Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

lunedì 24 dicembre 2012

Venite adoremus

Suscita profonda preoccupazione e indignazione la decisione del parlamento europeo, ormai rappresentante senza alcuna riluttanza delle forze criptopolitiche, di eliminare ogni riferimento alla Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. Rimaniamo irremovibili sul concetto che l'Europa è inscindibile dalla Cristianità.
Non aggiungiamo altri commenti, lasciando la malvagità isolata nelle sue tenebre e affidandoci alla vera Luce del mondo.

Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520), "Madonna col Bambino e S. Giovannino" o, più comunemente nota, come "Madonna della seggiola", 1513-1514 circa.
Olio su tavola, 71x71.
Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze.


Æterni Parentis splendorem æternum,
velatum sub carne videbimus,
Deum infantem pannis involutum.
Venite adoremus, 
venite adoremus, 
venite adoremus
Dominum.

domenica 16 dicembre 2012

Campagna d'odio contro il Papa

16-12-2012

di Riccardo Cascioli

Qualche giorno fa l’avevamo detto: c’è in atto uno scontro durissimo in Europa tra governi che stanno accelerando sul riconoscimento delle unioni gay e la Chiesa, che difende la dignità dell’uomo e la legge naturale. Gli eventi degli ultimi giorni non solo confermano questo giudizio ma ne svelano chiaramente i contenuti.

Le reazioni scomposte e le accuse al Papa dopo la pubblicazione del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, solo per aver ricordato che aborto ed eutanasia sono la più grave minaccia alla pace e che il riconoscimento delle unioni gay sarebbe una ferita contro la giustizia, lasciano intendere come Benedetto XVI abbia toccato dei punti decisivi. Del resto la distanza tra Chiesa ed elite dominanti non poteva apparire più ampia in questi giorni: poche ore prima che il Papa rendesse noto il Messaggio per la Giornata della Pace l’Europarlamento ha approvato una risoluzione proposta dalla socialista Monika Benova pro aborto e nozze gay.

In tale risoluzione si manifesta "preoccupazione per le recenti restrizioni all'accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva in alcuni Stati membri, con particolare riferimento all'aborto sicuro e legale e all'educazione sessuale e per i tagli ai finanziamenti per le politiche familiari”. Si esprime invece soddisfazione per “il fatto che sempre più stati membri abbiano introdotto e/o adeguato le loro norme sulla coabitazione, sulle unioni civili e sul matrimonio per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale subite dalle coppie di persone dello stesso sesso e dai loro figli e invita gli altri stati membri a introdurre norme analoghe”.

Questa è l’Europa oggi, e ironia del destino proprio questa settimana l’Unione Europea ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, un premio che al massimo possiamo considerare alla memoria, visto che la UE - insieme all’amministrazione Obama – è la più forte sostenitrice della diffusione dell’aborto nel mondo. E’ un’Europa che nell’aver trasformato i desideri in diritti si scopre sempre più intollerante, contro i cattolici anzitutto. E usa volentieri l’arma della menzogna, come dimostra l’altro episodio di questi giorni con l’accusa al Papa di avere benedetto la parlamentare ugandese a favore della pena di morte per gli omosessuali.

In realtà, Rebecca Kadaga, speaker del Parlamento di Kampala, faceva parte di una delegazione di parlamentari ugandesi a Roma per partecipare alla Settima assemblea dei parlamentari per la Corte Penale internazionale e per lo stato di diritto. La delegazione ugandese ha partecipato all’udienza e ha poi potuto salutare il Papa, come molti altri pellegrini: un breve incontro di qualche secondo e nessuna benedizione, ma i maestri della menzogna ne hanno approfittato per rovesciare sul Papa un mare di insulti e l’accusa più infamante che si possa fare in Europa in questo periodo: istigare all’omofobia.

Tutt’altro. Quanto all’Uganda la Chiesa si è pronunciata da subito con forza contro quella proposta di legge e per quel che riguarda il Messaggio per la Giornata della Pace non c’è alcuna volontà di discriminazione, perché la questione di cosa sia il matrimonio non ha a che vedere con i diritti della persona, che sono già regolati dalla Costituzione.

Eppure, proprio tutto questo odio rovesciato su Benedetto XVI dovrebbe far capire a tutti i cattolici la posta in gioco; politici inclusi, visto che il Messaggio per la Giornata della Pace è un richiamo forte ai princìpi non negoziabili come pre-condizione per ogni autentico impegno per il bene comune.
Invece, ieri silenzio assoluto dei politici e posizioni imbarazzate dei media cattolici, che hanno cercato di smorzare le polemiche sforzandosi di spiegare che in realtà nel Messaggio il Papa ha parlato molto di economia e lavoro. Non è un bel segnale.
P.S.: A proposito, viste le centinaia di insulti arrivate direttamente al Papa su twitter, siamo sicuri che sia stata proprio una bella idea fare i moderni esponendo Benedetto XVI a questo genere di gogna?

Francia, Chiesa sotto assedio

di Massimo Introvigne 


07-12-2012



Il ministro delle Abitazioni del governo socialista francese, la signora Cécile Duflot, si preoccupa per il gelido inverno alle porte, che rischia di riproporre lo scandalo dei senzatetto che muoiono di freddo per strada, nonostante un'assistenza pubblica che dovrebbe essere ampiamente sostenuta da tasse che, se pure non sono ai livelli record italiani, sono pur sempre tra le più alte in Europa. E la signora ministro pensa di avere trovato la soluzione. Minaccia una «dimostrazione d'autorità» e un'azione «senza mollezza» per requisire gli immobili della Chiesa Cattolica e usarli per ospitare i senzatetto.

Perbacco, deve aver pensato la signora ministro, la soluzione era semplice, chissà perché non ci aveva pensato nessuno prima. I barboni muoiono? È colpa della Chiesa, che ha tanti spazi vuoti nelle chiese e nei conventi dove potrebbero stare al caldo. Se non si è provveduto prima, dev'essere stata colpa della «mollezza» dei governi precedenti. Per fortuna che ora è arrivato il governo socialista che invece - come si diceva una volta, con altre espressioni, in Italia - punta tutto sul duro.

Peccato che sia tutta una bufala. Perché la Chiesa Cattolica non ha aspettato i colpi di genio della signora ministra per essere, già da anni, la maggiore organizzazione che ospita senza tetto in Francia. Cifre alla mano, in questo settore la sua carità privata è molto più efficiente dell'assistenza pubblica dello Stato. Ogni notte a Parigi ventisei parrocchie aprono i loro locali ai senzatetto, cui offrono anche la cena e la colazione. Non si contano gli istituti religiosi che si sono specializzati nel soccorso notturno a chi dorme in strada. Forse la ministra potrebbe visitare i mille metri quadrati messi a disposizione dalle suore benedettine di Notre-Dame de Jouarre (Seine-et-Marne), dove i senzatetto non sono solo alloggiati e nutriti, ma amorevolmente accolti dalle religiose.

Come un comunicato dell'arcivescovo di Parigi, del Secours Catholique e della Conferenza dei religiosi e religiose di Francia ha fatto puntualmente notare, la Chiesa potrebbe fare ancora di più se non si trovasse di fronte a ostacoli burocratici che qualche volta derivano da una sorda ostilità anticlericale diffusa in settori dell'amministrazione francese. Ma soprattutto - lo hanno spiegato ancora i vescovi in un comunicato - i senzatetto non muoiono tanto per mancanza di spazi dove dormire, ma per mancanza di personale competente che li convinca a usufruire degli spazi, li accompagni e li aiuti. Migliaia di volontari cattolici sono sulle strade per questo tutte le notti. Molto di meno fa, appunto, lo Stato.

La verità allora è la solita: non solo fa freddo, ma tira una brutta aria per la libertà religiosa in Francia. Si moltiplicano le manifestazioni d'intolleranza, perché un laicismo antico spesso di marca massonica si salda con le azioni di lobby che non tollerano la ferma opposizione della Chiesa al riconoscimento del matrimonio omosessuale, caposaldo della politica dei «diritti» del governo Hollande. Ecco allora che tutte le scuse sono buone per attaccare la Chiesa, e oggi prendere di mira il suo patrimonio immobiliare, tra tasse e minacce di requisizioni, è diventato uno dei modi principali per cercare di metterla a tacere quando i suoi interventi danno fastidio.

sabato 20 ottobre 2012

L’UE censura le tv satellitari iraniane: dove sono i paladini della “libertà d’informazione”?



 di Enrico Galoppini - 18/10/2012

fonte: Arianna Editrice


L’abbiamo già scritto ma giova ripeterlo. A fronte di un profluvio di altisonanti dichiarazioni e petizioni di principio, l’Occidente, che si fregia d’essere “il più morale” e “il più avanzato”, insomma la crème de la crème del genere umano, non dimostra alla prova dei fatti un briciolo di coerenza con quanto “crede”, ogniqualvolta che il suo interesse, o meglio il tornaconto dei suoi dominanti al cui seguito va la massa burattinata, viene percepito in pericolo.

Lo fa con tutto, dalla tortura, per la quale mobilita schiere di “attivisti” mentre la pratica ai quattro angoli del globo, alla guerra, col “pacifismo” alimentato dalla “cultura di massa”, mentre è tutto un provocare ad arte conflitti a destra e a manca dietro il paravento dell’interventismo per “motivi umanitari” o delle “armi di distruzione di massa”; dalla droga, ufficialmente dichiarata un flagello, ma poi diffusa a piene mani in tutti i paesi “liberati”, all’ecologia e la “difesa dell’ambiente”, sempre in cima alla “agenda” delle “belle cose” da fare, quando in realtà tra rifiuti tossici scaricati nel cosiddetto “terzo mondo”, spargimento di materiali velenosi su ignare popolazioni e armi all’uranio impoverito nei vari teatri di battaglia, la terra ormai grida “pietà!”
C’è poi una particolare istanza, riguardante i “diritti umani”, professati come la religione dell’umanità laicizzata, che viene sistematicamente smentita nei fatti, e si tratta della “libertà d’espressione”, assieme al suo corollario, quella “d’informazione”. L’Occidente fa un vanto della quantità incalcolabile di “media” che, tra giornali e tv, più i relativi siti internet, ha creato per “informare”, all’insegna della “trasparenza” e della “verificabilità” di quel che riguarda tutti quanti, il che ovviamente non è vero. Più canali esistono e più dicono tutti le stesse cose. Il che è tra l’altro contraddittorio con un altro “dogma” moderno, quello della “concorrenza”, perché al punto in cui ci troviamo basterebbe metter su un’emittente che afferma l’esatto contrario di tutte le altre per assicurarsi una pingue fetta dell’agognato “indice d’ascolto”!
Ma anche a voler credere a questa manna dal cielo rappresentata dalla “informazione globale” (sia nel senso di “planetaria” che di “onnicomprensiva”), che per magia dovrebbe trasformare le persone in tesori di coscienza e consapevolezza, si registrano puntualmente, nei fatti, delle smaccate contraddizioni con quanto asserito in via di principio.
Se c’è qualche tv o giornale che dà fastidio lo si censura senza tanti infingimenti. Una mannaia che può scattare di fatto, come abbiamo già rilevato nel caso di questo quotidiano scomodo; oppure “di diritto”, accampando un pericolo per l’integrità morale e l’incolumità mentale dei telespettatori, qual è il caso delle emittenti satellitari extraeuropee escluse dal satellite europeo incaricato, in base a precisi accordi, a diffonderne il segnale.
Detto più chiaramente, mentre sul satellite europeo non fanno una piega canali pornografici, film all’insegna della violenza più inaudita, trasmissioni ideate al solo scopo di rimbecillire il pubblico, una qualche “autorità” in materia di “salute pubblica” ritiene, per il “bene del popolo” (ci mancherebbe!), di oscurare il segnale delle emittenti iraniane in Europa. Si tratta delle seguenti tv: Press TV (in inglese), al-Alam (in arabo), Jam-e-Jam 1 e 2, Sahar 1 e 2, Islamic Republic of Iran News Network (IRINN), Quran TV, e al-Kawthar (in arabo).
Il provvedimento censorio viene giustificato dalla Commissione Europea (quella dei mai scelti da alcun elettore: altra contraddizione con quanto professano!) sulla base delle “violazioni dei diritti umani” da parte della Repubblica Islamica dell’Iran. È vero? Non è vero? E cosa sono, una volta per tutte, questi “diritti umani”? Corrispondono all’autentico anelito di ogni essere umano? Tutte domande oziose: l’importante, una volta stabilito che “basta la parola”, è additare come “cattivo” qualcuno presso un pubblico inebetito, per il quale un “gay pride” o le ciance di una “blogger dissidente” sarebbero più importanti di un lavoro sicuro e degnamente pagato di una famiglia normale sostenuta da uno Stato degno di tal nome.
Quindi, non è in questione, ufficialmente, il contenuto in sé delle trasmissioni di questi canali banditi dall’Europa, le quali infatti sono improntate alla massima sobrietà e al rispetto, quello sì, dei fondamentali valori dell’essere umano, che ha tutto il diritto di non vedersi riversare in casa fiumi di volgarità, violenza e stupidità.
Ma con tutta evidenza, il pubblico europeo non deve venire a conoscenza di altre “versioni dei fatti”, di altre opinioni ed interpretazioni al riguardo di questioni d’interesse generale sulle quali i dirigenti occidentali ritengono di avere solo e sempre ragione.
Né sembra avere alcuna importanza il parere dei telespettatori di questi canali oscurati in Europa, il che è un tantino strano se, come sostengono Lorsignori, in “democrazia” si tiene conto della “volontà popolare”.
Ma questi soloni della “libertà d’espressione” non temono di scadere nel ridicolo. In questi giorni, infatti, su una tv italiana parte la nuova serie di “Dallas”: una cosa di cui si sentiva un evidente bisogno! Per dare una “degna cornice” all’”evento mediatico” sono stati riesumati filmati della metà degli anni Ottanta, quando un provvedimento giudiziario oscurò le reti Fininvest (come si chiamavano allora), dove si vede della gente comune alla quale si dava volentieri la parola affinché esprimesse la propria contrarietà ad un intervento “lesivo della libertà”…
Ma oggi nessuno interpellerà i teleutenti, residenti in Europa, di Press Tv e delle altre emittenti iraniane, tanto il loro parere non conta un fico secco. Accadrà come con la stazione televisiva libanese al-Manar, colpita anni or sono da analogo oscuramento a giustificazione del quale venne addotta, dai soliti… “savi” preposti a tutelare la “coscienza popolare”, la presenza di contenuti “antisemiti”.
D’altronde, se tutti quelli messi su una qualche “poltrona” devono pappagalleggiare che“l’antisionismo equivale al all’antisemitismo”, un motivo ci sarà.
Non sarà che tutti i canali boicottati di volta in volta dal satellite europeo affermano “l’indicibile” o comunque sono espressione di Paesi senza peli sulla lingua sulla questione sionista?
Il dubbio, è più che lecito, tanto più che anche l’unico quotidiano italiano escluso dalle rassegne stampa televisive, “Rinascita”, è proprio l’unico che mantiene una salda linea antisionista; e non per “antisemitismo”, come intendono far credere, se per “antisemitismo” vogliamo indicare, secondo la vulgata, “un odio viscerale contro gli ebrei”, bensì perché la denuncia dello scandalo costituito dalla presenza del cosiddetto “Stato d’Israele” sulle rive del Mare Nostrum muove da una chiara visione geopolitica che individua nella presenza di questa enclave aliena dal suo contesto, ideata per generare sistematicamente situazioni di “crisi” sotto la parola d’ordine “difendere Israele”, un pericolo costante per la pace e la stabilità del mondo intero, a partire dal Mediterraneo.
A noi, comunque, non interessa “difendere” nessuno in particolare, se non noi stessi, italiani e mediterranei, dal non poter sapere come vanno le cose del mondo, al di là di questo o quel provvedimento ammantato di “legalità”. Perciò, per una volta, visto che non lo fanno loro che “ci credono”, difenderemo la libertà di informazione, consapevoli che è un puro “mito”, invitando chi la ritiene una cosa importante in tempi di dittatura di un’unica versione a sintonizzarsi per altre vie, che non quelle televisive, sulla prima delle emittenti colpite da quest’odioso divieto.
Tanto più, che per coprire la loro marachella, l’ennesima contraddizione dei loro “principi”, sugli altri “media”, quelli “per bene e rispettabili”, non daranno alcuna visibilità alla faccenda o, se lo faranno, si pareranno con lo scudo delle trite e ritrite accuse all’indirizzo del “regime dittatoriale” di turno, da rieducare a suon di “sanzioni” (tra cui rientra questo caso di censura mediatica), embarghi e missili.
Che buffi questi paladini della “libertà d’espressione” e “d’informazione”. Se si sbeffeggia l’altrui fede con “film” e caricature, se si circola nude nel quartiere parigino a maggioranza islamica, se si profana con frasi oscene la cattedrale di Mosca, si accampa il sacrosanto “diritto” di chi “manifesta il suo pensiero”. Allora scendono in campo “attivisti” e “intellettuali” a convincerci che “non si può censurare”… E lo stesso dicasi per “opere d’arte” e “pièce teatrali” che altro non sono se non un chiaro segno della degradazione alla quale può giungere l’essere umano senza più freni inibitori e “timor di Dio”. Non parliamo poi della totale “libertà d’espressione” che si attribuiscono quelli che la possono esercitare più di ogni altro, per meglio bacchettare il resto dell’umanità: in quel caso, i “media” a loro infeudati né rigirano la frittata, né denunciano lo “scandalo” (come fanno con la Cina, quando decide sovranamente di non permettere l’accesso a determinati siti internet): tacciono e basta per carità di ‘patria’.
Da tutto questo emerge una cosa sola: che la cosiddetta “libertà di espressione”, di cui quella “d’informazione” è la logica conseguenza una volta che esistono i “media”, è uno dei tanti miti di cartapesta occidentali. La censura scatta inesorabile se è ritenuto necessario, con tanti saluti alle “questioni di principio”.
In piena Seconda guerra mondiale, Ezra Pound disse che la “libertà d’espressione” non valeva nulla se non si aveva accesso alla radio, il più potente mezzo d’informazione dell’epoca. Per questo si rivolse ai suoi connazionali, dalla radio italiana, per esortarli ad aprire gli occhi sul sistema iniquo ed ipocrita, retto dall’usura, che li tiranneggiava e li tiranneggia tutt’ora. Non aveva ancora visto il seguito della storia… Adesso che quel sistema s’è ben impiantato anche da noi, il lettore giudichi l’attualità di quelle sagge e preveggenti parole.

sabato 15 settembre 2012

"Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione"

Durante il volo verso Beirut, Benedetto XVI nega di aver mai preso in considerazione l'ipotesi di rinunciare al viaggio in Libano



P. Lombardi: Santità, benvenuto e grazie per essere qui con noi. I giornalisti al seguito sono poco più di 50, di diverse lingue e nazionalità. Naturalmente ce ne sono molte centinaia, forse migliaia, che ci aspettano invece in Libano e tutti sono molto attenti a questo viaggio sapendone l’impegno e l’importanza. Le siamo grati per essere con noi per rispondere a delle domande impegnative che i giornalisti stessi hanno formulato nei giorni precedenti. Le prime due domande le formulo in francese. Il Santo Padre risponde in francese come lingua più o meno ufficiale del viaggio e le altre tre in italiano.
Domanda: Saint-Père, dans ces jours, il y a des anniversaires terribles, comme le 11 septembre ou le massacre de Sabra et Chatila ; aux frontières du Liban, il y a une sanglante guerre civile, et nous voyons aussi que dans d’autres pays, le risque de la violence est toujours présent. Saint-Père, avec quels sentiments vous affrontez ce voyage ? Est-ce que vous avez été tenté d’y renoncer pour l’insécurité, ou quelqu’un vous a suggéré d’y renoncer ?
[Santo Padre, in questi giorni ricorrono anniversari terribili, come quello dell’11 settembre, o quello del massacro di Sabra e Chatila; ai confini del Libano vi è una sanguinosa guerra civile, e vediamo anche che in altri Paesi il rischio della violenza è sempre attuale. Santo Padre, con quali sentimenti affronta questo viaggio? E’ stato tentato di rinunciarvi a motivo dell’insicurezza, o qualcuno Le ha suggerito di rinunciarvi?]
Santo Padre: Chers amis, je suis très heureux et reconnaissant de cette possibilité de parler avec vous. Je puis dire que personne ne m’a conseillé de renoncer à ce voyage, et de ma part, je n’ai jamais pensé à cette hypothèse parce que je sais que si la situation devient plus compliquée, il est encore plus nécessaire de donner ce signe de fraternité, d’encouragement, de solidarité. Et donc, c’est le sens de mon voyage : inviter au dialogue, inviter à la paix contre la violence, aller ensemble pour trouver les solutions des problèmes. Et donc, mes sentiments dans ce voyage sont surtout des sentiments de reconnaissance pour la possibilité d’aller en ce moment dans ce grand Pays, ce Pays qui est – comme l’a dit le Pape Jean-Paul II – plusieurs messages dans cette Région de la rencontre et de l’origine des trois religions abrahamiques. Je suis reconnaissant surtout au Seigneur qui m’a donné la possibilité ; je suis reconnaissant à toutes les Institutions et aux personnes qui ont collaboré et collaborent encore pour cette possibilité. Et je suis reconnaissant pour tant de personnes qui m’accompagnent avec la prière. Dans cette protection de la prière et de la collaboration, je suis heureux et je suis sûr que nous pouvons faire un réel service pour le bien des hommes et pour la paix.
[Cari amici, sono molto lieto e riconoscente per questa possibilità di parlare con voi. Posso dire che nessuno mi ha mai consigliato di rinunciare a questo viaggio e, da parte mia, non ho mai contemplato questa ipotesi, perché so che se la situazione si fa più complicata, è più necessario offrire questo segno di fraternità, di incoraggiamento e di solidarietà. E’ il significato del mio viaggio: invitare al dialogo, invitare alla pace contro la violenza, procedere insieme per trovare la soluzione dei problemi. Dunque, i miei sentimenti in questo viaggio sono soprattutto sentimenti di riconoscenza per la possibilità di andare in questo momento in questo grande Paese, questo Paese che - come ha detto Papa Giovanni Paolo II - è un messaggio molteplice, in questa Regione, dell’incontro e dell’origine delle tre religioni abramitiche. Sono riconoscente soprattutto al Signore che me ne ha dato la possibilità; sono riconoscente a tutte le Istituzioni e alle persone che hanno collaborato e collaborano ancora per questa possibilità. E sono riconoscente alle tante persone che mi accompagnano con la preghiera. In questa protezione della preghiera e della collaborazione, sono felice e sono certo che possiamo fare un servizio reale per il bene dell’uomo e per la pace.]
P. Lombardi: Merci, Saint-Père. Un grand nombre de catholiques manifestent leur inquiétude devant la croissance des fondamentalismes dans différentes régions du monde et devant les agressions dont sont victimes de plusieurs chrétiens. Dans ce contexte difficile et souvent sanglant, comment l’Église peut-elle répondre à l’impératif du dialogue avec l’islam, sur lequel vous avez plusieurs fois insisté ?
[Grazie Santo Padre. Molti cattolici manifestano la loro inquietudine dinanzi alla crescita dei fondamentalismi in diverse regioni del mondo e alle aggressioni di cui sono vittime numerosi cristiani. In questo contesto difficile e sovente sanguinoso, la Chiesa come può rispondere all’imperativo del dialogo con l’islam, su cui Lei ha più volte insistito?]
Santo Padre: Le fondamentalisme est toujours une falsification de la religion. Il va contre l’essence de la religion qui veut réconcilier et créer la paix de Dieu dans le monde. Donc, la tâche de l’Église et des religions est se purifier, une haute purification de la religion de cette tentation est toujours nécessaire. Il est de notre tâche d’illuminer et de purifier les consciences et de rendre clair que chaque homme est une image de Dieu et nous devons respecter dans l’autre, non seulement son altérité mais dans l’altérité la réelle essence commune d’être image de Dieu, et traiter l’autre comme une image de Dieu. Donc, le message fondamental de la religion doit être contre la violence qui en est une falsification – comme le fondamentalisme – et doit être l’éducation, l’illumination et la purification des consciences pour les rendre capables au dialogue, à la réconciliation et à la paix.
[Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione. Va contro l’essenza della religione, che vuole riconciliare e creare la pace di Dio nel mondo. Dunque, il compito della Chiesa e delle religioni è quello di purificarsi; un’alta purificazione della religione da queste tentazioni è sempre necessaria. E’ nostro compito illuminare e purificare le coscienze e rendere chiaro che ogni uomo è un’immagine di Dio; e noi dobbiamo rispettare nell’altro non soltanto la sua alterità, ma, nell’alterità la reale essenza comune di essere immagine di Dio, e trattare l’altro come un’immagine di Dio. Quindi, il messaggio fondamentale della religione dev’essere contro la violenza, che ne è una falsificazione, come il fondamentalismo, e dev’essere l’educazione e l’illuminazione e la purificazione delle coscienze, per renderle capaci di dialogo, di riconciliazione e di pace.]
Padre Lombardi: Continuiamo in italiano. Nel contesto dell’onda di desiderio di democrazia che si è messa in moto in tanti Paesi del Medio Oriente con la cosiddetta “primavera araba”, data la realtà sociale nella maggioranza di questi Paesi, in cui i cristiani sono minoranza, non c’è il rischio di una tensione inevitabile fra il dominio della maggioranza e la sopravvivenza del cristianesimo?
Santo Padre: Direi che, di per sé, la primavera araba è una cosa positiva: è un desiderio di maggiore democrazia, maggiore libertà, di maggiore cooperazione, di una rinnovata identità araba. E questo grido della libertà, che viene da una gioventù più formata culturalmente e professionalmente, che desidera maggiore partecipazione nella vita politica, nella vita sociale, è un progresso, una cosa molto positiva e salutata proprio anche da noi cristiani. Naturalmente, dalla storia delle rivoluzioni, sappiamo che il grido della libertà, così importante e positivo, è sempre in pericolo di dimenticare un aspetto, una dimensione fondamentale della libertà, cioè la tolleranza dell’altro; il fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa, che solo nella condivisione, nella solidarietà, nel vivere insieme, con determinate regole, può crescere. Questo è sempre il pericolo, così è anche il pericolo in questo caso. Dobbiamo fare tutti il possibile perché il concetto di libertà, il desiderio di libertà vada nella giusta direzione, non dimentichi la tolleranza, l’insieme, la riconciliazione, come parte fondamentale della libertà. Così anche la rinnovata identità araba implica - penso - pure il rinnovamento dell’insieme secolare e millenario di cristiani e arabi, che proprio insieme, nella tolleranza di maggioranza e minoranza, hanno costruito queste terre e non possono non vivere insieme. Perciò penso sia importante vedere l’elemento positivo in questi movimenti e fare la nostra parte perché la libertà sia concepita in modo giusto e risponda a maggior dialogo e non al dominio di uno contro gli altri.
Domanda: Santo Padre, in Siria, come tempo fa in Iraq, molti cristiani si sentono costretti a lasciare a malincuore il loro Paese. Che cosa intende fare o dire la Chiesa cattolica per aiutare in questa situazione, per arginare la scomparsa dei cristiani in Siria e in altri Paesi mediorientali?
Santo Padre: Devo dire innanzi tutto che non solo cristiani fuggono, ma anche musulmani. Naturalmente il pericolo che i cristiani si allontanino e perdano la loro presenza in queste terre è grande e noi dobbiamo fare il possibile per aiutarli a rimanere. L’aiuto essenziale sarebbe la cessazione della guerra, della violenza: questa crea la fuga. Quindi, il primo atto è fare tutto il possibile perché finisca la violenza e sia realmente creata una possibilità di rimanere insieme anche in futuro. Che cosa possiamo fare contro la guerra? Diciamo, naturalmente, sempre diffondere il messaggio della pace, chiarire che la violenza non risolve mai un problema e rafforzare le forze della pace. Importante qui è il lavoro dei giornalisti, che possono aiutare molto per mostrare come la violenza distrugge, non costruisce, non è utile per nessuno. Poi direi forse gesti della cristianità, giornate di preghiera per il Medio Oriente, per i cristiani e i musulmani, mostrare possibilità di dialogo e di soluzioni. Direi anche che deve finalmente cessare l’importazione di armi: perché senza l’importazione di armi la guerra non potrebbe continuare. Invece di importare le armi, che è un peccato grave, dovremmo importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni per accettare ognuno nella sua alterità; dobbiamo quindi rendere visibile nel mondo il rispetto delle religioni, le une delle altre, il rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come fondamentale per tutte le religioni. In questo senso, con tutti i gesti possibili, con aiuti anche materiali, aiutare perché cessi la guerra, la violenza, e tutti possano ricostruire il Paese.
P Lombardi: Santo Padre, Lei porta un’Esortazione apostolica indirizzata a tutti i cristiani del Medio Oriente. Oggi questa è una popolazione sofferente. Oltre alla preghiera e ai sentimenti di solidarietà, Lei vede passi concreti che le Chiese e i cattolici dell’Occidente, soprattutto in Europa e America, possono fare per sostenere i fratelli del Medio Oriente?
Santo Padre: Direi che dobbiamo influire sull’opinione politica e sui politici per impegnarsi realmente, con tutte le forze, con tutte le possibilità, con vera creatività, per la pace, contro la violenza. Nessuno dovrebbe sperare vantaggi dalla violenza, tutti devono contribuire. In questo senso, un lavoro di ammonizione, di educazione, di purificazione è molto necessario da parte nostra. Inoltre, le nostre organizzazioni caritative dovrebbero anche aiutare in modo materiale e fare di tutto. Abbiamo organizzazioni come i Cavalieri del Santo Sepolcro, di per sé solo per la Terra Santa, ma simili organizzazioni potrebbero aiutare materialmente, politicamente, umanamente anche in questi Paesi. Direi, ancora una volta, gesti visibili di solidarietà, giornate di preghiera pubblica, simili cose possono richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, essere fattori reali. Siamo convinti che la preghiera ha un effetto; se fatta con tanta fiducia e fede, avrà il suo effetto.

domenica 24 giugno 2012

Gli esami non finiscono mai



di Francesco Lamendola



«Gli esami non finiscono mai» è il titolo di una famosa commedia in tre atti e un prologo di Eduardo De Filippo, del 1973; una commedia amara, percorsa da una dolente vena di pessimismo, il cui motivo dominante è l’impossibilità, per l’uomo, di essere finalmente se stesso, di potersi sottrarre alla occhiuta vigilanza, al maligno pettegolezzo e al silenzioso gioco al massacro da parte della società.



Anche senza scivolare in una visione così nera di derivazione pirandelliana, è pur vero che un fondo di verità esiste nel concetto che gli esami non hanno mai fine e che sempre ci sarà qualcosa o qualcuno che, nel corso della nostra vita, pretenderà di rifarceli, per vedere se siamo meritevoli di procedere o se, viceversa, dobbiamo migliorare la nostra preparazione e sostenerli una seconda e, se necessario, una terza e una quarta volta
Allo studente liceale o universitario che, dopo tanto studio e sacrificio, stringe finalmente in mano il proprio diploma e dà un addio ai libri e alla scuola o all’ateneo, sembra, per un momento, di toccare il cielo con un dito: è come se un grave peso gli fosse caduto dalle spalle, amici e parenti lo complimentano e lo festeggiano ed egli, come si suole dire, può finalmente alzare le vele della navicella e affrontare il mare aperto della vita.
Non tarderà a scoprire, tuttavia, indipendentemente dal valore concreto del pezzo di carta che certifica il suo completamento di un determinato corso di studi, che tutta la fatica e tutto l’impegno profusi sino ad allora sono cosa da poco, in confronto a ciò che la vita si appresta a chiedergli; e non tarderà a provare un sincero rimpianto per quegli anni passati sui libri, per quei compagni, perfino per quei professori, insomma per tutto quell’ambiente e quel ritmo di lavoro i quali riempivano, in gran parte, e davano un senso compiuto al suo orizzonte di vita.
Ma poi? Che succede quando non ci sono più esami da sostenere, ma si scopre che la vita è tutto un esame, un esame continuo, molto più severo e molto più pressante di quelli che gli studenti devono sostenere per conseguire il diploma o la laurea? E che davanti a tale esame incessante, esigente, imperioso, si rischia di trovarsi sempre fatalmente impreparati, e che nessuno studio, nessuna diligenza, nessuna strategia riusciranno mai a garantire un minimo livello di sicurezza nei confronti delle sorprese che esso può riservare?
D’altra parte, è possibile considerare la cosa anche da un altro punto di vista; e, pur senza negare l’assunto di base, pervenire a delle conclusioni molto diverse da quelle, amare e pessimistiche, di scrittori come Pirandello e De Filippo.
Tanto per cominciare: è davvero un male, una cosa negativa in sé stessa, il fatto che gli esami non finiscano mai?  
E in secondo luogo: è corretto pensare a tali esami come se fosse la vita a farceli, ad imporceli in modo arbitrario; o non sarebbe più giusto, più realistico, vederli piuttosto come degli esami che noi facciamo a noi stessi, che una parte di noi fa all’altra parte, talora in maniera equa e comprensibile, altre volte in maniera abnorme, compulsiva e irrazionale? Vediamo.
Per gli animali non ci sono esami, con l’eccezione degli animali addomesticati. L’animale che vive libero deve affrontare delle difficoltà e sa di poter contare solo su se stesso, ma questo non è un esame. Tutt’al più, si possono paragonare a degli esami i combattimenti fra maschi per la conquista delle femmine: fra i lupi, ad esempio, o fra i cervi, o fra gli stalloni o i tori. Ma il concetto di “esame” implica quello di giudizio, e il giudizio non è mai un fatto solamente tecnico, ma anche, e sia pure di riflesso, un fatto spirituale e morale.
L’animale sconfitto nella lotta per il dominio del branco subisce, questo è certo, anche una umiliazione; tuttavia, non bisogna spingere troppo oltre l’analogia con gli esseri umani: perché, in natura, non vi è morale e poi perché devono esserci un vinto e un vincitore, affinché sia il migliore a svolgere la funzione sociale più importante, a cominciare da quella riproduttiva.
Solo nel mondo umano la competizione sociale è ritualizzata e mascherata - anche se esiste, eccome -  a un punto tale che, teoricamente, potrebbero darsi solo dei vincitori, come nel caso di un primo premio assegnato “ex aequo” a due soggetti, o in quello di un accordo per la divisione consensuale di un bene agognato da più soggetti. Inoltre, solo nel mondo umano si opera una scelta in base a dei valori morali: la gallina che becca a morte un cucciolo di coniglio agisce per istinto, secondo natura (e chi vive in campagna, può assistere centinaia di volte a episodi di questo genere); mentre l’uomo che aggredisce malignamente un suo simile agisce in base a una scelta morale, ossia in base a una scelta tra il bene e il male.
Nessun giudizio, dunque, e nessun esame è possibile nei confronti dell’animale - anche se, nei secoli passati, talora la pensavano diversamente, e il maiale reo di aver divorato un bambino incustodito nella culla, poteva anche essere processato, condannato e impiccato;  mentre sia l’esame che il giudizio, anche solo di tipo morale, sono sempre presenti nella vita umana, che è fatta di azioni volontarie e di scelte continue; e, come abbiamo detto, l’esame può venire tanto dall’esterno, cioè dagli altri, quanto dall’interno, cioè da noi stessi.
Per tornare alla precedente domanda: dover sostenere continuamente delle prove e dei giudizi non è un male; perché la vita è lotta, e questo è il solo modo per tenersi allenati ad affrontarla nel modo giusto. Precisiamo: la vita è lotta, ma non nel senso del darwinismo sociale o, peggio, del superomismo nietzschiano; bensì nel senso che essa richiede incessantemente a tutti, dunque anche alle anime più miti, anzi ad esse specialmente, di confrontarsi con difficoltà, sacrifici, rinunce, scelte penose, dolorose lacerazioni. Crediamo che si tratti di una constatazione talmente ovvia, da non abbisognare di alcuna dimostrazione; bisognerebbe essere fatti di stoppa o avere un cuore di pietra anziché di carne, per non rendersene conto.
Il fatto che la vita sia lotta, e lotta continua, non implica necessariamente che essa sia ingiusta, o crudele, o spregevole e indegna delle anime belle; significa, semmai, che in essa vi sono momenti e situazioni dolorosi, che non si possono evitare in alcun modo e che è giocoforza attraversare, come si può, meglio che si può, sforzandosi di salvare, ed eventualmente di rafforzare, la propria parte migliore: quella più generosa, più sensibile, più amorevole
Nessuna difficoltà, nessun sacrificio e nessuna rinuncia hanno il potere di renderci peggiori, se noi non vi acconsentiamo; nessuna delusione può renderci amari e sconsolati, se noi non siamo disposti a cullarci in essa, a piangerci addosso, a chiuderci in essa come in un alibi per giustificare, davanti a noi stessi e agli altri, la nostra tendenza all’autocommiserazione, alla passività, alla rinuncia senza alcun tentativo di lotta.
In questo senso, gli “esami” sono dei passaggi necessari per la nostra crescita: se non vi fossero, è molto probabile che scivoleremmo nell’indolenza e nell’apatia; essi, invece, sferzando a sangue la nostra pigrizia, ci costringono a metterci alla prova, a riprendere la bisaccia del viandante ogni volta che saremmo tentati di sedere in pantofole, a salpare le ancore e sfidare i liberi venti del mare aperto ogni volta che vorremmo trattenerci pigramente in porto.
E veniamo alla seconda questione: chi è che fa gli esami e chi è a doverli sostenere.
Certo, gli esami della vita ci espongono al giudizio altrui: non dovremmo, però, sopravvalutare questo aspetto, ma concentrarci piuttosto sull’altro, quello dell’esame interiore. Essere approvati dagli altri può essere un buon segno o un cattivo segno, ciò dipende da molti fattori; ma, in buona sostanza, dipende dalla natura dell’esame e degli esaminatori. In una società buona, essere approvati dagli altri è una cosa buona, mentre essere disapprovati è una cosa cattiva; ma, in una società cattiva, può essere vero (si badi, non è necessariamente vero) l’opposto.
Per fare un esempio: in una famiglia buona, l’approvazione dei genitori all’operato di un figlio è cosa buona, la loro disapprovazione è una cosa cattiva; mentre in una famiglia cattiva, l’approvazione o la disapprovazione dei genitori possono essere cosa buona o cattiva a seconda delle circostanze. Abbandonare un genitore anziano e malato è cosa cattiva, anche se quel genitore è cattivo, mentre prendersi cura di lui, nei limiti del possibile, è cosa buona: una azione può essere buona anche se il giudizio altrui è negativo; ma non è detto che il giudizio negativo di una persona cattiva sia automaticamente il segno che si è agito bene.
Per sapere se si è agito bene, in ultima istanza esiste un solo tribunale realmente titolato: quello della propria coscienza, purché sia una coscienza retta e allenata al bene. Non qualunque coscienza è buon giudice di se stessa, ma solo una coscienza che, se non è del tutto buona, quanto meno tende al bene, lo sa vedere, lo sa riconoscere e si sforza di seguirlo, o, se non altro, si rammarica di non saperlo o di non poterlo fare.
In questo senso, gli esami che noi facciamo a noi stessi non finiscono mai, né debbono mai finire: guai se, arrivati a un certo punto, finissero: vorrebbe dire che siamo entrati nella zona d’ombra dell’ignavia morale, che abbiamo smesso di lottare, che abbiamo smesso di interrogarci; soprattutto, vorrebbe dire che abbiamo smesso di essere esigenti e intransigenti con noi stessi. E questo è, senza alcun dubbio, un male.
Attenzione: essere esigenti e intransigenti con se stessi è una cosa buona, purché sia condotta in un modo buono; vale a dire senza esagerazioni compulsive, senza estremismi patologici, senza tortuosità morbose. L’anima sana è giustamente esigente con se stessa; l’anima malata è esigente in maniera sproporzionata, assurda, incontentabile.
Per esempio: l’anima sana sarà addolorata, ma anche serena, davanti a un male che non abbia potuto impedire, perché esso non era umanamente evitabile; l’anima malata non si darà pace e si colpevolizzerà per qualunque cosa, anche per ciò che non era in suo potere di fare o di evitare: come non è in nostro potere salvare chi non vuole essere salvato, né è in nostro potere evitare l’ultima partenza delle persone a noi care.
L’anima malata è incapace di rassegnazione; da questo la si riconosce: essa non si rappresenta realisticamente la realtà, ma amplifica le cose e le situazioni a dismisura, per potersi flagellare e attribuire colpe immaginarie, per sentirsi responsabile di tutto quel che di male succede nel mondo. La coscienza esageratamente severa con se stessa è, dunque, l’espressione di una malattia dell’anima: di una malattia che risiede altrove, non nel fatto per cui essa si affligge, ma per qualcosa di molto più profondo ed essenziale, qualcosa che essa non ha mai avuto il coraggio di guardare in faccia.
Noi esseri umani, per esempio, non siamo Dio: non possiamo sostituirci a Lui, non possiamo fare tutto il bene che vorremmo, né evitare tutto il male che detestiamo: perché, dopotutto, siamo soltanto umani. Il più grande inganno e la più grande crudeltà che siano stati perpetrati contro l’anima dell’uomo consistono nell’aver proclamato che, dopo la morte di Dio, l’uomo doveva farsi il Dio di se stesso, onnipotente e infallibile.
Un’altra manifestazione di malattia del’anima è quella opposta: l’ignavia, l’abbandono, la passività rinunciataria. Lo abbiamo già detto; anche questa è malattia; e anche ciò genera una falsa coscienza: perché una tale anima dà luogo a una coscienza appannata, ottusa, smarrita, del tutto incapace di prendersi cura di se stessa, per non parlare degli altri.
Di solito queste anime deboli cercano, per tutta la vita, una stampella cui appoggiarsi: una moglie o un marito, un figlio o un amante, un partito o una parrocchia; ma sempre si troveranno a dipendere da qualcosa che non è in loro, che non fa parte di loro; da qualcosa che, nel migliore dei casi, altro non farà che perpetuare la loro debolezza, la loro eccessiva indulgenza verso se stesse, il loro segreto auto-disprezzo.
Così, per due vie appartenente opposte, quella del credersi Dio e quella del ritenersi un niente, l’anima è suscettibile di ammalarsi e di esprimere una falsa coscienza di sé. La salute dell’anima, d’altra parte, non è un dato naturale, ma una conquista faticosa e sofferta: tanto più faticosa e tanto pià sofferta quanto più l’anima è ricca, sensibile e predisposta al bene. È un mistero: l’anima predisposta al bene soffre di più; ma anche il suo splendore è più grande.
Così, siamo giunti alle soglie del mistero della sofferenza. Quest’ultima non è un bene in se stessa, ma un mezzo di purificazione e di elevazione, beninteso se vissuta con coraggio e con fedeltà alla propria chiamata: e, in un certo senso, siamo tutti chiamati ad essere santi. Il fatto che solo pochi ci riescano, dipende soltanto da una debolezza del vedere, del volere, dell’amare…

domenica 27 maggio 2012




Basilica Vaticana
Domenica, 27 maggio 2012


Cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di celebrare con voi questa Santa Messa, animata oggi anche dal Coro dell’Accademia di Santa Cecilia e dall’Orchestra giovanile - che ringrazio -, nella Solennità di Pentecoste. Questo mistero costituisce il battesimo della Chiesa, è un evento che le ha dato, per così dire, la forma iniziale e la spinta per la sua missione. E questa «forma» e questa «spinta» sono sempre valide, sempre attuali, e si rinnovano in modo particolare mediante le azioni liturgiche. Stamani vorrei soffermarmi su un aspetto essenziale del mistero della Pentecoste, che ai nostri giorni conserva tutta la sua importanza. La Pentecoste è la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana. Tutti possiamo constatare come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e le distanze geografiche sembrano sparire, la comprensione e la comunione tra le persone sia spesso superficiale e difficoltosa. Permangono squilibri che non di rado portano a conflitti; il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi. In questa situazione, possiamo trovare veramente e vivere quell’unità di cui abbiamo bisogno?
La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli, che abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11), contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele? E’ la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro l’altro. Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme.
Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo.  Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’ vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come?
La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. E questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.
Ma guardiamo al Vangelo di oggi, nel quale Gesù afferma: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito  di unità e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.
La contrapposizione tra Babele e Pentecoste riecheggia anche nella seconda lettura, dove l’Apostolo dice: “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Gal 5,16). San Paolo ci spiega che la nostra vita personale è segnata da un conflitto interiore, da una divisione, tra gli impulsi che provengono dalla carne e quelli che provengono dallo Spirito; e noi non possiamo seguirli tutti.  Non possiamo, infatti, essere contemporaneamente egoisti e generosi, seguire la tendenza a dominare sugli altri e provare la gioia del servizio disinteressato. Dobbiamo sempre scegliere quale impulso seguire e lo possiamo fare in modo autentico solo con l’aiuto dello Spirito di Cristo. San Paolo elenca - come abbiamo sentito - le opere della carne, sono i peccati di egoismo e di violenza, come inimicizia, discordia, gelosia, dissensi; sono pensieri e azioni che non fanno vivere in modo veramente umano e cristiano, nell’amore. E’ una  direzione che porta a perdere la propria vita. Invece lo Spirito Santo ci guida verso le altezze di Dio, perché possiamo vivere già in questa terra il germe di vita divina che è in noi. Afferma, infatti, san Paolo: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace» (Gal 5,22).  E notiamo che l’Apostolo usa il plurale per descrivere le opere della carne, che provocano la dispersione dell’essere umano, mentre usa il singolare per definire l’azione dello Spirito, parla di «frutto», proprio come alla dispersione di Babele si contrappone l’unità di Pentecoste.
Cari amici, dobbiamo vivere secondo lo Spirito di unità e di verità, e per questo dobbiamo pregare perché lo Spirito ci illumini e ci guidi a vincere il fascino di seguire nostre verità, e ad accogliere la verità di Cristo trasmessa nella Chiesa. Il racconto lucano della Pentecoste ci dice che Gesù prima di salire al cielo chiese agli Apostoli di rimanere insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa anche quest’oggi prega: «Veni Sancte Spiritus! - Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.

sabato 26 maggio 2012

La discesa dello Spirito Santo: il Giorno della Vita

Vangelo della Domenica di Pentecoste

di padre Angelo del Favero*
ROMA, giovedì, 24 maggio 2012 (ZENIT.org).- At 2,1-11
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti assieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.(…)..e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.
Gal 5,16-25
Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne.(…) Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito”.
Gv 15,26-27; 16,12-15
Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità, che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.



Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste,...” (At 2,1s): con questa precisazione, Luca non si riferisce solamente alla fine del giorno della Pentecoste ebraica (celebrata 50 giorni dopo Pasqua), e lo sconvolgimento fisico che descrive non deve far pensare alla forza di un improvviso fatto naturale.
Non si tratta di un terremoto, ma di un “cuoremoto”, il cui doppio epicentro va ricercato in alto nel Cielo e, nello stesso tempo, in basso sulla terra, nel cuore dei discepoli. E’ in loro infatti che avviene un vero e proprio sisma interiore, la cui intensità è intuibile da questi effetti clamorosi: “..e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue,..Erano stupiti e fuori di sé per la meraviglia,..” (At 2,4.7).
Si adempie così la promessa pasquale di Gesù: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità.. prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.” (Gv 16,13-14).
A differenza di Luca, per l’evangelista Giovanni la venuta dello Spirito accade mentre stava compiendosi il giorno stesso della Risurrezione di Gesù: “La sera di quel giorno, il primo della settimana,..venne Gesù,..soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo.” (Gv 20,19.22).
E’ evidente in entrambi che l’incontro con il Risorto, ormai sottratto ai limiti del tempo e dello spazio, può accadere solo per mezzo del suo Spirito Santo.
Torniamo nel Cenacolo: qual’è il compito che attende gli apostoli, radunati con Maria nel giorno della nascita della Chiesa? (cfr Lumen Gentium, 59).
Essi devono testimoniare“che Gesù non è rimasto nel sepolcro, ma che è vivo. La loro testimonianza concreta si traduce essenzialmente in una missione: devono annunciare al mondo che Gesù è il Vivente – la Vita stessa” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II, Prospettive).
Il discepolo che Gesù amava, infatti, scrive: “E la testimonianza è questa: Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita” (1Gv 5,11-12).
Il “giorno della Pentecoste” è dunque il “giorno della Vita”.
Da allora, com’è vero che un bambino che nasce non se ne va più, e rimane a portare la gioia della sua venuta, ed egli cambia tutta la casa dov’è nato, così lo Spirito Santo che viene e fa nascere la Chiesa, inaugura in Lei la permanente e vivificante presenza del suo Capo risorto.
Tutto ciò è verissimo: “Ma come si realizza questo? Dove lo troviamo? Lui, il Risorto, l’“Innalzato alla destra di Dio” (At 2,33) non è forse, di conseguenza, del tutto assente? O è invece in qualche modo raggiungibile? Possiamo noi inoltrarci fino “alla destra del Padre”? Esiste, tuttavia, nell’assenza anche una reale presenza? Non viene forse a noi solo in un ultimo giorno non noto? Può venire anche oggi?” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II, Prospettive).
Il Papa risponde così:
Gesù.. non è “andato via”, ma, in virtù dello stesso potere di Dio, è ora sempre presente accanto a noi e per noi: “Vado e vengo a voi” (Gv 14,28). Qui è meravigliosamente sintetizzata la peculiarità dell’“andare via” di Gesù, che al contempo è il suo “ venire”. Il suo andarsene è proprio così un venire, un nuovo modo di vicinanza, di presenza permanente con la quale anche Giovanni connette la gioia dei discepoli dopo l’ascensione” (id.).
Semplicemente meraviglioso! Ma noi, cosa dobbiamo non fare affinché il ‘cuoremoto’ dello Spirito possa sconvolgere e trasformare realmente la nostra vita?
Ecco, Paolo oggi ci avverte: “La carne ha desideri contrari allo Spirito.. sicché voi non fate quello che vorreste: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Gal 5,16-25).
Paolo non si riferisce solo alla situazione morale dei Galati, ma anche a quella della nostra attuale società: “..e cose del genere”.
L’elenco da fare oggi è simile al suo, poiché le attuali “cose del genere” appartengono tutte al medesimo “desiderio della carne”: l’ideologia della libera scelta del “genere”, i comportamenti omosessuali e transessuali, l’erotismo nei media e nella moda, la “dissolubilità” del matrimonio, le convivenze, la gratificazione fine a se stessa, il culto dell’io, la contraccezione, l’aborto, la fecondazione artificiale, l’eugenetica, la ricerca amorale, lo scientismo, l’eutanasia.
Sono tutte cose incompatibili con la vita del Regno di Dio dentro di noi, cose in grado solo di generare violenza, peccato e morte.
Il “regno di Dio” è Gesù, ilVivente, laVitastessa, è l’Amore divino effuso da Lui nei nostri cuori “mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).
Lo Spirito ci è stato dato come una Via da percorrere nella verità e nella libertà, camminando appunto “secondo lo Spirito”, al passo dello Spirito, cioè docilmente, pregando e amando, come ci insegna ancora la sapienza di Benedetto:
Noi non potremmo pregare se non fosse iscritto nella profondità del nostro cuore il desiderio di Dio, l’essere figli di Dio. Da quando esiste, l’homo sapiens è sempre in ricerca di Dio, cerca di parlare con Dio, perché Dio ha scritto Se stesso nei nostri cuori. Quindi la prima iniziativa viene da Dio, e, con il Battesimo, di nuovo Dio agisce in noi, lo Spirito Santo agisce in noi; è il primo iniziatore della preghiera perché possiamo poi realmente parlare con Dio e dire “Abbà” a Dio.” (Catechesi durante l’Udienza Generale, mercoledì 23 maggio 2012).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

venerdì 25 maggio 2012

I vescovi: "Anche in Canada è in pericolo la libertà religiosa"


di Massimo Introvigne


 Con una Lettera pastorale sulla libertà di coscienza e di religione (http://tinyurl.com/c4v97h6 per il testo francese), datata Aprile 2012, i vescovi del Canada denunciano che le violazioni della libertà religiosa, in particolare dei cristiani, drammatiche in tutto il mondo, sono all'ordine del giorno anche nel loro Paese.
Il nostro decennio sarà ricordato come quello in cui la Chiesa Cattolica ha dovuto levare la sua voce per difendersi da attacchi alla libertà religiosa non solo in Africa e in Asia, ma anche in Occidente. Gli Stati Uniti –  un Paese un tempo lodato dalla Chiesa, ancora durante la visita pastorale di Benedetto XVI nel 2008, per l'attenzione alla libertà religiosa – con l'amministrazione Obama hanno iniziato uno scontro senza precedenti con la Chiesa Cattolica, e i vescovi hanno dovuto reagire con ripetuti documenti di denuncia che rappresentano il momento di massima tensione fra i cattolici americani e il governo nell'intera storia statunitense.
Lo stesso avviene ora anche in Canada. I vescovi – dopo avere offerto un riassunto del Magistero in materia di libertà religiosa – denunciano in particolare:
- "ordini dei medici che impongono ai medici che non intendono praticare l'aborto di fissare al paziente che lo richiede un appuntamento con un collega disposto a praticarlo";
- "farmacisti che non desiderano farlo costretti a vendere contraccettivi o pillole del giorno dopo";
- "in quattro Province (Colombia Britannica, Manitoba, Terranova, Saskatchewan) gli ufficiali di stato civile devono celebrare i matrimoni omosessuali oppure dimettersi dalle loro cariche pubbliche";
- "le leggi antidiscriminazioni" – cioè, in concreto, la legge contro l'omofobia – sono usate per "violare la libertà religiosa" e "creare nuovi 'diritti' individuali che prevalgono sul bene comune";
- in numerose località i simboli e le feste cristiane sono banditi dagli spazi e dalle scuole pubbliche, con il pretesto di non violare i diritti delle minoranze religiose ma in realtà seguendo l'ideologia di un "laicismo radicale".
Giustamente, i vescovi fanno notare che la discriminazione nasce dall'intolleranza, dalla "derisione culturale sistematica" delle credenze religiose, del cristianesimo e della Chiesa Cattolica nei media, nella letteratura e nell'arte.
L'analisi, affermano i presuli, non è sufficiente. Occorre che i cattolici mettano in atto una reazione "vigorosa" in campo culturale e politico. Ma, fino a quando non riusciranno a cambiare le leggi, i cattolici dovranno anche ricordare che alle leggi ingiuste non solo si può, ma si deve – sotto pena di peccato grave – disobbedire, "pronti a subire le conseguenze che comporta la fedeltà a Cristo", che si tratti della perdita del posto di lavoro o anche della persecuzione e del carcere.
A tutti, nell'anno che ricorda i vent'anni del Catechismo della Chiesa Cattolica, i vescovi canadesi indicano la norma certa contenuta nel n. 2242 di tale Catechismo:  «Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. "Rendete [...] a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21). "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (At 5,29)».

fonte: http://www.cesnur.org/2012/canada.htm

venerdì 6 aprile 2012

Ogni annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù: "La mia dottrina non è mia"

SANTA MESSA DEL CRISMA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Giovedì Santo, 5 aprile 2012 



Cari fratelli e sorelle!

In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre. Egli stesso è la Verità. Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. “Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?” Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi? Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?

Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada.

Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.

Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.

Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento, il (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso. Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l’esperienza di aver bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo.

Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino: E che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d’Ars non era un dotto, un intellettuale, lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso era stato toccato nel cuore.

L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore. Amen.

domenica 1 aprile 2012

La libertà della verità

S.Messa per i Parlamentari della Repubblica Italiana in occasione della S.Pasqua

Roma, Chiesa di S.Maria sopra Minerva,
28 marzo 2012

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La vicinanza della Pasqua ci invita ad incontrarci per la Celebrazione eucaristica: è sempre una grazia poter pregare insieme gli uni per gli altri, per le vostre famiglie, per tutti coloro che svolgono il compito della politica e del governo del Paese.

Come sempre, ci lasciamo sorprendere dalla Parola di Dio. Sia il Profeta Daniele che il Vangelo di Giovanni ci parlano di libertà e di verità. I tre giovani che non si piegano all'ordine iniquo del re Nabucodonosor che li voleva piegare all'idolatria, sono l'esempio ante litteram di quello che dirà il Signore Gesù nella pienezza dei tempi: "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Sappiamo che la verità è Lui stesso: "io sono la verità". Se la libertà, come ogni altra facoltà, è stata data all'uomo per il suo bene, e se il bene della persona è tutto ciò che corrisponde a ciò che egli è per natura – cioè alla sua verità - allora solo se la libertà abbraccia la verità è buona, perché fa bene all'uomo, lo sviluppa, lo porta alla sua pienezza. Ecco perché i tre giovani che non si sono piegati alla menzogna, che hanno misurato la loro libertà sulla verità, escono dalla fornace non solo sani, ma soprattutto più uomini. Hanno, in breve tempo, fatto un grande tratto di strada nella loro crescita. Sono usciti più liberi perché sono rimasti nella verità a costo della vita.

Oggi, di solito, non si deve rischiare la vita per scegliere la verità dei principi, per essere coerenti con la verità delle cose. Si tratta piuttosto di andare controcorrente rispetto al pensiero unico, alle opinioni dominanti che in nome del rispetto e della tolleranza uccidono la verità e con essa fanno danno all'uomo: "Il non conformismo cristiano – scrive Benedetto XVI – ci redime (...) perché ci restituisce alla verità" (Lectio divina nell'incontro con i Parroci di Roma, 23.3.2012). Si è anticonformisti quando non sottostiamo alle letture vincenti quando non ci convincono, e quando non ci lasciamo omologare. Il credente è non conformista quando non ha paura di rimanere solo in compagnia della verità, l'unica che paga veramente perché fa grande la coscienza. Quando non fugge e non si nasconde di fronte alle immediate e corali patenti di fanatismo, di intolleranza o di mentalità retrograda.

Si dice che bisogna vivere nella storia e che questa – essendo plurale – impone linee mediane: ciò è vero e giusto in moltissime questioni. Ma se questo principio pratico si volesse applicarlo ovunque e comunque, anche alle evidenze universali e ai valori morali, alle linee portanti della natura umana, allora viene azzerato ogni punto di riferimento, il piano si inclina e si giunge ad autorizzare la barbarie rivestita di umanesimo e di fratellanza. Allora si pretende di ridefinire anche l'uomo; ma egli non ci guadagna perché ha in se stesso la sua verità, è scritta nel suo essere che, pur vivendo nella storia, è anche metastorico. Si dice che non esistono valori assoluti, cioè validi per tutti e per sempre, poiché tutto sarebbe cultura e storia; appartiene però alla coscienza universale un "no" netto ad azioni o fatti aberranti giudicati come male assoluto, come il commercio dei bambini, la schiavitù e altro..., di cui neppure si deve discutere perché su certe mostruosità non si fa accademia. Bisogna, però, essere umili e vigili, perché lentamente ci si abitua a tutto: spesso basta ripetere in modo ossessivo la menzogna perché appaia vera. Quando, nel pubblico dibattito, si osa eccepire o dire il contrario, spesso nascono clamori scandalizzati come si fosse toccato dei nervi scoperti, e così facilmente si crea un clima intimidatorio che spinge a diversi consigli, in apparenza più aperti, ma in realtà pavidi rispetto alle reazioni urlate, o verso i compagni di viaggio. I giovani della fornace ardente hanno scelto e agito diversamente: sapevano che perdere le ragioni del vivere per mantenere la vita, sarebbe stato tagliare per sempre la loro vita alla sua stessa radice. E hanno sfidato il re.

Ho detto che bisogna imparare a stare in compagnia della verità, se occorre anche da soli. Dobbiamo però riconoscere che la compagnia dei fratelli conforta non poco la nostra umanità, e rafforza il nostro coraggio. E' legittimo pensare che i tre giovani si siano fatti animo a vicenda. E' umano. Ed ecco che qui emerge la bellezza del camminare insieme: quell' "insieme" che è dato dalla visione comune della vita e dell'uomo, della società e dello Stato. Camminate insieme con fiducia e benevolenza, con stima reciproca e coraggio: su molte cose le opinioni saranno logicamente differenti – lo ricorda anche il Concilio Vaticano II – ma sui valori essenziali vi ritroverete pienamente, e potrete insieme meglio esporre a tutti argomenti e testimonianza. Ho detto argomenti, perché, come ben sapete, i cattolici non vogliono imporre a nessuno un'etica confessionale. Purtroppo sembra che gli attori culturali e comunicativi non vogliano ascoltare quanto si ripete da sempre, e cioè che il fatto che alcuni principi facciano parte del Vangelo non diminuisce la legittimità civile e la laicità dell'impegno di coloro che in essi si riconoscono: "La laicità vera, infatti, rispetta le verità che emergono dalla conoscenza naturale sull'uomo che vive in società" (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale, 24.11.2002).

Cari Fratelli e Sorelle, vi ringrazio per la vostra presenza attenta e orante, ed auguro una Santa Pasqua a voi, ai vostri cari e ai vostri colleghi. Il Signore risorto illumini i vostri pensieri e sostenga le vostre decisioni in vista del bene del nostro Paese. La gente guarda a voi e desidera sentirsi al primo posto nei vostri pensieri e nel vostro lavoro quotidiano. La nostra preghiera vi accompagna.

Angelo Card. Bagnasco