Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

martedì 22 novembre 2011

La Chiesa non compia l'errore di sostenere i banchieri

 di Martino Mora

La Chiesa cattolica ha storicamente  denunciato come pratica immorale e peccaminosa  l'”usura”, non intesa come oggi quale prestito ad interesse troppo elevato, ma  come prestito a qualsiasi interesse. Tralasciando le chiarissime condanne evangeliche e paoline dell'accumulo delle ricchezze, possiamo almeno soffermarci sulla più specifica condanna dell'usura e degli usurai, che non era affatto nuova anche nel mondo pagano, dove era quasi ovunque vietata per legge.
I Padri della Chiesa, a partire da Clemente Alessandrino e dagli apologisti, condannano fermamente la pratica del prestito ad interesse.  S. Ambrogio, S. Agostino, S. Girolamo, S. Basilio, S. Gregiorio Nisseno, S. Gregorio Nazianzeno e molto più tardi S. Tommaso d'Aquino (che la definì “torpitudo” riprendendo il giudizio aristotelico sulla “crematistica”): tutti o quasi i principali intelletti della Chiesa cattolica, e molti dei santi più grandi, denunciano come illecito e immorale qualsiasi prestito ad interesse. E questo basandosi principalmente sulla Scrittura, ma anche sul sostegno delle grandi opere della filosofia classica, da Platone ad Aristotele.
Dopo la prima condanna ufficiale del Concilio di Elvira (300-306), il  primo Concilio di Nicea (325) definisce illecita  l'usura, e la vieta ai religiosi.
San Leone I Magno (440-461), il papa passato alla leggenda per avere fermato Attila, definisce  l'usura come “la morte dell'anima”. E' proprio Leone Magno, nel 440, a vietare tale pratica anche ai laici, divieto confermato dal Concilio di Clichy (627).
Carlo Magno con il capitolare di Nimega (806) trasforma la proibizione morale della Chiesa. in legge dell'Impero. La pratica dell'usura viene tollerata solo per gli ebrei, che ne diventano protagonisti.
Dal XII secolo però, con l'espansione delle attività mercantili, la Chiesa sente il bisogno di riaffermare la condanna dell'usura in modo ancora più fermo.  Con Alessandro III (1159-1181) - il papa che sostiene i comuni della Lega Lombarda contro il Barbarossa, e che umilia Enrico III di Inghilterra dopo che questi  ha fatto uccidere il vescovo Tommaso Becket - la Chiesa commina, con il terzo Concilio del Laterano (1173), la scomunica e il divieto di sepoltura per chi presta ad interesse. Condanna ribadita dallo stesso pontefice con il canone “Ex eo de usuris”.

Il Concilio di Vienne (1311) stabilisce che deve essere considerato eretico anche chi afferma la non peccaminosità dell'usura. Siamo però in un periodo difficile per la Chiesa, costretta dai re di Francia alla “cattività avignonese”(1309-1377) e fortemente indebolita.
Proprio nel   XIV secolo, con l'ascesa ulteriore del ceto dei mercanti, l'usura diviene  un fenomeno talmente forte e diffuso da contribuire alla crisi della Chiesa, che viene, per così dire, lentamente espugnata dall'interno.
Già nella seconda metà del secolo, prima e durante  lo Scisma d'Occidente (1378-1417), i papi si esprimono raramente sull'immoralità dell'usura e dei grandi mercanti usurai, dai quali cominciano ad essere finanziati. E' in questo periodo che in Italia nascono le prime banche della storia, quali quelle dei Bardi e dei Peruzzi. Il pontificato di Bonifacio IX (1389-1404) già si caratterizza per  la ricerca di continui finanziamenti.
Dalla seconda metà del XV secolo, con Paolo II (1464-1471) inizia la lunga serie di papi mecenati dell'arte, spesso dissoluti e paganeggianti, tra i quali tutti ricordano i celeberrimi Alessandro VI Borgia e Giulio II della Rovere, al quale succede Leone X (1513-1521), al secolo Giovanni de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. Per la prima volta il rampollo di una famiglia di banchieri diventa papa.  I mercanti sono entrati nel tempio.
Il padre gli fa prendere i voti a sette anni e il papa lo fa cardinale a tredici. Divenuto papa, nel 1513, da figlio e nipote di banchieri non esita a fare mercato delle cose sacre, in particolare delle “indulgenze”, lettere di perdono che condonano parzialmente i peccati da scontare in Purgatorio.
Già il megalomane Sisto IV (1471-1484) aveva iniziato la vendita delle indulgenze, ma solo con Leone X  questo sistema raggiunge la più capillare estensione. Come ben sa chi conosce un po' di storia, questa scelta dissennata contribuisce a far scoppiare in Germania, per opera di Martin Lutero e dei principi che lo sostengono, la più grande rivolta contro l'autorità della Chiesa, che avendo successo sarà solo la prima delle divisioni nella cristianità occidentale.
Dopo la breve parentesi riformatrice di Adriano VI (1522-1523), viene eletto papa Clemente VII (1523-1534), al secolo Giulio de' Medici, cugino di Giovanni e figlio naturale di Giuliano, ucciso giovanissimo nella congiura dei Pazzi. Cresciuto con lo zio Lorenzo il Magnifico, divenuto papa si  comporta senz'altro meglio del  cugino. Ciò nonostante è anch'egli un papa piuttosto sfortunato, perché deve assistere allo scisma anglicano di Enrico VIII (Atto di Supremazia, 1534) e prima ancora al sacco di Roma (1527) ad opera dei lanzichenecchi dell'imperatore Carlo V. Si può quindi dire che i papi banchieri della famiglia Medici alla Chiesa non abbiamo portato fortuna, per usare un eufemismo.
Col Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa cattolica si riforma e ritrova se stessa. Il mondo moderno invece no, perché l'ascesa della classe borghese dei mercanti e dei banchieri continua trionfale, nonostante la Chiesa condanni ancora l'usura prima con Gregorio XIII (1572-1585), che scrive il “Decreto in risposta a Guglielmo duca di Baviera”, e poi con Benedetto XIV (1740-1758).  Nonostante la pressione di dotti settecenteschi come Scipione Maffei, che vorrebbero che la Chiesa si adeguasse ai protestanti nel riconoscere il ruolo positivo delle banche nello sviluppo capitalistico, Benedetto XIV ribadisce con la “Vix pervenit” (1745) la condanna morale per chi presta ad interesse.

A chi conosce un po' di  storia, fa quindi oggi una certa impressione osservare l'entusiasmo di gran parte del mondo cattolico per il governo di Mario Monti. L'esponente della Commissione Trilaterale e del Bildelberg club, nonché consulente di Goldmann-Sachs e di Coca Cola company, sembra essere riuscito dove Silvio Berlusconi, che fu iscritto alla ben più modesta Loggia massonica P2, aveva fallito: riunire quasi tutte le anime del mondo cattolico in un sostegno incondizionato alla propria persona.
Dai catto-comunisti delle Acli  e “Famiglia cristiana” ai berlusconiani di Comunione e Liberazione, dagli ex democristiani all'Azione Cattolica, passando per gli ex sessantottini di Sant'Egidio (premiati con un ministero ad Andrea Riccardi) è arrivato un convinto sostegno al governo Monti. Anche l'”Osservatore Romano” e il quotidiano dei vescovi italiani, “Avvenire”, si sono uniti, nel coro osannante Mario Monti, ai giornali del grande capitale (“Corriere della sera”, “La Repubblica”, “La Stampa”). Gli unici a scuotere il capo sono i fedeli più legati alla Tradizione, che però in televisione e sulla grande stampa non compaiono mai.
Il governo dei banchieri, imposto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale Europea, sembra quindi piacere, e molto, anche ai cattolici. Gerarchie comprese.

Al mondo cattolico sembrano quindi sfuggire alcuni aspetti essenziali, etici e politici insieme.
Mario Monti è un banchiere, seppure non in senso stretto. Non è cioè un capitalista della finanza, proprietario di una banca. E' un tecnico dell'economia che gestisce i capitali finanziari e che è strettamente legato ai  principali centri mondiali della finanza e delle multinazionali, anche quelli occulti, come testimoniano i suoi ruoli di dirigenza  nella Commissione Trilaterale e la sua presenza costante agli incontri del Bildelberg. E' un uomo del grande capitale, che senz'altro condivide il progetto di un unico governo mondiale dell'economia, il quale favorirebbe l'espansione totale, quasi dirigistica, del capitalismo dei consumi e del capitalismo finanziario a tutto il globo, cioè il  trionfo completo della globalizzazione.
Ciò renderebbe  più rapida  la tendenza alla massificazione completa dell'umanità, la distruzione sistematica di tutte le differenze, le tradizioni culturali e le identità collettive, l'omologazione dell'uomo in tutti i punti della terra, lo sradicamento da ogni appartenenza che non sia quella del denaro e della merce. Naturalmente si tratta di un piano folle, perché si bassa sull'implicita convinzione che vi possa essere una crescita infinita in un mondo finito, e questo, con buona pace del grande capitale e dei suoi servi stolti, non è possibile. Quando i cinesi e gli indiani consumeranno come gli occidentali di trenta anni or sono, la partita sarà finita. Ammesso che non finisca prima, data la crisi attuale del capitalismo.

Eppure oggi, dicevamo,  la gerarchia ecclesiastica si avvicina pericolosamente ai banchieri, come testimonia il sostegno al governo Monti. La storia sembra ripetersi, seppure su altre basi rispetto all'epoca del Rinascimento. Non sono stavolta il mecenatismo e la grandeur  dei papi a propiziare questo legame contro natura, ma  l'adesione all'idea di un unico centro di potere mondiale. L'utopia dello Stato mondiale sembra unire le aspirazioni dei banchieri e delle multinazionali a quelle della gerarchia ecclesiastica.
Giovanni XXIII è stato il primo pontefice a profilare la necessità e l'auspicabilità di un unico governo mondiale nell'enciclica “Pacem in terris”(1963). Vi affermava la la necessità di “un'autorità politica con competenze universali”, “in cui il potere, la costituzione e i mezzi d'azione abbiano essi stessi dimensioni mondiali, e che possa esercitare la sua azione su tutta la terra”. Nella stessa enclica Giovanni XXIII sposava l'ideologia dei diritti umani, fino ad allora contestata dalla Chiesa come individualista ed antropocentrica:
“Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948... Su qualche punto particolare della dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve. Non è dubbio però che il documento segni un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale”.
E' quindi per la sua tendenza al mondialismo che la “Dichiarazione dei diritti dell'uomo” viene accetta, seppure con qualche riserva. Su questi temi, Giovanni XXIII potrebbe essere stato influenzato dal suo amico francese Yves Marsaudon, affiliato  alla massoneria di rito scozzese e membro della Gran Loggia Nazionale di Francia. La massoneria ha infatti sempre sostenuto con forza l'ideologia dei diritti umani e dell'unificazione politica del mondo. Successivamente, Paolo VI si recò all'ONU il 4 ottobre 1965, per tornarvi nel 1978, pochi mesi prima della morte. Anche Giovanni Paolo II vi si recò due volte, nel 1979 e nel 1995; Benedetto XVI  nel 2008.
Si potrebbe discutere se l'ecumenismo spinto (cristiano e interreligioso)  di Giovanni Paolo II non abbia prefigurato, nel calderone ecumenico e nelle sue ricadute immigrazioniste, il progetto mondialista.  E però nella “Caritas in veritate” (2009) che l'idea dello Stato mondiale  viene espressa con altrettanta chiarezza e maggiore approfondimento che nell'enciclica giovannea del 1963. Scrive infatti Benedetto XVI :
“In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana ... così da dare forma di unità e pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio”.  E più avanti: “Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è già stata tratteggiata dal mio predecessore, il beato Giovanni XXIII... Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione e che si dia finalmente attuazione a un ordine sociale conforme all'ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle nazioni Unite”.
Il celebre storico Yves Chiron vi ha constatato  la  scelta politica del mondialismo a causa di una “visione ottimistica ed evoluzionistica del futuro dell'umanità”. Pelagiana, potremmo tradurre in teologia. Anche il grande pensatore cattolico Thomas Molnar, pochi mesi prima di morire constatava amaro: “La Chiesa in questo momento si sta allineando al mondialismo”
Meno di un  mese fa, il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, presieduto dal cardinale Renato Martino (noto alle cronache per aver proposto, qualche anno fa, l'istituzione dell'ora di religione islamica nella scuola italiana), ha ancora ripreso l'idea di un'unica autorità planetaria che possa regolare l'economia mondiale.  Mario Monti naturalmente, come il Bildelberg club e la Commisione Trilaterale di cui è dirigente, è su questa stessa linea. Negli ultimi anni è stato più  volte in Vaticano e  si è detto in sintonia con la “Caritas in veritate”, che ha definito “un documento guida  tecnico della società”.  Ha anche dichiarato: “Non vi è antitesi tra economia ed etica, anzi si basano su principi comuni, su uno stesso sistema di valori”. Agghiacciante. Qualche cardinale avrebbe fatto bene a ricordare  a Monti le parole di Cristo: “Nessuno può servire due padroni, o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire due padroni: a Dio e a Mammona.” (Lc16, 13).
Le verità del Vangelo sono aspre per il mondo, tanto più per un mondo dominato dalla merce e dal denaro, dal consumismo, dall'usura e dai mercati quale è il nostro. Più il cattolicesimo si “mondanizza e più difficile diventa ricordarle. Nessuno in compenso può ricordare una sola parola del “cattolico”  Mario Monti nei dieci anni  in cui è stato commissario europeo (1994-2004) sull' omosessualismo e l'abortismo sponsorizzati dalla UE. Anche questo strano cattolico praticante è un Ponzio Pilato alla Romano Prodi, il “cattolico adulto” che si è sempre svestito della sua fede ogni volta che presiedeva la Commissione europea? Del resto Monti e Prodi hanno diverse cose in comune: sono entrambi tecnici dell'economia, appartengono entrambi alla Commissione Trilaterale e  al cub Bildelberg, e sono entrambi consulenti di Goldmann-Sachs. Esattamente come il terzo tecnocrate italiano di rilevo internazionale, quel Mario Draghi che su indicazione del governo Berlusconi ora presiede la Banca Centrale Europea. Anche per Draghi le stesse amicizie e gli stessi legami internazionali: Commissione Trilaterale, Bildelberg, Goldmann-Sachs.
 Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa San Paolo, il  principale gruppo bancario del Paese,  ha lasciato la sua stanza dei bottoni alla Cà de sass  di Milano per scendere a Roma come ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture. Ebbene, anche Passera, per il quale i giornali prevedono un brillante futuro politico, è un esponente del gruppo Bildelberg, come è attestato dalla  sua presenza alle riunioni degli ultimi anni.
E' evidente che per questi signori a contare è soltanto l'economia. Il loro regno è quello delle banche, delle Borse, dei mercati  e della agenzie di rating. Nel mondo che sognano (e che in parte si è già realizzato) non vi è posto per il cristianesimo, se non nel ruolo subalterno di assistenza sociale ai “perdenti” del sistema: barboni, tossicomani, handicappati, extracomunitari senza lavoro. Qualora la Chiesa ricominci a predicare contro Mammona, le verrà tolto il microfono.  La stessa cosa vale per la sinistra politica e gli intellettuali laicisti:  la Chiesa va bene se concepita come assistenza sociale e agenzia di collocamento dei più sfortunati, va ancora meglio se sponsorizza l'immigrazione, le moschee e i minareti, ma qualora dicesse cose non funzionali all'utopia Benetton del bazar multietnico e multicolor modello Sodoma, la vorrebbero ricacciare nelle catacombe. La Chiesa va bene, purché sia sempre culturalmente subalterna al mondo moderno. Cioè alla destra del denaro, e alla sinistra dell'individualismo assoluto e della pornocrazia egualitaria.
I cattolici non devono essere culturalmente subalterni, ma “il sale della terra”. Non si lascino sedurre dai  seguaci di Mammona e dell'usura. E' vero che Berlusconi ha  senz'altro dato il suo contributo alla scristianizzazione dell'Italia (che qualcuno ama chiamare “modernizzazione”) con la martellante proposizione, tramite le sue televisioni, di un' “american way of life”edonista e consumista, di un volgare americanismo senza America che dal 1980 in poi, con la nascita di Canale 5,  molto ha influito sullo stile di vita della gente comune. Eppure Monti, nonostante la lodevole sobrietà  e serietà di vita privata, può essere oggi più pericoloso del grande puttaniere (che  comunque, detto per inciso,  ha  ostacolato leggi contrarie all'etica, come i simil-matrimoni omosessuali).  E forse Monti può essere anche peggio  della sinistra nichilista, che pure lo appoggia.
Infatti Berlusconi è sempre rimasto escluso dai “salotti buoni” dell'economia e della finanza, e quando Gianni e Umberto Agnelli facevano parte del Bildelberg e della Commissione Trilaterale (nel silenzio assordante del servile giornalismo italiano), Berlusconi doveva accontentarsi della più modesta Loggia massonica P2. Gli Agnelli si consigliavano con Rockfeller e Kissinger, mentre Berlusconi doveva accontentarsi di Licio Gelli e Bettino Craxi. . La stessa cosa vale oggi con Monti, Draghi, Passera ed altri. Questi tecnici e manager  rispondono a degli interessi che vanno ben oltre quelli di un'azienda di proprietà come Mediaset. E tanto più vanno oltre a quelli di una sinistra italiana ed europea che è ormai completamente sottomessa alla Nato e al Fondo monetario internazionale (vero, presidente Napolitano?).
La Chiesa (intesa come gerarchia) rifiuti il mondialismo e ricordi la storia: dai papi del Rinascimento a  Calvi e Marcinkus, la vicinanza ai  banchieri le  porta male. Molto male. 

fonte: Arianna Editrice

venerdì 4 novembre 2011

La fede e le opere

Il 17 ottobre Papa Benedetto XVI ha pubblicato la lettera apostolica«Portafidei»conla quale indìce l’Anno della fede. La lettera parte dal dato di fatto che la fede è in crisi, non solo all’esterno ma perfino all’interno della Chiesa Cattolica. Per tornare alla fede, il Papa propone un percorso di nuova evangelizzazione e di conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica. Il Papa ricorda che fin dall’inizio del suo ministero come Successore di Pietro ha ribadito l’esigenza di riscoprire il cammino della fede. Infatti, «capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone». Le difficoltà per la Chiesa, afferma il Papa, vengono sia dal di dentro sia dal di fuori. E il risultato finale è una società senza fede. Ma questa situazione di scristianizzazione è qualcosa che «non si può accettare». Di qui il vasto programma della nuova evangelizzazione. E di qui l’indizione di un secondo “Anno della fede”, dopo quello indetto da Paolo VI nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza. Il Papa ha ritenuto di fare iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. “Questa coincidenza è un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari “non perdono il loro valore né il loro smalto”. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, era possibile riconoscere un tessuto che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa. Ai progressisti ricorda che non ha senso negare l’esistenza d’una grave crisi di fede anche all’interno della Chiesa, e fingere che tutto sia andato per il meglio dopo il Concilio. Agli anticonciliaristi – che vorrebbero rifiutare non solo il progressismo e l’interpretazione errata dei testi del Concilio, ma quegli stessi testi – il Papa ribadisce che i documenti del Vaticano II, letti «in maniera appropriata», costituiscono ancora oggi «una grande forza», «una grande grazia» e «una sicura bussola per orientarci». Il Pontefice indica anche il percorso che tutte le diocesi devono seguire. «Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Pertanto, l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede». Naturalmente, precisa il Papa, la fede non dovrà mai essere opposta alle opere. Anzi, l’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Non solo. Ma esso servirà anche a ricordare che, se è vero che la fede «senza la carità non porta frutto», non è meno vero che «la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio».

+ Ignazio Sanna

fonte: http://www.arborense.it/vescovo/la-fede-e-le-opere.html

martedì 1 novembre 2011

Ogni cristiano è chiamato a diventare santo

ANGELUS, 1 Novembre 2011


Cari fratelli e sorelle!
La Solennità di Tutti i Santi è occasione propizia per elevare lo sguardo dalle realtà terrene, scandite dal tempo, alla dimensione di Dio, la dimensione dell’eternità e della santità. La Liturgia ci ricorda oggi che la santità è l’originaria vocazione di ogni battezzato (cfr Lumen gentium, 40). Cristo infatti, che col Padre e con lo Spirito è il solo Santo (cfr Ap 15,4), ha amato la Chiesa come sua sposa e ha dato se stesso per lei, al fine di santificarla (cfr Ef 5,25-26). Per questa ragione tutti i membri del Popolo di Dio sono chiamati a diventare santi, secondo l’affermazione dell’apostolo Paolo: «Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). Siamo dunque invitati a guardare la Chiesa non nel suo aspetto solo temporale ed umano, segnato dalla fragilità, ma come Cristo l’ha voluta, cioè «comunione dei santi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 946). Nel Credo professiamo la Chiesa «santa», santa in quanto è il Corpo di Cristo, è strumento di partecipazione ai santi Misteri - in primo luogo l’Eucaristia - e famiglia dei Santi, alla cui protezione veniamo affidati nel giorno del Battesimo. Oggi veneriamo proprio questa innumerevole comunità di Tutti i Santi, i quali, attraverso i loro differenti percorsi di vita, ci indicano diverse strade di santità, accomunate da un unico denominatore: seguire Cristo e conformarsi a Lui, fine ultimo della nostra vicenda umana. Tutti gli stati di vita, infatti, possono diventare, con l’azione della grazia e con l’impegno e la perseveranza di ciascuno, vie di santificazione.
La Commemorazione dei fedeli defunti, cui è dedicata la giornata di domani, 2 novembre, ci aiuta a ricordare i nostri cari che ci hanno lasciato, e tutte le anime in cammino verso la pienezza della vita, proprio nell’orizzonte della Chiesa celeste, a cui la Solennità di oggi ci ha elevato. Fin dai primi tempi della fede cristiana, la Chiesa terrena, riconoscendo la comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi. La nostra preghiera per i morti è quindi non solo utile ma necessaria, in quanto essa non solo li può aiutare, ma rende al contempo efficace la loro intercessione in nostro favore (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 958). Anche la visita ai cimiteri, mentre custodisce i legami di affetto con chi ci ha amato in questa vita, ci ricorda che tutti tendiamo verso un’altra vita, al di là della morte. Il pianto, dovuto al distacco terreno, non prevalga perciò sulla certezza della risurrezione, sulla speranza di giungere alla beatitudine dell’eternità, «momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità» (Spe salvi, 12). L’oggetto della nostra speranza infatti è il gioire alla presenza di Dio nell’eternità. Lo ha promesso Gesù ai suoi discepoli, dicendo: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,22).
Alla Vergine Maria, Regina di tutti i Santi, affidiamo il nostro pellegrinaggio verso la patria celeste, mentre invochiamo per i fratelli e le sorelle defunti la sua materna intercessione.
Benedetto XVI