Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

giovedì 26 dicembre 2013

Buon Natale a tutti i lettori

Da una parabola ebraica:

..c’erano quattro candele accese…: la prima si lamentava: “Io sono la pace. Ma gli uomini preferiscono la guerra: non mi resta che lasciarmi spegnere”. E così accadde. La seconda disse: “Io sono la fede. Ma gli uomini preferiscono le favole: non mi resta che lasciarmi spegnere”. E così accadde. La terza candela confessò: “Io sono l’amore. Ma gli uomini sono cattivi e incapaci di amare: non mi resta che lasciarmi spegnere”. All’improvviso nella stanza comparve un bambino che, piangendo, disse: “Ho paura del buio”. Allora la quarta candela disse: “Non piangere. Io resterò accesa e ti permetterò di riaccendere con la mia luce le altre candele: io sono la speranza”.»


Attorno al simbolo del cero acceso si sviluppa anche la parabola ebraica sopra sintetizzata: essa mette in scena simbolicamente la pace, che nella Bibbia è il grande dono messianico, e le tre virtù teologali. Anche in questo racconto al centro c'è un bambino, come il neonato Gesù del testo evangelico (Luca 2, 22-40): è lui a far sfavillare nuovamente le candele spente. Sì, perché sulla storia il sudario delle tenebre si allarga spegnendo le luci della pace, dono sempre sospirato, della fede che allarga gli orizzonti e dell'amore che riscalda la vita. Rimane l'ultimo filo di luce, quello della candela della speranza. Ad essa si rivolge il bambino per riportare in vita la pace, la fede e l'amore. Anche le nostre riflessioni quotidiane sono spesso segnate dallo sconforto e dal realismo che ci induce giustamente a non ignorare il male del mondo. Ma l'ultima parola dovrebbe essere sempre quella della speranza, «il rischio da correre, anzi, il rischio dei rischi» (G. Bernanos) che riesce a far sbocciare la luce. 

Fonte:
http://www.avvenire.it/Rubriche/Pagine/Il%20mattutino/le%20quattro%20candele.aspx?Rubrica=Il%20mattutino

domenica 8 dicembre 2013


Esulto e gioisco nel Signore,
l’anima mia si allieta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza,
mi ha avvolto con il manto della giustizia,
come una sposa adornata di gioielli. (Is 61,10)

domenica 24 novembre 2013

“Ehi, voi laggiù! Noi, quassù, non ne possiamo più!”. Peccato e castigo.

Proponiamo la lettura di un articolo del sito "PapalePapale.com" di Antonio Margheriti Mastino. Condividiamo pienamente l'esortazione a meditare in maniera sapienziale il disastro dell'alluvione in Sardegna, ricordando anche quella di inizio Giugno di quest'anno stesso in Austria e Germania.
Ci lascia invece abbastanza perplessi l'attribuire come causa della maggior furia a Olbia dell'alluvione, l'apertura della cappella ecumenica all'Aeroporto Costa Smeralda voluta dal vescovo Sanguinetti. 
Buona visione e buona lettura.

Una sera di agosto di molti anni fa, avevo circa otto anni, io e altri bambini del condominio, giocavamo nel giardino condominiale. Eravamo molto chiassosi. Dopo le dieci di sera, il condomino dell’ultimo piano, ci lanciò una freddissima secchiata d’acqua, gridando: “Ehi, voi laggiù! Noi, quassù, non ne possiamo più!”.
Perché vi racconto questo episodio della mia infanzia?
Come potete dedurre dal cognome, la regione della Strega è la bellissima Sardegna, recentemente duramente colpita dal ciclone “Cleopatra”.
Lo scorso 13 luglio, all’aeroporto “Costa Smeralda” di Olbia, è stata inaugurata dal vescovo di Tempio-Pausania, monsignor Sebastiano Sanguinetti, una cappella ecumenica, un specie di luogo di meditazione progettato per credenti e non credenti.
La città colpita più duramente dalla “bomba d’acqua” è proprio Olbia. È solo un coincidenza?
Negli ultimi dieci anni, il mondo è caduto sempre più in basso, arrivando quasi a toccare il fondo più putrido del peccato. Ciò che appariva impossibile ritenere anche solo tollerabile, in quanto contro natura, oggi sta diventando “diritto civile”: sodomia, pedofilia e pederastia, l’incesto, la zoofilia, etc… Neppure ai tempi del diluvio, l’umanità si era ribellata così tanto al suo Creatore. «L’umanità di oggi», disse S. Pio da Pietrelcina poco prima di morire, «è peggiore dei demoni, i quali ancora temono e tremano davanti a Dio».
Effettivamente, dal 2004 ad oggi, le catastrofe naturali sono raddoppiate in quasi tutto il globo terrestre. Negli ultimi 9 anni, non c’è continente che non sia stato colpito da una devastante calamità naturale, a cominciare dal famoso tsunami del dicembre del 2004, passando per i tornado nelle Americhe, i terremoti in Giappone e i cicloni in Europa. Solamente l’Italia, dal 2009 ad oggi, è stata colpita da due terremoti (Abruzzo ed Emilia-Romagna) e dal citato ciclone in Sardegna.
Coloro che sono conviti che Dio non castighi, sono degli scellerati che non sanno apprezzare questi preziosi richiami del Signore al pentimento e alla penitenza. “Castigare”, abbiamo visto precedentemente, vuol dire “rendere casto”, purificare, mondare. Se il Signore non ci castigasse, non ci rendesse casti, non avremo parte con Lui né in questa, né nell’altra vita. I suoi castighi non sono mai fini a stessi: servono a purificarci e ad ammonirci, ad avvisarci che stiamo abusando della sua Giustizia e della sua Misericordia.
Il mondo è diventato una grande macchia di peccato e la cattolicità sta superando il limite dell’apostasia.
“Ehi, voi laggiù! Noi, quassù, non ne possiamo più!”.
Il Signore, però, anche quando tocchiamo il fondo, non manca mai di darci l’aiuto per risalire. Questo aiuto è la Madonna.
L’anno scorso, i vigili del fuoco di New York, il giorno dopo il tremendo uragano Sandy, misero nella loro pagina Facebook la foto di una statua della Beata Vergine Maria situata nel quartiere “Queens”, precisamente nella sezione di “Breezy Point”, l’unico oggetto rimasto intatto dalla furia dell’uragano. Più di ottanta edifici furono distrutti, solo quella statua rimase in piedi.
Anche nelle Filippine, paese colpito da un cataclisma lo scorso 15 ottobre, gli unici oggetti rimasti intatti nei luogo più devastati, sono statue sacre.
Nella Sardegna della Strega, si parla di “miracolo di Arzachena”, un paesino dalla Gallura, quasi completamene distrutto: solamente due statuine sacre sono rimaste intatte dalla furia dell’acqua.
La Madonna, dunque, è la nostra ancora di salvezza. Non disprezziamola e facciamo ciò che ci raccomanda: «Pentitevi! Pentitevi! Pentitevi!» (Apparizione di Lourdes). «[...] Abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: “Penitenza, Penitenza, Penitenza!” [...]» (Terza parte del Segreto di Fatima).
I frutti del castigo di Dio devono essere il pentimento, la conversione e la penitenza.

sabato 19 ottobre 2013

Emperor Karl of Austria, King of Hungary


Lunedì 21 Ottobre sarà la festa liturgica del Beato Carlo d'Asburgo.
Preghiamo per la pace in Europa e nel mondo, per avere governanti che seguano le leggi del Creatore e per le intenzioni del Santo Padre.

domenica 1 settembre 2013

Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra.

1 Settembre 1939: la Germania nazista invase la Polonia. Due giorni dopo Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra a Hitler. Il grido di Pio XII rimase inascoltato: "Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra".



Nell'odierno angelus abbiamo potuto constatare la forte preoccupazione di Papa Francesco per le terribili conseguenze dovute ad un irresponsabile attacco alla Siria. Accogliamo il suo appello al digiuno per il prossimo 7 Settembre e preghiamo Maria, Regina del Cielo e della Terra, che ci sia concessa la pace.

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. (Mt 5,3-5,9)

venerdì 16 agosto 2013

La prima volta che Francesco contraddice Benedetto

Su un punto nevralgico: la messa in rito antico. Ratzinger ne ha consentito a tutti la celebrazione. Bergoglio l'ha proibita a un ordine religioso che la prediligeva
 ( fonte: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350567 )

di Sandro Magister





ROMA, 29 luglio 2013 – Un punto sul quale Jorge Mario Bergoglio era atteso al varco, dopo la sua elezione a papa, era quello della messa in rito antico.

C'era chi prevedeva che papa Francesco non si sarebbe discostato dalla linea del suo predecessore. Il quale aveva liberalizzato la celebrazione della messa in rito antico come forma "straordinaria" del rito moderno, con il motu proprio "Summorum pontificum" del 7 luglio 2007:

> Benedetto XVI liberalizza il rito antico della messa. E spiega perché

e con la successiva istruzione "Universæ ecclesiæ" del 13 maggio 2011:

> Due messe per un'unica Chiesa

E c'era chi invece pronosticava da parte di Francesco una restrizione – o addirittura una cancellazione – della possibilità di celebrare la messa con il rito anteriore al Concilio Vaticano II, anche a costo di contraddire le delibere di Benedetto XVI con lui ancora vivente.

A leggere un decreto emesso dalla congregazione vaticana per i religiosi poco prima del viaggio di Francesco in Brasile, con l'approvazione esplicita dello stesso papa, si dovrebbe dare più ragione ai secondi che ai primi.

Il decreto ha la data dell'11 luglio 2013, il numero di protocollo 52741/2012  e le firme del prefetto della congregazione, il cardinale Joao Braz de Aviz, focolarino, e del segretario della stessa, l'arcivescovo José Rodríguez Carballo, francescano.

Braz de Aviz è l'unico alto dirigente di curia di nazionalità brasiliana e per questo ha accompagnato Francesco nel suo viaggio a Rio de Janeiro. Ha fama di progressista, anche se più gli si addice quella di confusionario. E sarà probabilmente uno dei primi a saltare, appena la riforma della curia annunciata da Francesco prenderà corpo.

Rodríguez Carballo gode invece della piena fiducia del papa. La sua promozione a numero due della congregazione è stata voluta dallo stesso Francesco all'inizio del suo pontificato.

Difficile dunque pensare che papa Bergoglio non si sia avveduto di ciò che approvava, quando gli fu presentato il decreto prima della pubblicazione.

Il decreto insedia un commissario apostolico – nella persona del cappuccino Fidenzio Volpi – alla testa di tutte le comunità della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata.

E già questo è motivo di stupore. Perché i Francescani dell'Immacolata sono una delle più fiorenti comunità religiose nate nella Chiesa cattolica negli ultimi decenni, con rami maschili e femminili, con numerose e giovani vocazioni, diffusi in più continenti e con una missione anche in Argentina.

Si vogliono fedeli alla tradizione, nel pieno rispetto del magistero della Chiesa. Tant'è vero che nelle loro comunità celebrano messe sia in rito antico che in rito moderno, come del resto fanno in tutto il mondo centinaia di altre comunità religiose – per fare un solo esempio i benedettini di Norcia – applicando lo spirito e la lettera del motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI.

Ma proprio questo è stato loro contestato da un nucleo di dissidenti interni, i quali si sono appellati alle autorità vaticane lamentando l'eccessiva propensione della loro congregazione a celebrare la messa in rito antico, con l'effetto di creare esclusioni e contrapposizioni dentro le comunità, di minare l'unità interna e, peggio, di indebolire il più generale "sentire cum Ecclesia".

Le autorità vaticane hanno risposto inviando un anno fa un visitatore apostolico. E ora ecco la nomina del commissario.

Ma ciò che più stupisce sono le ultime cinque righe del decreto dell'11 luglio:

"In aggiunta a quanto sopra, il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l'uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata [sic] dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta".

Lo stupore deriva dal fatto che ciò che qui viene decretato contraddice le disposizioni date da Benedetto XVI, che per la celebrazione della messa in rito antico "sine populo" non esigono alcuna previa richiesta di autorizzazione:

"Ad talem celebrationem secundum unum alterumve Missale, sacerdos nulla eget licentia, nec Sedis Apostolicae nec Ordinarii sui" (1).

Mentre per le messe "cum populo" pongono alcune condizioni, ma sempre assicurando la libertà di celebrare.

In generale, contro un decreto di una congregazione vaticana è possibile fare ricorso presso il supremo tribunale della segnatura apostolica, oggi presieduto da un cardinale, l'americano Raymond Leo Burke, giudicato amico dai tradizionalisti.

Ma se il decreto è oggetto di approvazione in forma specifica da parte del papa, come sembra avvenire in questo caso, il ricorso non è ammesso.

I Francescani dell'Immacolata dovranno attenersi al divieto di celebrare la messa in rito antico a partire da domenica 11 agosto.

E ora che cosa accadrà, non solo tra loro ma nella Chiesa intera?

Era convinzione di Benedetto XVI che "le due forme dell’uso del rito romano possono arricchirsi a vicenda". L'aveva spiegato nell'accorata lettera ai vescovi di tutto il mondo con cui aveva accompagnato il motu proprio "Summorum pontificum":

> "Con grande fiducia e speranza…"


Ma da qui in avanti non sarà più così, almeno non per tutti. Ai Francescani dell'Immacolata, costretti a celebrare la messa soltanto nella forma moderna, non resterà che un solo modo per fare tesoro di quello che ancora Benedetto XVI auspicava: "manifestare" anche in questa forma, "in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso".

Sta di fatto che un caposaldo del pontificato di Joseph Ratzinger è stato incrinato. Da un'eccezione che molti temono – o auspicano – diventerà presto la regola.

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(1) Curiosamente, ancora sei anni dopo la pubblicazione, il motu proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI continua a essere presente nel sito ufficiale della Santa Sede solamente in due lingue e tra le meno conosciute: la latina e l'ungherese.

giovedì 15 agosto 2013

Et signum magnum apparuit in caelo; mulier amicta sole, et luna sub pedibus eius, et in capite eius corona stellarum duodecim. Et in utero habens clamabat parturiens et cruciabatur ut pariat.  (Ap 12,1)



Tiziano Vecellio, "Assunzione della Vergine", 1516-18 - Olio su tavola, 690 x 360 cm, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia -

giovedì 8 agosto 2013

Etimologia di due parole in neolingua

Non volevamo immischiarci nei temi caldi dell'omofobia e del femminicidio proposti dai mezzi di informazione negli ultimi mesi, ma alla fine abbiamo deciso di dare il nostro contributo.
Analizziamo etimologicamente le due parole. Dal greco antico homòios (uguale, stesso) + fòbos (paura). Il risultato vuol dire dunque paura dell'uguale. Ma chi è omofobo non dovrebbe avere paura del diverso ossia di chi è omosessuale? Il termine giusto sarebbe quindi omosessualfobia o gayfobia.
Arriviamo all'etimologia della parola femminicidio. Prendendo il vocabolario etimologico Pianigiani, la parola "femmina" (dal latino FOEMINA) può avere due diverse origini. Secondo il filologo Curtius la radice sanscrita DHA ha il senso di allattare. Il filologo Georges invece attribuisce la stessa origine al termine feto. La desinenza -MINA risponderebbe ad un suffisso participiale. La parola femmina, in sostanza, significherebbe "colei che allatta/genera". Poniamo pertanto un'altra domanda: perché non chiamare questo reato donnicidio? La parola DONNA deriva sempre dal Latino (domina, -ae) ed ebbe una volta il significato di signora; oggi è comunemente usato per la Femmina della specie umana. Ma allora non sarebbe femminicidio anche la soppressione di una mucca mandata al macello, di una gatta, e via dicendo?
Aggiungiamo, inoltre, che l'italiano non ha mantenuto una parola diversa da Uomo per indicare l'essere umano sia uomo che donna. E' da ciò che deriva omicidio, ragione in più perché il reato si dovrebbe chiamare DONNICIDIO, se proprio vogliamo creare un'aggravante. Il greco ha come parola ANTHROPOS, il tedesco MENSCH. Entrambi stanno ad indicare la razza umana e che uomo e donna hanno pari dignità.

lunedì 15 luglio 2013

Famiglia e società




Fino al X secolo non occorreva un sacerdote per sancire il patto tra gli sposi; la Chiesa, che ai legami di sangue favoriva la comunità di fede, non aveva ancora elaborato il predominio giuridico sulla famiglia. E’ giusto dire che nel tempo il matrimonio si è rivelato uno “strumento clericale” per fare adepti?

La Chiesa cattolica non si è mai disinteressata del matrimonio, ma di questo ne ha fatto un sacramento abbastanza tardi, nel XII° secolo. Controllare il matrimonio era per essa un modo di intervenire nelle alleanze tra le famiglie e le discendenze. Ma la Chiesa ha anche ereditato una diffidenza verso il corpo e il sesso, sconfinata, nei primi secoli della nostra epoca, agli eccessi delle sette encratiste. San Paolo vedeva nel matrimonio un ripiego, un «rimedio contro la lussuria»: sposatevi, diceva lui in sostanza, se non siete capaci di fare altrimenti, cioè di restare vergini. Ciò spiega, nonostante tutto quello che si possa dire in favore del matrimonio, il modo in cui la Chiesa ha sempre considerato la verginità  uno stato perfetto. Non direi che il matrimonio è diventato oggi uno “strumento clericale” : la gente si sposa sempre meno e la pratica religiosa è in crisi. A differenza dell’Italia, in Francia vi è inoltre un fenomeno particolarmente accentuato: al momento attuale, un bambino su due nasce fuori dal matrimonio, proporzione che passa a due bambini su tre nelle grandi città.

 Qual era l’atteggiamento originario della Chiesa rispetto all’aborto?

Nel Medioevo, la Chiesa si rifarà soprattutto all’insegnamento di San Tommaso D’Aquino, il quale a sua volta aveva adottato il pensiero di Aristotele rispetto al concepimento e alla gravidanza. Per Aristotele, il feto non era «animato», cioè realmente dotato di un’anima fin dalla fecondazione, ma solo dopo qualche settimana. La Chiesa, quindi, distingueva tra aborto precoce e aborto tardivo, sanzionato molto più severamente del primo. Quello che la Chiesa ha elaborato sull’anima, non è che la conseguenza di ciò che l’ha indotta a condannare senza sfumature tutte le forme d’aborto.

Nonostante la liberalizzazione dei costumi e la disfatta delle consuetudini, “la medesima origine sociale” resta ancora saldo collante per la coppia…

Tutti i sociologi sanno che le relazioni che legano due individui non si basano sull’azzardo. La probabilità di cercare e di trovare un partner nell’ambiente sociale al quale si appartiene è maggiore che trovarlo altrove, semplicemente perché non si frequentano altri ambienti. I club di incontri che si trovano su Internet favoriscono le relazioni sessuali tra gente di differente appartenenza, ma si tratta di relazioni difficilmente durevoli. Ben inteso, ci sono sempre le eccezioni. Quando degli individui di livelli sociali diversi decidono di formare una coppia, solitamente è l’uomo ad appartenere al ceto superiore: statisticamente, gli uomini danno meno importanza alla condizione sociale per la scelta della compagna, perché, prima di tutto, sono sensibili all’apparenza fisica. Al contrario, tutti i sondaggi rivelano che lo stato sociale per la donna conta molto, apparendole come una garanzia di sicurezza. Ma queste osservazioni devono ancora essere ricollocate in un contesto più esteso. Gli studi generali dei quali si dispone dimostrano che le coppie più “longeve” sono quelle che si somigliano maggiormente. E’ l’origine del proverbio: «Chi si assomiglia, si piglia».

Il Concilio Vaticano II alla procreazione farà prevalere l’unione tra uomo e donna, quindi il diritto alla felicità. Si può parlare di “processo di individualizzazione” perseguito dalla Chiesa stessa?

 
Nel Medioevo, la Chiesa ha favorito una certa individualizzazione dei comportamenti, nella misura in cui essa ha privilegiato la volontà di sposare gli individui, in opposizione alle loro rispettive famiglie (un tempo si chiamava  “matrimonio segreto”). Essa ha così ha favorito un’evoluzione che, a lungo termine, ha portato al “matrimonio d’amore”, il quale oggi è la principale causa di divorzio: ci si sposa quando si ama, ci si lascia quando non si ama più. Nell’Antichità, il matrimonio era prima di tutto un’istituzione riguardante le famiglie. Ecco, la conseguenza del matrimonio ridotto a contratto tra individui. La Chiesa ha sempre considerato la procreazione come la finalità profonda del matrimonio, tuttavia sa bene che certe coppie non possono avere figli, sia per sterilità, sia a causa dell’età troppo avanzata dei coniugi.

La società (femminile) ha sostituito lo Stato (maschile). Quali sono, a suo avviso, le conseguenze?

Si assiste oggi a un’incontestabile femminilizzazione della società. Bisogna vedere il risultato di due fattori differenti. In primo luogo esiste un’evoluzione dei costumi, che tende a stabilire la parità tra uomo e donna in tutti i domini, restringendo seriamente le antiche prerogative degli uomini e dei padri in rapporto all’aumento delle rivendicazioni femministe e al relativo discredito dei valori “virili”. Inoltre, abbiamo un’evoluzione della stessa struttura sociale, in particolar modo rispetto alle forme economiche e lavorative. Oggi ci sono servizi di comunicazione e vario genere (l’aiuto alle persone, le “attività relazionali”, etc.), che hanno preso sempre più piede nella struttura economica, contrariamente a una volta in cui il centro di gravità si ritrovava piuttosto nella sfera industriale. Le qualità femminili si esplicano meglio nei servizi e nei mestieri della comunicazione, a differenza delle qualità maschili, dominanti nel mondo industriale. Le conseguenze di questa femminilizzazione, oltre a un infiacchimento legale e istituzionale, sono la promozione dei valori femminili, quali la sensibilità, la cooperazione e il “dialogo”, a detrimento dei valori maschili, come l’autorità. Questo non è un male in sé, a condizione che l’equilibrio tra uomo e donna non si rompa e che la complementarità tra valori maschili e femminili non sia persa di vista.
Accordare le nozze gay equivale a dire che un domani sarà consentito, a rigor di logica, anche l’adozione di un bambino…
Il matrimonio omosessuale – in Francia “matrimonio per tutti”, locuzione d’altronde molto abusiva (il matrimonio poligamo e il matrimonio incestuoso, per citarne un paio, per legge non sono mai stati autorizzati) – testimonia  che  il matrimonio ormai non è più percepito come un’istituzione, ma come semplice contratto tra individui. Innalzare essenzialmente “l’amore romantico”, e non più la strategia matrimoniale, significa unire due compagni individuali, anziché consacrare l’alleanza di due famiglie in seno a un più vasto sistema di parentela, che assegnava a ciascuno un certo numero di diritti e di obblighi. In tale ottica, per unirsi, nulla sembra costringere due individui a essere di sesso differente, visto che la nozione stessa di sesso (biologicamente) è adesso contestata dall’«ideologia del genere». Ma lei ha ragione, la stessa rivendicazione di uguaglianza, che ha portato al matrimonio omosessuale, si estenderà anche all’adozione da parte degli omosessuali; idem per il riconoscimento delle “madri in affitto”  e per la procreazione assistita. Tali rivendicazioni d’altronde si esprimano già.

Relativizzare la famiglia comporta anche il relativizzarsi della responsabilità?

Nel principio, lei non ha torto, ma bisogna comprendere che ciò che si chiama “famiglia” è un concetto notevolmente trasformabile. La famiglia tradizionale è oggi divenuta un fattore marginale. Le relazioni delle coppie si sono evolute e le relazioni tra le generazioni sono mutate. Assistiamo al moltiplicarsi delle “famiglie ricomposte”, cioè di coppie di genitori che hanno già avuto dei figli da una precedente unione. Questo fenomeno in Francia tocca più di una famiglia su dieci. Si devono aggiungere, inoltre, i casi di coabitazione intermittente (o semi-separazioni) di coppie sposate, cosicché le famiglie monoparentali, più numerose in Italia, in Francia rappresentano attualmente più del 20% e riguardano tre milioni di bambini. Queste famiglie monoparentali, nella stragrande maggioranza, sono costituite da donne che vivono sole con i figli. La famiglia non è più il luogo naturale della responsabilità; d’altronde, l’autorità del capo famiglia oggi è caduta in un certo discredito. La responsabilità resta un valore, ma si esercita nei domini più vari. Piuttosto, sono l’individualismo e l’egoismo edonistico a rappresentare per essa la principale minaccia.

Cos’è che influenza più la trasformazione della famiglia, la società o la famiglia stessa?

Chi è nato prima, l’uovo o la gallina? Stesso approccio per la famiglia e la società: esse vanno di pari passo. L’evoluzione della famiglia riflette l’evoluzione della società, in continuo progresso, e l’evoluzione della società riflette quella della famiglia. Questa è la ragione per cui è abbastanza diffusa l’idea secondo la quale una “buona famiglia” può rappresentare una struttura resistente, un rifugio, un contrappeso. In rapporto a quello che c’è di più negativo o di più contestabile nella società attuale, mi sembra però che in parte sia un’illusione. Quando i bambini raggiungono una certa età, è estremamente difficile per i genitori opporsi all’influenza del mondo esterno. Ci sono le eccezioni, ma in generale la famiglia non costituisce che una linea di resistenza abbastanza minima.

Lei scrive che nelle civiltà indoeuropee la discendenza, l’autorità del capo di famiglia, il valore dei consanguinei non sono realtà biologiche, ma entità di ordine spirituale. Al contrario di oggi, che venendo a mancare tutto questo, la famiglia è inscritta in una temporalità non più verticale, ma orizzontale?

A questo riguardo, la famiglia non fa eccezione. L’intera società ha sovvertito la verticalità con l’orizzontalità. Nel dominio dei valori, il bene e il male non sono più i sinonimi dell’alto e del basso. Nella vita quotidiana,  il «presentismo» consacra il crollo della dimensioni della profondità, costituente fino a poco tempo fa  la chiara coscienza del modo in cui il passato si congiunge all’avvenire. Più generalmente ancora, tutto quello che è stato stabile, solido, duraturo tende a divenire transitorio, passeggero, effimero. Si potrebbe dire, utilizzando le categorie proposte dal sociologo Zygmunt Baumann, che il «liquido» ha rimpiazzato il «solido». La logica dei territori, che è una logica politica e tellurica, ha ceduto il posto a quella del flusso e del rifiuto, logica commerciale e marittima. Ciò che scompare è prima di tutto la nozione di durata. La vita familiare ne è direttamente affetta, giacché la durata media  non cessa di abbassarsi. L’instabilità delle relazioni di coppia si è accentuata parallelamente alla “flessibilità” delle carriere professionali, come alla volubilità dei comportamenti elettorali e dei reclutamenti politici. Nello stesso momento in cui si entra nell’azienda per «fare carriera»,  non ci si sposa più «per la vita». Nelle relazioni sentimentali o sessuali, lo «zapping» prevale allo stesso modo che nei comportamenti elettorali o nei modi di fare dei consumatori contemporanei. Siamo di fronte a un movimento generale, peculiare del momento storico nel quale viviamo.

Come sarà possibile la posterità senza una memoria ancestrale?

In effetti, è bene domandarselo. Io sono di quelli che pensano che il presente non sia vivibile e, soprattutto, che non può essere dotato di senso se non alla condizione d’essere sostenuto dalla doppia coscienza del passato e dell’avvenire. La memoria va di pari passo con la capacità di sapersi progettare nel futuro. Chi vuole avere passato, si condanna a non avere futuro.


mercoledì 12 giugno 2013

«In Vaticano corruzione e lobby gay»

di Andrea Tornielli
 

I vertici dei religiosi latinoamericani (CLAR) riferiscono di un'udienza durante la quale Francesco ha parlato anche della riforma della Curia

 Nella Curia c'è gente santa, davvero», ma c'è anche una «corrente di corruzione». Sono parole attribuite al Papa dai vertici della CLAR, la Confederazione Latinoamericana di Religiosi, ricevuti in udienza privata da Francesco lo scorso 6 giugno nella biblioteca vaticana. I contenuti del  dialogo, sono stati resi noti dagli stessi religiosi su un sito cileno.

Secondo quanto riportato dai religiosi latinoamericani il Papa ha fatto anche un cenno alla «lobby gay» in Vaticano: «Si parla di una "lobby gay" e in effetti c'è... bisogna vedere che cosa possiamo fare». Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi ha detto di non avere «alcuna dichiarazione da fare sui contenuti della conversazione», dato che si trattava di  «un incontro di carattere privato» e dunque non è stato registrato né trascritto.


Secondo i vertici della CLAR, Francesco avrebbe incoraggiato i religiosi ad «avanzare verso nuovi orizzonti», senza paura «di correre rischi andando verso i poveri e i nuovi soggetti emergenti nel continente». Anche se «vi arriva una lettera della Congregazione per la dottrina, affermando che aveva detto questa o quella cosa... Non preoccupatevi. Spiegate quello che dovete spiegare, però andate avanti... Aprite porte, facendo qualcosa là dove la vita chiama. Preferisco una Chiesa che si sbaglia per fare qualcosa che una che si ammala per rimanere rinchiusa...».


Il Papa, secondo quanto riferisce la CLAR, ha parlato anche della sua elezione: «Non ho perso la pace in nessun momento e questo, sapete? non è mio, io sono uno che si preoccupa e che diventa nervoso... Ma non ho perso la pace in nessun momento. Ciò mi conferma che è qualcosa che viene da Dio».


Riguardo ai suoi gesti e alla decisione di abitare a Santa Marta, Francesco ha detto: «Lo faccio perché ho sentito che era ciò che il Signore voleva. Ma questi gesti non sono miei, c'è un Altro qui...»

«Sono venuto a Roma solo con pochi vestiti, li lavavo di notte, e all'improvviso questo... Ma se io non avevo alcuna possibilità! Nelle scommesse di Londra stavo al quarantaquattresimo posto, immaginatevi. Chi ha scommesso su di me ha guadagnato moltissimo denaro...».


Francesco, dopo aver ripetuto che la morte di un barbone non fa notizia mentre la fanno tre punti persi dalla Borsa, ha accennato all'aborto: «Bisogna andare alle cause, alle radici. L'aborto è un male, e questo è chiaro. Ma che cosa c'è dietro l'approvazione di questa legge, che interessi ci sono dietro... a volte sono le condizioni che pongono i grandi gruppi per dare appoggi economici. Bisogna andare alle cause, non fermarci solo ai sintomi. Non abbiate paura di denunciarlo... avrete problemi, ma non abbiate paura di denunciare, questa è la profezia della vita religiosa».


Bergoglio ha poi condiviso con i religiosi, secondo la trascrizione del colloquio, due «preoccupazioni». Una è la «corrente pelagiana che c'è nella Chiesa in questo momento». Un riferimento ad alcuni «gruppi restauratori». «Ne conosco alcuni, mi è capitato di riceverli a Buenos Aires. Uno ha l'impressione di tornare indietro di 60 anni! Prima del Concilio...». Il Papa avrebbe quindi riferito questo episodio: «Quando mi hanno eletto, ho ricevuto una lettera da uno di questi gruppi e mi dicevano: "Santità, le offriamo questo tesoro spirituale, 3.525 rosari". Non dicono preghiamo per lei, chiediamo... ma questo tenere una contabilità...».


Questo accenno al «pelagianesimo» delle correnti più tradizionali sembra riecheggiare le parole dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, che durante un corso di esercizi spirituali tenuti nel 1986 (pubblicati nel 2009 con il titolo «Guardare Cristo: esempi di fede, speranza e carità», Jaca Book) aveva affermato: «L'altra faccia dello stesso vizio è il pelagianesimo dei pii. Essi non vogliono avere nessun perdono e in genere nessun vero dono di Dio. Essi vogliono essere in ordine: non perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero non speranza ma sicurezza. Con un duro rigorismo di esercizi religiosi, con preghiere e azioni, essi vogliono procurarsi un diritto alla beatitudine. Manca loro l'umiltà essenziale per ogni amore, l'umiltà di ricevere doni a di là del nostro agire e meritare...».


La seconda delle preoccupazioni espresse da Francesco, riguarda «una corrente gnostica. Questi panteismi... Entrambe sono correnti d'elite, ma questa è di un'elite più formata... Ho saputo di una superiore generale che incoraggiava le suore della sua congregazione a non pregare al mattino, ma immergersi spiritualmente nel cosmo... cose così... Mi preoccupano perché saltano l'incarnazione! E il Figlio di Dio si è fatto carne nostra, il Verbo si è fatto carne... Che succede con i poveri e i loro dolori, quella è la nostra carne... Il Vangelo non è la legge antica, ma nemmeno questo panteismo. Se si guardano le periferie, i senza tetto... i drogati! Il traffico di esseri umani... Questo è il Vangelo. I poveri sono il Vangelo».

Parlando della Curia romana, dopo aver accennato alla santità di tanti curiali, ma anche all'esistenza di una «corrente di corruzione», come pure all'esistenza di una lobby gay in Vaticano - argomento del quale si è parlato nelle congregazioni dei cardinali prima del conclave e che potrebbe essere entrato anche nel famoso rapporto della commissione cardinalizia sul caso Vatileaks - Francesco ha confermato che «la riforma della Curia romana è qualcosa che abbiamo chiesto quasi tutti noi cardinali... Anch'io l'ho chiesta».

«La riforma - ha aggiunto il Papa, secondo quanto riferiscono i religiosi della CLAR - non la posso fare io, queste questioni gestionali... Io sono molto disorganizzato, non sono mai stato bravo in questo. Ma i cardinali del gruppo (di otto porporati scelti per questo compito, ndr) la portano avanti... Pregate per me... perché mi sbagli il meno possibile».

Francesco ha quindi ricordato l'avvenimento di Aparecida, l'incontro dell'episcopato latinoamericano del 2007 nel santuario brasiliano dedicato alla Vergine che ora si accinge a visitare durante il suo prossimo viaggio per la GMG. «Ciò che Aparecida ha avuto di speciale è che non si è celebrata in un hotel, né in una casa per esercizi... si è celebrata in un santuario mariano... e il popolo di Dio accompagnava i vescovi pregando lo Spirito Santo...». Il Papa ha quindi citato il Prefetto della Congregazione dei religiosi, il cardinale Joao Braz de Aviz, all'epoca vescovo in Brasile: «Lo vedevo che arrivava con la mitria, e la gente si avvicinava, gli avvicinava i bambini, e lui li salutava, e li abbracciava... Questo stesso vescovo poi votava (i testi del documento finale, durante la riunione, ndr)... Non avrebbe votato allo stesso modo se  fosse stato in un hotel».

«Approfittate di questo momento che si vive nella Congregazione per la vita consacrata... è un momento di sole... Il Prefetto è buono», e il nuovo segretario «era appoggiato da voi! Non in realtà, essendo presidente dell'Unione dei Superiori Generali era logico che fosse scelto lui...», ha aggiunto, riferendosi al francescano Carballo, recentemente nominato arcivescovo e nuovo numero due del dicastero.


Francesco ha invitato i religiosi della CLAR a dialogare con i vescovi, con le conferenze episcopali e con il CELAM. E infine si è detto preoccupato perché «ci sono congregazioni religiose, gruppi molto, molto piccoli, con poche persone, molto anziane... Non hanno vocazioni, non so, forse lo Spirito non vuole che continuino, forse hanno compiuto già la loro missione nella Chiesa... Però stanno lì, attaccate ai loro edifici e al loro denaro... Non so perché questo accade, non so come leggerlo... però vi chiedo di preoccuparvi di questi gruppi... La gestione del denaro... è qualcosa che necessita riflessione».

 La Presidenza della CLAR lamenta profondamente la pubblicazione di un testo con riferimento alla conversazione mantenuta con il Santo Padre Francesco nel corso dell'incontro dello scorso 6 giugno. Conversazione che si è sviluppata a partire da domande poste al Papa dai presenti.
 
In questa circostanza non è stata fatta nessuna registrazione della conversazione, ma poco dopo è stata elaborata una sintesi della medesima in base ai ricordi dei partecipanti. Questa sintesi, che non include le domande poste al Santo Padre, era destinata alla memoria personale dei partecipanti e per nessun motivo alla pubblicazione, cosa per la quale d'altra parte, non è stata chiesta nessun autorizzazione.
 
E' chiaro che su questa base non si possono attribuire al San Padre, con certezza, le espressioni singolari contenute nel testo, bensì solo il suo senso generale.

Sorella Mercedes Leticia Casas Sánchez, FSpS - Presidente
P. Gabriel Naranjo Salazar, CM,  - Segretario Generale

FONTE: http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/gay-gay-gay-francesco-francis-francisco-25578/

venerdì 7 giugno 2013

Perché papa Francesco non dà la comunione





ROMA, 9 maggio 2013 – C'è una particolarità, nelle messe celebrate da papa Francesco, che suscita degli interrogativi rimasti finora senza risposta.

Al momento della comunione, papa Jorge Mario Bergoglio non la amministra di persona ma lascia che siano altri a dare l'ostia consacrata ai fedeli. Si siede e aspetta che la distribuzione del sacramento sia completata.

Le eccezioni sono pochissime. Nelle messe solenni il papa, prima di sedersi, dà la comunione a chi lo assiste all'altare. E nella messa dello scorso Giovedì Santo, nel carcere minorile di Casal del Marmo, ha voluto dare lui la comunione ai giovani detenuti che si sono accostati a riceverla.

Una spiegazione esplicita di questo suo comportamento Bergoglio non l'ha data, da quando è papa.

Ma c'è una pagina di un suo libro del 2010 che fa intuire i motivi all'origine del gesto.

Il libro è quello che raccoglie i suoi colloqui con il rabbino di Buenos Aires Abraham Skorka.

Al termine del capitolo dedicato alla preghiera, Bergoglio dice:

"Davide era stato adultero e mandante di un omicidio, e tuttavia lo veneriamo come un santo perché ebbe il coraggio di dire: 'Ho peccato'. Si umiliò davanti a Dio. Si possono commettere errori enormi, ma si può anche riconoscerlo, cambiare vita e riparare a quello che si è fatto. È vero che tra i parrocchiani ci sono persone che hanno ucciso non solo intellettualmente o fisicamente ma indirettamente, con una cattiva gestione dei capitali, pagando stipendi ingiusti. Sono membri di organizzazioni di beneficenza, ma non pagano ai loro dipendenti quel che gli spetta, o fanno lavorare in nero. […] Di alcuni conosciamo l'intero curriculum, sappiamo che si spacciano per cattolici ma hanno comportamenti indecenti di cui non si pentono. Per questa ragione in alcune occasioni non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo, perché non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto. Si potrebbe anche negare la comunione a un noto peccatore che non si è pentito, ma è molto difficile provare queste cose. Ricevere la comunione significa ricevere il corpo del Signore, con la coscienza di formare una comunità. Ma se un uomo, più che unire il popolo di Dio, ha falciato la vita di moltissime persone, non può fare la comunione, sarebbe una totale contraddizione. Simili casi di ipocrisia spirituale si presentano in molti che trovano riparo nella Chiesa e non vivono secondo la giustizia che predica Dio. E non mostrano pentimento. È ciò che comunemente chiamiamo condurre una doppia vita".

Come si può notare, Bergoglio spiegava nel 2010 il suo astenersi dal dare personalmente la comunione con un ragionamento molto pratico: "Non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto".

Da pastore sperimentato e da buon gesuita, egli sapeva che tra chi si accostava a ricevere la comunione potevano esserci dei pubblici peccatori non pentiti, che peraltro si professavano cattolici. Sapeva che a quel punto sarebbe stato difficile negare loro il sacramento. E sapeva degli effetti pubblici che quella comunione avrebbe potuto avere, se ricevuta dalle mani dell'arcivescovo della capitale argentina.

Si può arguire che Bergoglio avverta lo stesso pericolo anche da papa, anzi ancor più. E per questo adotti lo stesso comportamento prudenziale: "Non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo".

I pubblici peccati che Bergoglio ha portato ad esempio, nel suo colloquio con il rabbino, sono l'oppressione del povero e la negazione del giusto salario all'operaio. Due peccati tradizionalmente elencati tra i quattro che "gridano vendetta al cospetto di Dio".

Ma il ragionamento è lo stesso che in questi ultimi anni è stato applicato da altri vescovi a un altro peccato: il pubblico sostegno alle leggi pro aborto da parte di politici che si professano cattolici.

Quest'ultima controversia ha il suo epicentro negli Stati Uniti.

Nel 2004 l'allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, trasmise alla conferenza episcopale statunitense una nota con i "principi generali" sulla questione.

La conferenza episcopale decise di "applicare" volta per volta i principi richiamati da Ratzinger affidando "a ciascun vescovo di esprimere prudenti giudizi pastorali nelle circostanze a lui proprie".

Da Roma il cardinale Ratzinger accettò questa soluzione e la definì "in armonia" con i principi generali della sua nota.

In realtà i vescovi degli Stati Uniti non sono unanimi. Alcuni, anche tra i conservatori, come i cardinali Francis George e Patrick O'Malley, sono riluttanti a "fare dell'eucaristia un campo di battaglia politica". Altri sono più intransigenti.  Quando il cattolico Joe Biden fu scelto come vicepresidente da Barack Obama, l'allora vescovo di Denver Charles J. Chaput, oggi a Filadelfia, disse che l'appoggio dato da Biden al cosiddetto "diritto" all'aborto è una grave colpa pubblica e "quindi per coerenza egli si dovrebbe astenere dal presentarsi a ricevere la comunione".

Sta di fatto che lo scorso 19 marzo, nella messa d'inaugurazione del pontificato di Francesco, il vicepresidente Biden e la presidente del partito democratico Nancy Pelosi, anch'essa cattolica pro aborto, facevano parte della rappresentanza ufficiale degli Stati Uniti.

E tutti e due hanno ricevuto la comunione. Ma non dalle mani di papa Bergoglio, che se ne stava seduto dietro l'altare.

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Il libro:

Jorge Bergoglio, Abraham Skorka, "Il cielo e la terra", Mondadori, Milano, 2013.
 
Quando papa Francesco dà la comunione a quelli che lo assistono all'altare, la dà in bocca e mentre sono inginocchiati.

Proprio come faceva Benedetto XVI con tutti.

Nel suo libro-intervista del 2010 "Luce del mondo", Joseph Ratzinger motivò così questa sua scelta:

"Non sono contro la comunione in mano per principio, io stesso l'ho amministrata così ed in quel modo l'ho anche ricevuta. Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e che la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la presenza reale. Non da ultimo perché proprio nelle celebrazioni di massa, come quelle nella basilica di San Pietro o sulla piazza, il pericolo dell'appiattimento è grande. Ho sentito di persone che si mettono la comunione in borsa, portandosela via quasi fosse un souvenir qualsiasi. In un contesto simile, nel quale si pensa che è ovvio ricevere la comunione – della serie: tutti vanno avanti, allora lo faccio anch'io – volevo dare un segnale forte. Deve essere chiaro questo: 'È qualcosa di particolare! Qui c'è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio. Fate attenzione! Non si tratta di un rito sociale al quale si può partecipare o meno'".

lunedì 20 maggio 2013

La schiavitù monetaria: una mostruosità storica nata nel 1694 con la Banca d’Inghilterra

di Giacinto Auriti 

Goethe affermava che “nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo”. Questo principio è particolarmente valido nel sistema monetario vigente.

Il cittadino si illude di essere proprietario dei soldi che ha in tasca, mentre ne è debitore. La banca, infatti, emette la moneta solo prestandola, sicché la moneta circola gravata di debito.

Il segno della schiavitù monetaria è data dal fatto che la proprietà nasce nelle mani della banca o, per meglio dire, del banchiere ché emette prestando e prestare è prerogativa del proprietario.

La moneta, invece, deve nascere di proprietà del cittadino perché è lui che, accettandola, ne crea il valore; tanto è vero che, se si mette un governatore a stampare moneta in un isola deserta, il valore non nasce perché, mancando la collettività, viene meno la possibilità stessa della volontà collettiva che causa questo valore. Come ogni unità di misura (e la moneta è la misura del valore) anche la moneta è una convenzione.

Quando la moneta era d’oro chi trovava una pepita se ne appropriava senza addebitarsi verso la miniera. Oggi al posto della miniera c’è la banca centrale, al posto della pepita un pezzo di carta, al posto della proprietà il debito.

Non si può comprendere come sia stata possibile questa mostruosità storica (nata nel 1694 con la Banca d’Inghilterra e con l’emissione della sterlina) se non si muove dalla definizione della moneta strumento (sterco) del demonio. La verità di questa definizione è stata avvertita anche da S. Francesco d’Assisi quando vietava ai padri questuanti di ricevere oboli in moneta. Noi ora ne dimostreremo la piena fondatezza sulla base delle stesse parole di Satana che stanno nel Vangelo.

Satana, nel Vangelo, parla tre volte. Dopo il digiuno di Cristo nel deserto, Satana Gli dice: “Tramuta le pietre in pane”. Per lo più queste parole sono interpretate nel senso di considerarle come tentazione in quanto Cristo era affamato e mangiare pane sarebbe stato motivo della tentazione. Questa interpretazione non è accettabile perché la tentazione è sempre relativa ad un peccato e mangiare pane dopo quaranta giorni di digiuno è moralmente ineccepibile.

Dunque la giustificazione delle parole di Satana va intesa diversamente e chi ci dice come interpretare le parole di Satana è proprio Cristo quando, rispondendo a Satana, afferma (Mt. 4,4): “Sta scritto, non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

Ciò che sorprende in questa frase di Gesù è la novità della proposta, mai considerata dai teorici dell’interpretazione, di dedurre il significato delle parole non dalla loro espressione letterale, ma dalla bocca che le pronuncia. Quelle parole erano uscite dalla bocca di Satana; sicché per interpretarle esattamente va considerata l’ipotesi, peraltro assurda, che Cristo avesse accettato l’invito di Satana e trasformato le pietre in pane. In tal caso avrebbe potuto ben dire a Cristo: "Tu puoi mangiare pane per mio merito perché io Ti ho dato il consiglio di trasformare le pietre in pane.” Quindi Cristo sarebbe stato trasformato da “padrone” a “debitore” del Suo pane.

A ben guardare questa ipotesi si verifica puntualmente nell’emissione della moneta nominale. Quando la banca centrale emette moneta prestandola, induce la collettività a crearne il valore accettandola, ma contestualmente la espropria ed indebita di altrettanto, esattamente come Satana avrebbe fatto se Cristo avesse accettato l’invito di trasformare la pietra in pane. Se si mette al posto della pietra la carta, ed al posto del pane l’oro, al posto di Satana la banca, si riscontrano nella emissione della Sterlina oro-carta e di tutte le successive monete nominali, tutte le caratteristiche della tentazione di Satana.

Con la costituzione della Banca d’Inghilterra e del sistema delle banche centrali, tutti i popoli del mondo sono stati trasformati da proprietari in debitori ineluttabilmente insolventi del proprio denaro. La banca, infatti, prestando il dovuto all’atto dell’emissione, carica il costo del denaro del 200%. L’Umanità è così precipitata in una condizione inferiore a quella della bestia. La bestia, infatti, non ha la proprietà, ma nemmeno il debito.

È gran tempo ormai che si comprenda che tutti possono prestare denaro tranne chi lo emette. Con la moneta debito l’Umanità è stata talmente degradata che non a caso si è verificato il fenomeno del “suicidio da insolvenza” come malattia sociale che non ha precedenti nella storia. Ciò conferma la Profezia di Fatima: “I vivi invidieranno i morti”.

Non si possono valutare esattamente le tentazioni di Satana se non le si considerano nel loro contesto globale. Particolarmente significativa, in questo senso, è la terza tentazione (Mt. 4, 8-9):

“… Gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro magnificenza, poi disse a Gesù: tutto questo io Ti darò. Se Ti prostri e mi adori”. Adorare prostrati significa mettere Satana sull’altare al posto di Dio. Ciò spiega perché gli adoratori di Satana contestano fondamentalmente e necessariamente l’Eucarestia Cattolica.

La circostanza che il Protestantesimo si sia basato sulla contestazione dell’Eucarestia Cattolica ed abbia promosso la costituzione delle banche centrali come promotrici della moneta-debito parla da se. Non a caso il parlamento inglese approva nel 1673 il Test Act: l’editto con cui viene dichiarata illegittima l’Eucarestia Cattolica e la Transustanziazione.

Non a caso nel 1694 viene fondata la banca d’Inghilterra che emette la sterlina sulla regola di trasformare il simbolo di costo nullo in moneta, inaugurando l’era dell’oro-carta.

Non a caso nasce la subordinazione del potere religioso a quello politico quando il re d’Inghilterra diventa anche capo della religione protestante anglicana sovvertendo l’ordine gerarchico del Sacro Romano Impero per cui l’autorità politica era autonoma ed eticamente subordinata alla sovranità religiosa.

Non a caso quando il protestantesimo entra in Europa continentale non fonda una chiesa, ma una banca: la Banca Protestante il cui presidente, il Neker, diventa consigliere di Luigi XIV.

Non a caso tutte le monarchie cattoliche della vecchia Europa si disintegrano perché si indebitano senza contropartita verso i banchieri per la moneta satanica da questi emessa a costo nullo e che gli stessi re avrebbero potuto emettere gratuitamente per proprio conto senza indebitarsi. 

Non a caso in Svizzera vige la regola di essere ad un tempo “banchieri” e “protestanti”.

Non a caso la differenza essenziale tra Sacro Romano Impero e Commonwealth Britannico è la moneta. Lì il portatore è proprietario delle moneta, qui è debitore. [1]

Non a caso, dopo aver tolto Dio dall’altare con la negazione dell’Eucarestia Cattolica e fondata la banca d’Inghilterra, il Commonwealth raggiunge nel 1855 una estensione di 22 milioni e 750 mila chilometri quadrati. Oggi tutto il mondo è Commonwealth. Tutto il mondo è “colonia monetaria”.

Satana, principe di questo mondo, è una persona seria: mantiene le promesse fatte a fin di male. Dopo che il male è stato fatto concede ai suoi adoratori il dominio su tutti i popoli del mondo.

Su queste premesse ci si spiega anche la tentazione di Satana quando esorta Cristo a gettarsi dalla cima del tempio della Città Santa. Chi è padrone di tutto il mondo e di tutto il denaro del mondo, o perché lo possiede o perché ne è creditore, non desidera sovranità e ricchezza perché già le possiede, ma ha sete di vanagloria. Si giustifica così anche questa tentazione.

Postfazione di Giacinto Auriti al libro di Bruno Tarquini -
LA BANCA LA MONETA E L'USURA  La Costituzione tradita -

[1] L'Impero Austriaco era l'ultima grande monarchia cattolica, nonché ultimo baluardo del Sacro Romano Impero e ultimo ostacolo all'inevitabile espansione comunista nell'Europa dell'Est.

Fonte dell'articolo: http://www.simec.org/sim/index.php/notizie-essenziali/98-le-parole-di-satana

mercoledì 1 maggio 2013


PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 1° maggio 2013

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno

oggi, primo maggio, celebriamo san Giuseppe lavoratore e iniziamo il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna. In questo nostro incontro, vorrei soffermarmi allora su queste due figure così importanti nella vita di Gesù, della Chiesa e nella nostra vita, con due brevi pensieri: il primo sul lavoro, il secondo sulla contemplazione di Gesù.



1. Nel Vangelo di san Matteo, in uno dei momenti in cui Gesù ritorna al suo paese, a Nazaret, e parla nella sinagoga, viene sottolineato lo stupore dei suoi paesani per la sua sapienza, e la domanda che si pongono: «Non è costui il figlio del falegname?» (13,55). Gesù entra nella nostra storia, viene in mezzo a noi, nascendo da Maria per opera di Dio, ma con la presenza di san Giuseppe, il padre legale che lo custodisce e gli insegna anche il suo lavoro. Gesù nasce e vive in una famiglia, nella santa Famiglia, imparando da san Giuseppe il mestiere del falegname, nella bottega di Nazaret, condividendo con lui l’impegno, la fatica, la soddisfazione e anche le difficoltà di ogni giorno.

Questo ci richiama alla dignità e all’importanza del lavoro. Il libro della Genesi narra che Dio creò l’uomo e la donna affidando loro il compito di riempire la terra e soggiogarla, che non significa sfruttarla, ma coltivarla e custodirla, averne cura con la propria opera (cfr Gen 1,28; 2,15). Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. E qui penso alle difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dell’impresa; penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale.

Desidero rivolgere a tutti l’invito alla solidarietà, e ai Responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo significa preoccuparsi per la dignità della persona; ma soprattutto vorrei dire di non perdere la speranza; anche san Giuseppe ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia e ha saputo superarli, nella certezza che Dio non ci abbandona. E poi vorrei rivolgermi in particolare a voi ragazzi e ragazze a voi giovani: impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte.

Aggiungo una parola su un’altra particolare situazione di lavoro che mi preoccupa: mi riferisco a quello che potremmo definire come il “lavoro schiavo”, il lavoro che schiavizza. Quante persone, in tutto il mondo, sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità. Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il “lavoro schiavo”.

2. Accenno al secondo pensiero: nel silenzio dell’agire quotidiano, san Giuseppe, insieme a Maria, hanno un solo centro comune di attenzione: Gesù. Essi accompagnano e custodiscono, con impegno e tenerezza, la crescita del Figlio di Dio fatto uomo per noi, riflettendo su tutto ciò che accadeva. Nei Vangeli, san Luca sottolinea due volte l’atteggiamento di Maria, che è anche quello di san Giuseppe: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19.51). Per ascoltare il Signore, bisogna imparare a contemplarlo, a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera. Ognuno di noi, anche voi ragazzi, ragazze e giovani, così numerosi questa mattina, dovrebbe chiedersi: quale spazio do al Signore? Mi fermo a dialogare con Lui? Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori ci hanno abituati ad iniziare e a terminare la giornata con una preghiera, per educarci a sentire che l’amicizia e l’amore di Dio ci accompagnano. Ricordiamoci di più del Signore nelle nostre giornate!

E in questo mese di maggio, vorrei richiamare all’importanza e alla bellezza della preghiera del santo Rosario. Recitando l'Ave Maria, noi siamo condotti a contemplare i misteri di Gesù, a riflettere cioè sui momenti centrali della sua vita, perché, come per Maria e per san Giuseppe, Egli sia il centro dei nostri pensieri, delle nostre attenzioni e delle nostre azioni. Sarebbe bello se, soprattutto in questo mese di maggio, si recitasse assieme in famiglia, con gli amici, in Parrocchia, il santo Rosario o qualche preghiera a Gesù e alla Vergine Maria! La preghiera fatta assieme è un momento prezioso per rendere ancora più salda la vita familiare, l’amicizia! Impariamo a pregare di più in famiglia e come famiglia!

Cari fratelli e sorelle, chiediamo a san Giuseppe e alla Vergine Maria che ci insegnino ad essere fedeli ai nostri impegni quotidiani, a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno e a dare più spazio al Signore nella nostra vita, a fermarci per contemplare il suo volto. Grazie.


FONTE: http://www.vatican.va/holy_father/francesco/audiences/2013/documents/papa-francesco_20130501_udienza-generale_it.html



mercoledì 13 marzo 2013

HABEMUS PAPAM ! FRANCISCUM


Jorge Mario Bergoglio è il 266° Vescovo di Roma, primo Papa non europeo, sudamericano, gesuita e a prendere il nome Francesco. Non staremo a scrivere la biografia del Pontefice. Vogliamo invece proporre la venerata figura di un altro Francesco che non è il ben noto frate di Assisi, bensì 

SAN FRANCESCO DA PAOLA 

Paola, Cosenza, 27 marzo 1416 - Plessis-les-Tours, Francia, 2 aprile 1507

La sua vita fu avvolta in un'aura di soprannaturale dalla nascita alla morte. Nacque a Paola (Cosenza) nel 1416 da genitori in età avanzata devoti di san Francesco, che proprio all'intercessione del santo di Assisi attribuirono la nascita del loro bambino. Di qui il nome e la decisione di indirizzarlo alla vita religiosa nell'ordine francescano. Dopo un anno di prova, tuttavia, il giovane lasciò il convento e proseguì la sua ricerca vocazionale con viaggi e pellegrinaggi. Scelse infine la vita eremitica e si ritirò a Paola in un territorio di proprietà della famiglia. Qui si dedicò alla contemplazione e alle mortificazioni corporali, suscitando stupore e ammirazione tra i concittadini. Ben presto iniziarono ad affluire al suo eremo molte persone desiderose di porsi sotto la sua guida spirituale. Seguirono la fondazione di numerosi eremi e la nascita della congregazione eremitica paolana detta anche Ordine dei Minimi. La sua approvazione fu agevolata dalla grande fama di taumaturgo di Francesco che operava prodigi a favore di tutti, in particolare dei poveri e degli oppressi. Lo stupore per i miracoli giunse fino in Francia, alla corte di Luigi XI, allora infermo. Il re chiese al papa Sisto IV di far arrivare l'eremita paolano al suo capezzale. L'obbedienza prestata dal solitario costretto ad abbandonare l'eremo per trasferirsi a corte fu gravosa ma feconda. Luigi XI non ottenne la guarigione, Francesco fu tuttavia ben voluto ed avviò un periodo di rapporti favorevoli tra il papato e la corte francese. Nei 25 anni che restò in Francia egli rimase un uomo di Dio, un riformatore della vita religiosa. Morì nei pressi di Tours il 2 aprile 1507.
La sua vita fu uno stupore continuo sin dalla nascita, infatti Francesco nacque il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti negli anni, il padre Giacomo Alessio detto “Martolilla” e la madre Vienna di Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso invano la nascita di un figlio, per questo pregavano s. Francesco, il ‘Poverello’ di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il figlio arrivò.
Riconoscenti i giubilanti genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi intervenne ancora nella vita di quel bimbo nato a Paola, cittadina calabrese sul Mar Tirreno in provincia di Cosenza; dopo appena un mese si scoprì che era affetto da un ascesso all’occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i medici disperavano di salvare l’occhio.
La madre fece un voto a s. Francesco, di tenere il figlio in un convento di Frati Minori per unintero anno, vestendolo dell’abito proprio dei Francescani, il voto dell’abito è usanza ancora esistente nell’Italia Meridionale. Dopo qualche giorno l’ascesso scomparve completamente.


Fu allevato senza agi, ma non mancò mai il necessario; imparò a leggere e scrivere verso i 13 anni, quando i genitori volendo esaudire il voto fatto a s. Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano, a nord di Cosenza.
In quell’anno l’adolescente rivelò subito doti eccezionali, stupiva i frati dormendo per terra, con continui digiuni e preghiera intensa e già si cominciava a raccontare di prodigi straordinari, come quando assorto in preghiera in chiesa, si era dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi per il pranzo dei frati, allora tutto confuso corse in cucina, dove con un segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono subito cotti.
Un’altra volta dimenticò di mettere le carbonelle accese nel turibolo dell’incenso, alle rimostranze del sacrestano andò a prenderle ma senza un recipiente adatto, allora le depose nel lembo della tonaca senza che la stoffa si bruciasse.
Trascorso l’anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere dei frati e d’accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad Assisi alla tomba di s. Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe permesso d’individuare la strada da seguire nel futuro.
Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma, nella ‘Città eterna’ mentre camminava per una strada, incrociò una sfarzosa carrozza che trasportava un cardinale pomposamente vestito, il giovanetto non esitò e avvicinatosi rimproverò il cardinale dello sfarzo ostentato; il porporato stupito cercò di spiegare che era necessario per conservare la stima e il prestigio della Chiesa agli occhi degli uomini.
Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere in quell’eremo fondato nel 528 da s. Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di vita, al punto che tornato a Paola, appena tredicenne e in netta opposizione al dire del cardinale romano, si ritirò a vita eremitica in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429.
Si riparò prima in una capanna di frasche e poi spostandosi in altro luogo in una grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; detta grotta è oggi conservata all’interno del Santuario di Paola; in questo luogo visse altri cinque anni in penitenza e contemplazione.
La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani dopo più visite, gli chiesero di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine.


Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi; la piccola Comunità si chiamò “Eremiti di frate Francesco”.
Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine dai fedeli; non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella cappella a determinate ore.
Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro, tuttora conservati nel complesso del Santuario.
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è chiamata “l’acqua della cucchiarella”, perché i pellegrini usano attingerne con un cucchiaio.
Ormai la fama di taumaturgo si estendeva sempre più e il papa Paolo II (1464-1471), inviò nel 1470 un prelato a verificare; giunto a Paola fu accolto da Francesco che aveva fatto portare un braciere per scaldare l’ambiente; il prelato lo rimproverò per l’eccessivo rigore che professava insieme ai suoi seguaci e allora Francesco prese dal braciere con le mani nude, i carboni accesi senza scottarsi, volendo così significare se con l’aiuto di Dio si poteva fare ciò, tanto più si poteva accettare il rigore di vita.
La morte improvvisa del papa nel 1471, impedì il riconoscimento pontificio della Comunità, che intanto era stata approvata dal vescovo di Cosenza Pirro Caracciolo; il consenso pontificio arrivò comunque tre anni più tardi ad opera del nuovo papa Sisto IV (1471-1484).
Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l’arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola “Charitas” e porgendoglielo disse: “Questo sarà lo stemma del tuo Ordine”.
La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria.



Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia, pertanto con due confratelli si accinse ad attraversare lo Stretto di Messina, qui chiese ad un pescatore se per amor di Dio l’avesse traghettato all’altra sponda, ma questi rifiutò visto che non potevano pagarlo; senza scomporsi Francesco legò un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo Stretto con quella barca a vela improvvisata.
Il miracolo fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona, piccolo porto della costa calabra, che si rammaricava e non si dava pace per il suo rifiuto.
Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, ‘risuscitò’ il suo nipote Nicola, giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto vedovo entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino alla morte.
Francesco alzava spesso la voce contro i potenti in favore degli oppressi, le sue prediche e invettive erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I (detto Ferrante) d’Aragona, che mandò i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente, perché il santo eremita si rendeva invisibile ai loro occhi; il re alla fine si calmò, diede disposizione che Francesco poteva aprire quanti conventi volesse, anzi lo invitò ad aprirne uno a Napoli (un’altro era stato già aperto nel 1480 a Castellammare di Stabia.
A Napoli giunsero due fraticelli che si sistemarono in una cappella campestre, là dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito.
Intanto si approssimava una grande, imprevista, né desiderata svolta della sua vita; nel 1482 un mercante italiano, di passaggio a Plessis-les-Tours in Francia, dove risiedeva in quel periodo il re Luigi XI (1423-1482), gravemente ammalato, ne parlò ad uno scudiero reale, che informò il sovrano.
Il re inviò subito un suo maggiordomo in Calabria ad invitare il santo eremita, affinché si recasse in Francia per aiutarlo, ma Francesco rifiutò, nonostante che anche il re di Napoli Ferrante appoggiasse la richiesta.
Allora il re francese si rivolse al papa Sisto IV, il quale per motivi politici ed economici, non voleva scontentare il sovrano e allora ordinò all’eremita di partire per la Francia, con grande sgomento e dolore di Francesco, costretto a lasciare la sua terra e i suoi eremiti ad un’età avanzata, aveva 67 anni e malandato in salute.
Nella sua tappa a Napoli, fu ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante I, incuriosito di conoscere quel frate che aveva osato opporsi a lui; il sovrano assisté non visto ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistarne l’amicizia offrendogli un piatto di monete d’oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a Napoli.
Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al re disse: “Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio”, predicendogli anche la fine della monarchia aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.
Sempre vestito del suo consunto saio e con in mano il rustico bastone, fu ripreso di nascosto da un pittore, incaricato dal re di fargli un ritratto, che è conservato nella Chiesa dell’Annunziata a Napoli, mentre una copia è nella Chiesa di S. Francesco da Paola ai Monti in Roma; si ritiene che sia il dipinto più somigliante quando Francesco aveva 67 anni.
Passando per Roma andò a visitare il pontefice Sisto IV (1471-1484), che lo accolse cordialmente; nel maggio 1489 arrivò al castello di Plessis-du-Parc, dov’era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò Bormes e Frejus da un’epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo più miranti a far accettare al sovrano l’ineluttabilità della condizione umana, uguale per tutti e per quante insistenze facesse il re di fare qualcosa per guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nel 1482, dopo aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.
Dopo la morte di Luigi XI, il frate che viveva in una misera cella, chiese di poter ritornare in Calabria, ma la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re Carlo VIII (1470-1498) si opposero; considerandolo loro consigliere e direttore spirituale.
Giocoforza dovette accettare quest’ultimo sacrificio di vivere il resto della sua vita in Francia, qui promosse la diffusione del suo Ordine, perfezionò la Regola dei suoi frati “Minimi”, approvata definitivamente nel 1496 da papa Alessandro VI, fondò il Secondo Ordine e il Terzo riservato ai laici, iniziò la devozione dei Tredici Venerdì consecutivi.
Francesco morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours dove fu sepolto, era un Venerdì Santo ed aveva 91 anni e sei giorni.
Già sei anni dopo papa Leone X nel 1513 lo proclamò beato e nel 1519 lo canonizzò; la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi, finché nel 1562 fu profanata dagli Ugonotti che bruciarono il corpo; rimasero solo le ceneri e qualche pezzo d’osso.
Queste reliquie subirono oltraggi anche durante la Rivoluzione Francese; nel 1803 fu ripristinato il culto. Dopo altre ripartizioni in varie chiese e conventi, esse furono riunite e dal 1935 e 1955 si trovano nel Santuario di Paola; dopo quasi cinque secoli il santo eremita ritornò nella sua Calabria di cui è patrono, come lo è di Paola e Cosenza.
Nel 1943 papa Pio XII, in memoria della traversata dello Stretto, lo nominò protettore della gente di mare italiana. Quasi subito dopo la sua canonizzazione, furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino, Palermo e Napoli e il suo culto si diffuse rapidamente nell’Italia Meridionale, ne è testimonianza l’afflusso continuo di pellegrini al suo Santuario, eretto fra i monti della costa calabra che sovrastano Paola, sui primi angusti e suggestivi ambienti in cui visse e dove si sviluppò il suo Ordine dei ‘Minimi’.

FONTE: http://www.santiebeati.it/