Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

martedì 25 ottobre 2011

«Serve un'autorità finanziaria mondiale»

 di Salvatore Mazza

Non c’è alternativa. Per la Santa Sede «la costituzione di un’Autorità pubblica mondiale, al servizio del bene comune» è oggi, nel pieno di una crisi di cui non si vede la fine, «l’unico orizzonte compatibile con le nuove realtà del nostro tempo». Nasce da qui la nota del pontificio consiglio Giustizia e Pace Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale, pubblicata ieri, con la quale si vuole offrire «un contributo ai responsabili della terra e a tutti gli uomini di buona volontà» di fronte a una situazione economica e finanziaria che «ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala». Perché, in gioco, c’è «il bene comune dell’umanità e il futuro stesso», quando oltre un miliardo di persone vivono con poco più di un dollaro al giorno, e sono «aumentate enormemente le disuguaglianze» nel mondo, «generando tensioni e imponenti movimenti migratori».

È un documento per molti versi impressionante, quello diffuso ieri dal Vaticano. Radicato nell’humus di ormai quasi mezzo secolo di magistero sociale – dalla Pacem in Terris in avanti – mette in evidenza la lucidità degli insistiti allarmi, ammonimenti, indicazioni che negli ultimi vent’anni papa Wojtyla e Benedetto XVI hanno continuato a sollevare circa i rischi di uno scollamento, in nome del profitto fine a se stesso, tra economia e finanza. Deriva preconizzata in innumerevoli occasioni, dal discorso di Giovanni Paolo II del maggio 1990 a Durango, davanti agli imprenditori messicani, a quello di papa Ratzinger al Reichstag, a Berlino, di appena un mese fa, passando attraverso Encicliche e tantissimi discorsi anche estemporanei (come quello di agosto, ancora di Benedetto XVI, sul volo per Madrid), che l’attuale crisi ha portato brutalmente in primo piano. E che oggi porta la Santa Sede a chiedere una «riforma del sistema finanziario e monetario internazionale», «una autorità pubblica universale» che governi la finanza, un «multilateralismo» non solo in diplomazia ma per «sviluppo sostenibile e pace», ammonendo sull’ultimo rischio alle porte: una generazione di «tecnocrati" che ignori il bene comune».

Documento per molti versi fuori dagli schemi soliti, a partire dalla indicazione di affidare a quella "autorità pubblica mondiale" una chiara «potestà di decidere con metodo democratico e sanzionare sulla base del diritto». In tal modo, ha spiegato presentando il documento il cardinale presidente del pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Peter Kodwo Appiah Turkson, «l’autorità dovrà avere il fine specifico del bene comune e dovrà lavorare ed essere strutturata non come ulteriore leva di potestà dei più forti sui più deboli. In questo senso, essa dovrà svolgere quel ruolo super partes che, dal primato del diritto della persona, favorisca lo sviluppo integrale dell’intera comunità umana, intesa come "comunità delle nazioni"».

Da questo punto di vista, per il porporato, la nota è un contributo al «discernimento» che «può essere utile per le deliberazioni del G20», in programma in Francia il prossimo novembre, a Cannes. E, ha aggiunto il segretario del dicastero, monsignor Mario Toso, c’è un evidente auspicio per «un netto salto di qualità rispetto alle istituzioni e ai fora informali esistenti», per innovare «rispetto ad esse, all’Onu, alle fallimentari istituzioni di Bretton Woods, al G8 o al G20», il quale ultimo «è una soluzione ancora insoddisfacente e inadeguata», perché «non è parte dell’Onu ed è sempre un forum informale e limitato, che mostra di perdere efficacia più viene ampliato», e va quindi «superato», appunto, con l’istituzione di «un’autorità pubblica a competenza universale». E, ha detto ancora, «sì dà il caso che le nostre proposte appaiono in linea con quelle degli indignados, ma più che altro sono in linea con il precedente magistero».

«Se non si pone un rimedio», si legge nella nota, alle ingiustizie che affliggono il mondo, «gli effetti negativi che ne deriveranno sul piano sociale, politico ed economico saranno destinati a generare un clima di crescente ostilità e perfino di violenza, sino a minare le stesse basi delle istituzioni democratiche, anche di quelle ritenute più solide». Se le cause della crisi stanno in «un liberismo economico senza regole e senza controlli», e in tre ideologie dall’«effetto devastante» come l’utilitarismo, l’individualismo e la tecnocrazia, per arrivare a un mercato a servizio dell’etica bisogna recuperare il primato dell’etica e della politica sulla finanza. Da qui le proposte di «misure di tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque», e di «forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici condizionando il sostegno a comportamenti "virtuosi" e finalizzati a sviluppare l’economia reale». La nota ipotizza anche «la riforma del sistema monetario internazionale» per dare vita «a qualche forma di controllo monetario globale».


fonte: http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/vaticana-autorit%C3%A0-finanziaria-mondiale.aspx

giovedì 20 ottobre 2011

Un altro uomo di Dio è stato ammazzato nella semi-indifferenza della società



La notizia che un altro prete cattolico è stato ammazzato quasi all’altro capo del mondo, nell’isola filippina di Mindanao, padre Fausto Tentorio da Lecco, non ha suscitato particolare impressione e anche la maniera in cui è scivolata sui mass-media, quasi per ottemperare a un dovere di cronaca e senza alcuna particolare commozione, rivela fino a che punto la secolarizzazione e la velata o dichiara irreligiosità del mondo moderno siano penetrati nel nostro modo di pensare, di sentire e perfino di indignarci.
Se fosse stato ammazzato un soldato israeliano, per esempio, ne avrebbe parlato il mondo intero; e così pure se fosse toccato a un banchiere newyorkese o a un esponente della cultura laicista e radicale oggi imperante.
Invece è toccata a un umile prete che, per approssimazione, si suole chiamare “missionario”, come se fosse andato laggiù per smania di convertire altre popolazioni; mentre tutto quello che stava facendo era di predicare il Dio dell’Amore alla locale comunità cattolica e, per il resto, impegnarsi per il riconoscimento dei diritti delle popolazioni tribali nel contesto dello Stato filippino, forse pestando i piedi a qualche signorotto locale o a qualche proprietario terriero.
Sta di fatto che un giovane con il casco calato sul viso lo ha freddato al termine della messa e poi se n’è andato in motocicletta, nel perfetto stile del killer professionista; e un’altra croce è andata ad aggiungersi a quella di tanti altri cristiani, sacerdoti e laici, i quali, specialmente negli ultimi anni, dall’uno all’altro capo del mondo, stanno spargendo il loro sangue sotto gli occhi indifferenti e quasi spazientiti dell’opinione pubblica mondiale.
Ora sono i copti in Egitto, che il governo dovrebbe difendere dalle violenze degli estremisti musulmani e che, invece, prende a fucilate nella piazza de Il Cairo; ora i cristiani di un villaggio dell’Orissa, che le autorità indiane dovrebbero del pari proteggere contro il fanatismo indù e che invece abbandonano al loro destino; ora un prete cattolico che in Turchia ha il torto di rappresentare una minuscola minoranza identificata con l’Arcinemico storico; ora un catechista brasiliano che ha infastidito qualche fazendeiro; e così via.
Dall’Iraq, dal Pakistan, dall’Egitto, centinaia di migliaia di cristiani sono in fuga, minacciati di rappresaglie e di sterminio a causa della loro fede; e nessuno se ne dà pensiero: nemmeno i nostri giornali e i nostri telegiornali che sono pronti, invece, a sollevare un immenso polverone se una donna iraniana riconosciuta colpevole dell’omicidio del marito viene condannata a morte, sino al punto di farne una specie di nuova santa e martire laica.
Ci siamo dimenticati che professare il cristianesimo è diventato non soltanto scomodo, ma anche altamente pericoloso in molte parti del mondo, così come lo era nell’antico Impero Romano durante le persecuzioni; oppure, semplicemente, preferiamo non vederlo e non saperlo; così come preferiamo non sapere che le più grandi persecuzioni anticristiane della storia non sono state quelle di Nerone o Diocleziano, ma quelle, assai più recenti e sistematiche, del Messico, dell’Unione Sovietica e della Cina comunista.
Infatti: se anche qualche prete viene ammazzato e qualche comunità cristiana messa in fuga, perché mai la nostra società materialista, figlia della cultura massonica e anticristiana del Secolo dei Lumi, se ne dovrebbe preoccupare? Al contrario, sotto sotto è cosa che non dispiace poi nemmeno tanto: così imparano, quegli ostinati e superati rappresentanti di una visione del mondo che non trova spazio nelle meraviglie della modernità, tutta scienza, tecnica e profitto.
Diciamo la verità: se mai è stato scomodo essere cristiani, oggi lo è diventato più che in qualunque altra epoca; se mai è stato pericoloso, oggi lo è in misura anche maggiore.
I massimi poteri mondiali - le banche, le multinazionali, i grandi speculatori finanziari, quei tre o quattro governi che contano davvero - non solo non hanno alcuna simpatia per il cristianesimo, ma lo vedono come il fumo negli occhi; come l’ultimo e più grosso ostacolo al loro disegno di dominio globale e di sfruttamento illimitato di uomini e cose.
Il cristianesimo rappresenta oggi una delle ultime voci che parli in favore della pace universale, contro la guerra, contro l’ingiustizia, contro la prepotenza dei ricchi a danno dei poveri. Sappiamo benissimo che non sempre i membri della Chiesa cattolica sono stati coerenti con questi principi, ma il punto, oggi, è un altro: a chi giova mettere a tacere questa voce di riconciliazione e di pace; a chi conviene soffocare questa testimonianza di amore e di perdono?
Per intanto, la cultura laicista, favorevole all’aborto, all’eutanasia, all’equiparazione di qualunque coppia di fatto, anche omosessuale, alla famiglia naturale, è riuscita a fare il vuoto intorno ai cristiani; al punto che, se pure ne vengono ammazzati un centinaio ora qua, ora là, magari bruciati vivi dentro una chiesa, come avviene talvolta in India, nessuno fa una piega, nessuno protesta, nessuno pone interrogativi politicamente scorretti.
Chiunque può parlare, tranne i cristiani; e il papa Ratzinger, pur essendo un teologo insigne, non ha il diritto di tenere nemmeno una lezione in quella università di Roma che furono i suoi predecessori a fondare (precisamente, Bonifacio VIII); non è forse Ratzinger l’erede diretto di quel potere infame che ridusse al silenzio Galilei, il padre della scienza moderna? E dunque, taccia.
Questo silenzio, questo isolamento, questo cordone sanitario psicologico e culturale che la società laicista e secolarizzata ha eretto intorno al cristianesimo, sono la premessa per l’inizio della fase finale: l’eliminazione fisica dei cristiani. I cristiani danno fastidio e debbono scomparire: rappresentano un esempio troppo pericoloso di predicatori di pace, in un mondo che ha bisogno di alimentare i fantasmi dell’odio per continuare a sfruttare la miseria, per continuare a scatenare guerre che rendono lauti guadagni alle industrie di morte, e per diffondere ovunque stili di vita materialisti, brutali, antiecologici, basati sulla pura forza e sull’edonismo esasperato.
Del resto, Gesù lo aveva predetto ai suoi discepoli, in una delle pagine più suggestive e più drammatiche tramandateci dal Vangelo (Giovanni, XV, 18-27; e XVI, 1-4):

«Se il mondo vi odia, pensate che prima di voi ha odiato me. Se voi apparteneste al mondo, il mondo vi amerebbe come suoi. Invece voi non appartenete al mondo, perché io vi ho scelti e vi ho strappati al potere del mondo. Perciò il mondo vi odia. Ricordate quello che vi ho detto: un servo non è più importante del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi;  se hanno messo in pratica la mia parola, metteranno in pratica anche la vostra.  Vi tratteranno così per causa mia, perché non conoscono il Padre che mi ha mandato. Se io non fossi venuto in mezzo a loro a insegnare, non avrebbero colpa. Ora invece non hanno nessuna scusa per il loro peccato. Chi odia me, ossia anche il Padre mio. Se non avessi fatto opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa. Invece le hanno vedute, eppure hanno odiato me e il Padre mio. Così si realizza quello che sta scritto nella loro legge: “Mi hanno odiato senza motivo”.
Quando verrà l’avvocato che io vi manderò da parte del Padre mio - lo Spirito della verità che proviene dal padre - egli sarà il mio testimone, e anche voi lo sarete, perché siete stati con me dal principio.
Vi ho detto questo perché ciò che vi capiterà non turbi la vostra fede. Sareste espulsi dalle sinagoghe, anzi verrà un momento in cui vi uccideranno pensando di fare cosa gradita a Dio. Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me.  Ma io ve l’ho detto perché, quando verrà il momento dei persecutori, vi ricordiate che io ve ne avevo parlato. Non ne ho parlato fin dal principio, perché ero con voi.»

Del resto, perché meravigliarsi?
La storia del cristianesimo è piena di martiri, e non solo quella dei primi tre secoli.
In Giappone, fra XVI e XVII secolo, i cristiani venivano crocifissi e la loro religione ufficialmente proibita, tanto da doverla professare in segreto: ed erano una comunità di ben 300.000 persone, anche nel Vietnam il cristianesimo rimase fuori legge fino alla prima metà del 1800.
Quante persone di media cultura, per esempio, sanno che la storia del Canada e di quelli che sarebbe poi diventato lo Stato di New York, è letteralmente costellata dal sangue dei martiri cristiani?
Ricordiamo qualche nome: Gabriele Lalemant, Antonio Daniel, Carlo Garnier, Natale Chabanel, Isacco Jogues, Renato Goupil, Giovanni de La Lande; e sono solamente  alcuni. Non si tratta di missionari europei che si erano recati in quelle regioni per collaborare allo sfruttamento degli indigeni da parte dei bianchi; al contrario: si trovarono nel mezzo delle guerre fra Uroni e Irochesi; cercarono di metter pace: vennero travolti anch’essi nella tragedia sanguinosa degli Uroni, che avevano in gran parte convertiti al cristianesimo.
E quante persone sanno che un missionario originario di Lecco, Giovanni Mazzucconi, è stato il primo martire del P. I. M.E. (Pontificio Istituto Missioni Estere) in Oceania, a soli ventinove anni, trucidato dagli indigeni dell’isola di Woodlark, nell’odierno Papua-Nuova Guinea, nel 1855 e proclamato poi beato da Giovanni Paolo II?
La sua breve vita è così interessante, che ci riserviamo di tornarvi sopra in apposita sede; una sola cosa diciamo di lui, per adesso: che è stato quanto di più lontano si possa immaginare dal cliché del missionario cattolico testardo, fanatico, sprezzante delle culture indigene, che una certa Vulgata massonica e protestante ha diffuso a un punto tale che, in molti, alla parola “missionario” scatta quasi un riflesso condizionato di sospetto, diffidenza, antipatia.
Oppure che dire dei martiri della Cina? Ci sentiremmo di scommettere che alla stragrande maggioranza del pubblico italiano i loro nomi non dicono nulla.
Ne citiamo solo alcuni: Alberico Crescitelli, di Avellino, martirizzato nel 1900, durante la rivolta dei Boxer; Cesare Mencattini, aretino, colpito da pallottole dum-dum, nel 1941, a trentun anni; Antonio Barosi, cremonese, strangolato nel 1941, a quarant’anni; Mario Zanardi, sempre cremonese, anch’egli strangolato nel 1941, a trentasette anni e dopo quattordici di missione; Bruno Zanella, vicentino, strangolato e gettato in un pozzo con altri due padri, Mons. Barosi e P. Zanardi; Gerolamo Lazzaroni, bergamasco, gettato vivo in un pozzo, ancora nel 1941, a ventisette anni; Carlo Osnaghi, milanese, sepolto vivo nel 1942, a quarantatre anni; Emilio Teruzzi, milanese, trucidato e gettato in mare nel 1942, a cinquantacinque anni; e, più recentemente, Valeriano Fraccaro, trevigiano, partito per le missioni cinesi nel 1937 e ucciso nel 1974, nel clima della Grande Rivoluzione culturale.
E poi ci sono i martiri della Birmania, anche’essi, probabilmente, ignoti al grande pubblico, a quei nipotini di Voltaire che si fanno beffe della parola “martire” e che pensano, magari, che quei benedetti preti sono proprio andati a cercarsela: non potevano starsene a casa loro, invece di andare in capo al mondo con la croce di Cristo?
Ed ecco Mario Vergara, napoletano, fucilato e gettato in un fiume della Birmania, nel 1950, a quarant’anni; Pietro Galastri, aretino, anch’egli trucidato nel 1950; analogo destino per Alfredo Cremonesi, di Cremona, colpito da raffiche di mitra nel 1953; Pietro Manghisi, barese, ucciso nel 1953, a cinquantaquattro anni; Eliodoro Farronato, vicentino, fucilato nel 1955 da guerriglieri sbandati, dopo venti anni di missione, all’età di quarantatre anni.
L’elenco potrebbe continuare, il numero di questi martiri è legione.
Ecco, ad esempio, Angelo Maggioni, nato a Trezzo d’Adda nel 1917 e missionario in Asia dal 1948, assassinato il 14 agosto da una banda di uomini armati nel Bangladesh.
Ed ecco suor Gina Simionato, nata a Quinto di Treviso nel 1945, missionaria in Africa dal 1975 per un quarto di secolo, uccisa nell’ottobre del 2002 in Burundi.
E che dire del vescovo di San Salvador Oscar Romero, assassinato dagli squadroni della morte in piena messa, il 21 giugno 1970, per essersi fatto interprete del grido dei poveri?
Sì: sono anche questa nostra ignoranza, questa nostra indifferenza, questo nostro distacco, che lasciano più soli ed esposti i cristiani davanti alle persecuzioni dei nostri giorni.

Fonte: http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=40731

domenica 16 ottobre 2011

"Indignados", la Quarta Rivoluzione








di Massimo Introvigne

14-10-2011















Domani, sabato 15 ottobre, si svolge la giornata internazionale di mobilitazione degli "indignaods", e la manifestazione di Roma sarà il suo fulcro in Italia.
Ma chi sono gli "indignados" che scendono in piazza in Spagna, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Italia e la cui protesta sembra inarrestabile? Il nome viene da un libretto pubblicato nel 2010 in Francia da un piccolo editore (Indigène éditions di Montpellier) che si è trasformato in successo mondiale, Indignez-vous ! (Pour une insurrection pacifique) - trad. it., Indignatevi!, Add editore, Torino 2011 -, del vecchio (novantatré anni) ex militante della Resistenza francese, ambasciatore e uomo politico Stéphane Hessel. Questo nuovo "libretto rosso" di una rivoluzione fai da te è ampiamente sopravvalutato. Hessel attacca quella che in Italia siamo abituati a chiamare la "casta" - politici, industriali, Chiesa - ma i suoi critici fanno notare che ne ha sempre fatto parte. E il suo legame politico con Dominique Strauss-Kahn è diventato fonte d'imbarazzo dopo gli incidenti a sfondo sessuale che hanno coinvolto l'ex direttore generale del Fondo Monetario Internazionale.
Il contenuto, poi, è di una povertà desolante. Un critico davvero insospettabile, il giornalista del quotidiano di sinistra Libération Pierre Marcelle, ha chiamato Hessel «il Babbo Natale delle buone coscienze». Le trenta paginette che si vorrebbero anticonformiste di Indignatevi! sono in realtà un inno al più vieto conformismo politicamente corretto, e lasciano l'impressione che per superare la crisi in atto non ci sia bisogno di fare sacrifici. Basterebbe che i cattivi che si sono impadroniti della politica e dell'economia siano sostituiti da "buoni" dalle caratteristiche molto vaghe: leali, generosi, un po' antiamericani e anti-israeliani, fedeli ai "valori della Resistenza" - ci mancherebbe altro - e capaci di emozionarsi per i "nuovi diritti" rivendicati dalle femministe e dagli omosessuali.
I primi "indignados" - di qui il nome spagnolo - si sono manifestati il 15 maggio 2011 a Madrid. Come ha fatto notare il teologo spagnolo don Javier Prades-López a un convegno organizzato dal cardinale Angelo Scola a Venezia, gli "indignados" se la sono presa per prima cosa con la Chiesa e hanno finito pr contestare il Papa e la Giornata Mondiale della Gioventù. Questa è un'importante differenza sia con i vecchi no global, che non erano certo filocattolici ma che non avevano la Chiesa tra gli obiettivi principali, sia con le folle delle "primavere arabe", che anzi in parte, contestando dittature "laiche", chiedevano più e non meno religione.
L'aspetto anticattolico sottolineato da Prades-López e l'insistenza sui "nuovi diritti" non vanno in alcun modo sottovalutati. Ma ugualmente importante è la rivolta contro la politica in genere, contro la "casta" e l'idea che la crisi economica derivi da colpe individuali di singoli esponenti del mondo politico e finanziario, così che gli "indignados" non vogliono in nessun modo pagarne il costo. A Roma si è sentito rivendicare un «diritto all'insolvenza», a non pagare i debiti. A Londra si sono visti giovani sfasciare vetrine chiedendo non il pane - come in Tunisia -, ma il diritto al cellulare ultimo modello o all'abito di marca. A Parigi gli slogan contro tutti i partiti e gli inviti ad astenersi dal voto elettorale hanno turbato lo stesso Hessel, che ha sempre fatto politica di partito e che forse ora si è accorto di avere aperto un vaso di Pandora.
Ma per capire gli «indignados» non bastano gli analisti politici. Ci serve una teologia della storia. Papa Benedetto XVI ha parlato questo mese in Calabria della «mutazione antropologica» di una generazione che vive nella realtà virtuale di Internet e degli smartphone e rischia di perdere il contatto con il mondo reale. Il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), nel suo grande affresco della scristianizzazione dell'Occidente, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (cfr. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario, a cura di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009), vedeva la Rivoluzione, con la "R" maiuscola, come un processo di progressiva distruzione dei legami sociali che avevano fatto dell'Occidente cristiano quello che era. Prima i legami religiosi, con la rottura con Roma del protestantesimo; poi i legami politici organici fondati sulla ricchezza dei corpi intermedi, sostituiti da un freddo rapporto fra il cittadino e lo Stato moderno, con la Rivoluzione francese; infine i legami economici, con il comunismo e l'assorbimento di tutta la vita economica nello Stato. Più tardi, Corrêa de Oliveira aggiunse alle prime tre fasi quella che chiamava Quarta Rivoluzione, che aveva il suo momento emblematico nel 1968 e non attaccava più legami macrosociali, ma microsociali - la famiglia, il legame fra madre e figlio con l'aborto - e perfino i legami dell'uomo con se stesso con la droga, l'ideologia di genere, l'eutanasia.
Il 1968 era tutto questo, ma la Terza Rivoluzione - quella comunista - era ancora così forte da riuscire largamente a recuperarlo. I no global - in parte professionisti del disordine, in parte nostalgici di forme arcaiche di marxismo - rappresentano la transizione fra un movimentismo di Terza e uno di Quarta Rivoluzione. Gli "indignados" sembrano essere insieme la causa e l'effetto di una Quarta Rivoluzione che ha portato alle estreme conseguenze lo spappolamento del corpo sociale, la solitudine di tutti da tutti, e contro tutti, il rifiuto di ogni responsabilità - ben simboleggiato dalla rivendicazione del diritto a non pagare i debiti e dagli insulti al Papa, in quanto richiama all'esistenza di doveri -, la mancanza assoluta di prospettive e, in fondo, anche di speranza. Ci volevano oltre quarant'anni di Quarta Rivoluzione perché le piazze potessero riempirsi di "indignados".
Si tratta di movimenti che sono stati sempre manipolati e riassorbiti da qualche demagogo politico. Avverrà anche questa volta? Si è candidato Beppe Grillo, che si è affrettato ad accorrere anche a Madrid ai primi segni di vita degli "indignados". E abbiamo visto emergere partiti paradossali, del nulla, intitolati alla pirateria informatica o, com'è appena avvenuto in Polonia, a una collezione raffazzonata di «nuovi diritti» tenuti insieme dall'anticlericalismo. Questi partiti non vincono le elezioni, ma è già inquietante che ottengano seggi ed entrino nei parlamenti.
Quanto ai politici tradizionali - compresi quelli di sinistra - sperano talora di sfruttare gli "indignados" ma ne ricavano principalmente uova marce.  L'incomprensione, e le uova marce, spiegano perché la politica non solo non sia in grado di rispondere alle poche rivendicazioni sensate degli "indignados" - che sono di carattere economico immediato, ovvero denunciano lo scandalo reale di classi dirigenti che chiedono sacrifici cui non sono disponibili a partecipare di persona -, ma anche perché, intimidita, non sia neppure in grado di garantire l'ordine pubblico come dovrebbe fare quando le proteste degenerano in intollerabili violenze.
La presenza degli "indignados" dà ragione a Benedetto XVI: siamo di fronte a un degrado antropologico che spesso inizia con il manifestarsi come ostilità alla Chiesa e al cristianesimo. È certo necessaria una risposta di ordine pubblico alle frange violente, che non si lasci intimidire da nessuna retorica buonista. Ma affrontare seriamente il problema degli "indignados" significa operare con pazienza per ricostituire i legami sociali e personali spezzati da una lunga Rivoluzione. Per gli uomini e le donne di buona volontà - lo ha detto il Papa al Parlamento Federale tedesco - questo si chiama ritorno al diritto naturale, all'idea che esistono doveri e non solo diritti, a una chiara nozione del bene e del male. Per i cattolici, si chiama nuova evangelizzazione.