillov nei Demoni portandolo al suicidio, è solo il tipico prodotto di una fantasia infantile? Dunque di una volontà immatura, non pienamente realizzata?
Le passioni, insiste Marchesini, schiavizzano se non sono dominate e orientate dalla retta ragione. Come sfuggire allora ai moderni discepoli di Egesia? Innanzitutto ricordandosi che la vita è fatta per essere spesa per qualcosa di superiore alla vita stessa. La vera felicità sta nel donare se stessi. E a questa paradossale felicità si arriva coltivando virtù come il coraggio, la prudenza, la temperanza, la giustizia.
Solo così l’uomo arriva a realizzare se stesso trasformandosi, come dicevano i latini, da homo (l’essere biologicamente di sesso maschile) in vir, l’uomo pienamente tale. È la virtus a rendere virile un uomo, non la semplice biologia (il fatto di essere nato maschio). Il maschio ha il dovere di diventare un uomo, attuando così il potenziale donatogli al momento del concepimento.
Come può il maschio diventare ciò che è in potenza, cioè un uomo? La virtù è come un abito (habitus). Per manifestarsi deve perciò essere indossata. Come diceva Aristotele si diventa coraggiosi se ci si comporta da coraggiosi.
Uno dei pregi indiscutibili di Marchesini è la capacità di mostrare con chiarezza, senza nulla concedere all’ampollosità, il legame organico tra quelle che canonicamente vengono definite “virtù cardinali”. E tali sono per la loro natura di perno, dunque di base che permette di articolarsi.
La prima tra le virtù cardinali è il coraggio (o fortezza), che non ha alcun grado di parentela con la temerarietà. Essere coraggiosi non consiste nel ricercare un annientamento fine a se stesso. Il coraggio non ha nulla a che vedere con la mistica della “bella morte”. È piuttosto la disposizione ad accettare il rischio di essere feriti, anche mortalmente, nella lotta contro il male. La fortezza pertanto presuppone un discernimento lucido tra il male e il bene. E questo giudizio richiede la virtù della prudenza, che a sua volta non si identifica con quella mediocrità anodina che rifugge ogni presa di posizione. Il vero prudente è il saggio che dopo aver individuato il bene lo abbraccia con risolutezza.
Un’altra virtù indispensabile è la temperanza. Le emozioni non vanno soppresse ma guidate. L’emozione (dal latino emovere, smuovere, spingere all’azione) serve a dare forza al nostro agire, serve a dare un corpo vibrante alle idee. Ma guai quando è l’emozione, cioè la passione, a guidare l’azione dell’uomo! Una emozione come il timore paralizza se prende il sopravvento. Solo se la guida resta salda in mano alla ragione il timore assolve la sua funzione ordinaria: quella di essere un segnale che ci indica il pericolo, che ci dice di stare attenti. Per questo oltre al coraggio e alla prudenza è necessaria una terza virtù: la temperanza, che ci permette di dominare le passioni orientandole verso il bene.
Infine c’è una quarta virtù cardinale: la giustizia, la capacità di dare a ciascuno quanto gli spetta. Essere giusti è qualcosa di più che osservare la semplice “legalità” (dato che, come ci insegna l’esperienza, vi possono essere leggi ingiuste che fungono da alibi a una irresponsabilità generalizzata). E l’uomo giusto nemmeno è il cultore del “doverismo” (il dovere per il dovere di kantiana memoria). Giusto è chi riconosce una legge superiore a sé e sente impegnata la propria personale responsabilità anche quando fare ciò che è giusto potrebbe nuocergli. Non c’è amore per la giustizia senza il coraggio.
Altre qualità legate alle virtù cardinali sono la sincerità (il coraggio di dire la verità in un mondo invaso dalla menzogna), l’onore (il possesso della virtù spinto al punto di saper rinunciare anche alla propria reputazione), la lealtà (la fedeltà alla parola data, qualcosa di molto superiore al semplice rispetto della legalità), la franchezza (antidoto al cinismo), la cortesia (la volontà di dare sempre il meglio di sé, soprattutto nelle relazioni coi più deboli).
C’è mai stato qualcuno capace di incarnare in maniera esemplare questi valori? Ebbene, c’è stato: il cavaliere. Nella cavalleria medievale gli uomini imparavano a essere generosi, coraggiosi, giusti, leali, cortesi. Morire, per il cavaliere medievale, era il coronamento di una vita donata al servizio della virtù.
L’uomo del terzo millennio è rimasto sprovvisto di codici cavallereschi perché è rimasto senza telos,  senza uno scopo da dare alla propria esistenza. Ecco perché oggi è smarrito, debole, incerto. Sono numerose le immagini evocate dagli osservatori più acuti per descrivere la condizione dell’uomo contemporaneo: barbaro civilizzato, homo comfort, selvaggio con telefonino, signorino soddisfatto, bimbo viziato, uomo senza qualità, ecc.
In definitiva l’essere rimasto puramente “maschio” appare sinistramente simile ai Proci, questi eterni adolescenti nemici giurati della figura virile di Ulisse, o alle Bandar-log, le orde scimmiesche che nel “Libro della giungla” di Kipling simboleggiano una psicologia immatura, incapace di rispettare la legge e pertanto letteralmente fuori controllo. Oggi vediamo personificate queste lugubri figure negli sciami anonimi di web-squadristi, pronti a scattare per azzannare e linciare senza pietà chiunque capiti loro a tiro. Senza lo spirito cavalleresco non resta che una massa di individui schiavizzati dal proliferare incontrollato delle passioni.
E allora ben venga l’esortazione di Marchesini: se vogliamo cominciare ad essere responsabili, cioè uomini capaci di amare la vita, dobbiamo rottamare i falsi miti – come quello del seduttore “bello e dannato” – per tornare ad attingere a veri miti come quello del cavaliere “senza macchia e senza paura”. Come ha detto mirabilmente Gustave Thibon, non bisogna dare credito “ai distruttori delle regole che parlano in nome dell’amore”. Perché “là dove la regola è frantumata, l’amore abortisce”.

La parola più usata per descrivere l’ora presente è forse «crisi». Crisi economica, che dura ormai da quasi un decennio; crisi geopolitica, per la quale è sempre più difficile prevedere l’esito finale; crisi sociale, per cui vivere diventa sempre più difficile. Ma accanto a queste crisi, e forse all’origine di esse, c’è la crisi morale.
Non è solo una «crisi dei valori», come spesso si legge: l’edonista uomo occidentale contemporaneo sembra vivere in un vuoto morale. È libero di vivere secondo il proprio gusto, ma di questa libertà non sa che farsene. Avuto il suo piatto di lenticchie (l’ultimo modello di smartphone, lo status symbol del momento) si guarda intorno smarrito e angosciato.
C’è altro, nella vita? Può aspirare a qualcosa di meglio?
Come scriveva Goethe, «Vivere secondo il proprio gusto è da plebeo; l’animo nobile aspira a un ordine e a una legge».
Per tutti gli uomini che aspirano a un ordine e ad una legge, Roberto Marchesini propone questo Codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio.
Per pochi fortunati, per un manipolo di fratelli.