Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

mercoledì 24 agosto 2011

Vacanze sì, ma non dal pensiero!

di Adolfo Morganti

Agosto, si sa, è tempo di ferie ed è sinonimo di vacanze. Eppure, il discorso non è così scontato come potrebbe apparire prima facie; almeno se non ci si vuole limitare ad un generico e sostanzialmente vacuo augurio.
Perché se è vero che ognuno di noi ha bisogno di periodi di “riposo”, non è poi così ovvio che la modernità “occidentale” riconosca – ed anzi abbia lasciato sopravvivere – quello che i latini chiamavano otium e che il Medioevo cristiano riuscì a trasformare in vita contemplativa.
Quello che infatti cerca mediamente oggi un lavoratore più o meno giovane – comunque figlio dei tempi – è il c.d. “svago”, o un generico e non ben definito “divertimento”.
Cosa naturale si dirà. Falso. Perché essi sono figli della modernità, così come lo è il concetto di “tempo libero”: tanto è vero, che quest’ultimo è stato fortemente promosso dai regimi totalitari al fine di costruire l’uomo nuovo anche nei momenti in cui l’essere umano non si adoperava sul lavoro.
Si obietterà che oggi non ci sono più, almeno in Europa, totalitarismi. Politicamente forse no, ma culturalmente siamo bombardati ogni giorno dalla dittatura della società dei consumi.
Ed ecco che quindi il “nostro” (rectius il loro…) modello sociale ci indica – meglio dire ci impone -  l’idea secondo la quale il c.d. tempo libero vada organizzato in attività parallele, mentre le ferie vadano godute divertendosi e spendendo. Ossia alienandosi completamente dalla realtà e soprattutto dalla riflessione.
Esattamente tutto il contrario di quanto facessero i nostri avi romani e gli uomini del medioevo.
L’otium, infatti, era considerato molto positivamente, e basilare alla vita sociale come il negotium, e questo al fine di alimentare la riflessione, ammirare le bellezze della natura, favorire una certa speculazione intellettuale, vuoi anche godersi le piccole cose della quotidianità.
Ma è nel periodo dell’Età di mezzo che il concetto, fortemente influenzato dal cristianesimo, raggiunge il suo lato più alto ed umano. Il tempo speso a contemplare la Natura, la Bellezza, a respirare l’incenso di una Chiesa o l’aria pura di una montagna, è finalizzato alla scoperta di Dio, e dunque è un tempo benedetto e sacro, che non può e non deve essere sacrificato.
Si potrebbe ribattere affermando che all’epoca non tutti si dedicassero a questo, e che in tantissimi dovessero comunque lavorare, con durezza, la terra.
Ora, a parte che San Benedetto, tramite la famosa regola, sancì l’assoluta compatibilità ed affinità tra culto della terra e culto dello spirito, c’è da sottolineare il fatto che la vita lavorativa media di un contadino medievale era di gran lunga più vivibile ed indubbiamente più a misura d’uomo rispetto a quella di un moderno operaio o di un impiegato: nessun monte ore da rispettare, nessun cartellino da timbrare, tempi di lavoro scanditi solo dalla luce solare, continue pause per le numerosissime feste liturgiche e tradizionali che animavano la vita del villaggio.
I risultati di tanto tempo dedicato alla riflessione, alla contemplazione, alla pace interiore, alla preghiera, non erano tangibili solo sotto il piano strettamente personale nelle forme – tipicamente moderne – del benessere pisco-fisico: molti degli stessi, infatti, hanno avuto ricadute sociali ancora visibili tutt’oggi; lo sviluppo dell’arte, il culto del bello, la speculazione filosofica e persino la medicina raggiunsero infatti vette elevatissime.
E questo proprio perché si aveva il tempo di pensare, di osservare, di contemplare. E soprattutto perché vi era una continua ricerca verso la perfezione, un’incessante tensione verso l’Alto favorita anche da una società gerarchica ed aristocratica che aveva il suo vertice nell’Imperatore e nel Papa, rappresentanti – paritari – di Dio in terra.
Oggi, invece, i termini sono completamente invertiti: si tende verso il basso, verso il livellamento, sintomi questi della massificazione egualitaria e (pseudo)democratica, dove il tempo libero serve a spegnere la mente.
La frase più in voga del resto pare essere “sono in vacanza, non voglio pensare a niente”. Ora, lasciando ai linguisti la risposta al quesito se due negazioni siano, in questo caso, affermative, e ai filosofi quella alla questione se il Niente, in quanto tale, possa essere pensato, certo è che l’atteggiamento di chi cerca l’alienazione da sé è anti-umana oltre che anti-razionale.
D’altronde, è tipicamente nichilista farsi stordire ogni notte da rumori elettronici che – non si sa bene in base a quale canone estetico – vengono chiamati musica…  E se non segui il trend della “movida” sei “vecchio” o sei “out”… Per non parlare poi di droghe chimiche ed alcool.
Cos’è, non si dovrebbe bere? Nulla di più falso!
Però, anche su questo punto, va rilevata una differenza di fondo rispetto al passato, o meglio ad un passato che risulta essere più evoluto, razionale ed umano del nostro tempo: il vino, la birra, fanno parte della cultura “occidentale”, così come altre bevande alcoliche sono da sempre presenti sulle tavole delle diverse popolazioni della terra.
Ma è questo il punto: sono presenti proprio sulle tavole, dove si socializza, dove si crea un rapporto di fedeltà, perché non si mangia con chi è nemico (la nostra cultura ha ben presente il concetto di tradimento a tavola…), e dove ci si può lasciare andare ad ogni sorta di confidenza (in vino veritas…). E si beve stando seduti, lasciando che tutto ruoti intorno alla discussione, alla parola, al logos (parola, ma anche ragione) che irrompe.
Oggi, al contrario, si beve stando spesso – per non dire sempre – in piedi, fuori casa o lontano da un luogo confidenziale, ed è difficile affrontare qualsiasi discussione vuoi per il frastuono “musicale”, vuoi perché la discussione in sé è troppo impegnativa per chi vuole, come si diceva, non pensare.
Dunque vacanze rovinate? Consigli per gli acquisti? Morale a tutto tondo?
Ma assolutamente nulla di tutto questo : semplice e banale osservazione della realtà, vuoi con una buona dose di approssimazione e di generalizzazione, vuoi con un sottile velo di ironia. Ma questi sono i tempi del social network e dell’informazione veloce, dove tutto scorre (ma Eraclito non c’entra) e dove passa, forse, un solo concetto.
E dunque è necessario lasciare gli approfondimenti, le riflessioni, le scoperte, a tutti coloro che vorranno godersi una vacanza completamente contemplativa: sia essa al mare, in campagna, in montagna, in casa propria, l’importante che sia, ontologicamente e culturalmente, il più lontano possibile dai ritmi violenti e dalla mode imposte dalla tirannide modernista.
La mente ed il cuore, oltre che lo spirito ed il corpo, indubbiamente ringrazieranno.

 

venerdì 19 agosto 2011

Benedetto XVI: l'economia deve avere un'etica


P Lombardi: Santità, i tempi cambiano. L’Europa e il mondo occidentale in generale vivono una crisi economica profonda, ma che manifesta anche dimensioni di grave disagio sociale e morale e di grande incertezza per il futuro, che diventano particolarmente dolorose per i giovani. Nei giorni scorsi abbiamo visto, ad esempio, i fatti avvenuti in Gran Bretagna, con scatenamento di ribellione o di aggressività. Allo stesso tempo ci sono segni di impegno generoso ed entusiasta, di volontariato e solidarietà, di giovani credenti e non credenti. A Madrid incontreremo moltissimi giovani meravigliosi. Quali messaggi può dare la Chiesa per la speranza e l’incoraggiamento dei giovani del mondo, soprattutto quelli che sono oggi tentati di scoraggiamento e di ribellione?
Benedictus PP. XVI: Ecco. Si conferma nell’attuale crisi economica quanto è già apparso nella precedente grande crisi, che la dimensione etica, cioè, non è una cosa esteriore ai problemi economici, ma una dimensione interiore e fondamentale. L’economia non funziona solo con un’autoregolamentazione di mercato, ma ha bisogno di una ragione etica per funzionare per l’uomo. E appare di nuovo quanto aveva già detto nella sua prima enciclica sociale Papa Giovanni Paolo II, che l’uomo dev’essere il centro dell’economia e che l’economia non è da misurare secondo il massimo del profitto, ma secondo il bene di tutti, include responsabilità per l’altro e funziona veramente bene solo se funziona in modo umano, nel rispetto dell’altro. E con le diverse dimensioni: responsabilità per la propria Nazione e non solo per se stessi; responsabilità per il mondo – anche una Nazione non è isolata, anche l’Europa non è isolata, ma è responsabile per l’intera umanità e deve pensare ai problemi economici sempre in questa chiave della responsabilità anche per le altre parti del mondo, per quelle che soffrono, hanno sete e fame, non hanno futuro. E quindi – terza dimensione di questa responsabilità – è la responsabilità per il futuro. Sappiamo che dobbiamo proteggere il nostro pianeta, ma dobbiamo proteggere – tutto sommato – il funzionamento del servizio del lavoro economico per tutti e pensare che il domani è anche l’oggi. Se i giovani di oggi non trovano prospettive nella loro vita, anche il nostro oggi è sbagliato e “male”. Quindi, la Chiesa con la sua dottrina sociale, con la sua dottrina sulla responsabilità verso Dio, apre la capacità di rinunciare al massimo del profitto e di vedere le cose nella dimensione umanistica e religiosa, cioè: essere l’uno per l’altro. Così si possono anche aprire le strade. Il grande numero di volontari che lavorano in diverse parti del mondo, non per sé ma per l’altro, e trovano proprio così il senso della vita, dimostrano che è possibile fare questo e che un’educazione a questi grandi scopi, come cerca di fare la Chiesa, è fondamentale per il nostro futuro.

lunedì 15 agosto 2011

C'era una volta in Europa...

di Massimo Fini

Se vi dicessi che c'è in Europa un Paese dove non esiste la disoccupazione, non esiste il lavoro precario, non esiste il problema dei pendolari, non esiste l'inflazione, dove le tasse sono al 10%, dove ognuno possiede una casa e quanto basta per vivere e quindi non ci sono poveri, mi prendereste per matto. E avreste ragione. Perchè questo è il Paese che non c'è. Ma è esistito. E' esistito un mondo fatto così. E si chiama Medioevo Europeo.
La disoccupazione appare, come fenomeno sociale, con la Rivoluzione industriale. Prima, con una popolazione formata al 90/95% da agricoltori e artigiani, ognuno, o quasi, viveva sul suo e del suo, aveva, nelle forme della proprietà o del possesso perpetuo, una casa e un terreno da coltivare. E anche i famigerati 'servi della gleba' (i servi casati), comunque una realtà marginale, se è vero che non possono lasciare la terra del padrone non ne possono essere nemmeno cacciati. Non esisteva il precariato perchè il contadino lavora tutta la vita sulla sua terra e l'artigiano nella sua bottega che è anche la sua casa (per questo non esiste nemmeno il pendolarismo). Il giovane apprendista non percepisce un salario, ma il Maestro ha il dovere, oltre che di insegnargli il mestiere, di fornirgli alloggio, vitto e vestiti (due, uno per la festa, l'altro per i giorni lavorativi; ma, in fondo, abbiamo davvero bisogno di più di due vestiti?). Dopo i sette anni di apprendistato il giovane o rimarrà in bottega, pagato, o ne aprirà una propria. Senza difficoltà perchè c'è posto per tutti. Gli statuti artigiani infatti proibiscono ogni forma di concorrenza e quindi, di fatto, la formazione di posizioni oligopoliste. Per tutelare però l'acquirente (oggi diremo 'il consumatore') gli statuti stabiliscono regole rigidissime per garantire la qualità del prodotto.

Nelle campagne il fenomeno del bracciantato si creò quasi a ridosso della Rivoluzione industriale quando i grandi proprietari terrieri cominciarono a recintare i loro campi (enclosure) rompendo così il regime delle 'terre aperte' (open fields) e delle servitù comunitarie (ad uso di tutti) su cui si era retto per secoli lo straordinario ma delicato equilibrio del mondo agricolo. Per molti contadini, non avendo più il supporto delle servitù, la propria terra non era più sufficiente a sostentarli. Ma fu un fenomeno tardo. Perchè la concezione di quel mondo, contadino o artigiano, era che ogni nucleo familiare doveva avere il proprio spazio vitale. Scrive lo storico Giuseppe Felloni: "Le terre sono divise con criteri che antepongono l'equità distributiva all'efficenza economica".

Le imposte, comprendendovi quelle statali, quelle dovute al feudatario, nella forma di prelievo sul raccolto e di corvèes personali, la 'decima' alla Chiesa, non superarono mai il 10%. E' vero che anche i servizi erano minimi, ma per molti aspetti di quello che noi oggi chiamiamo 'welfare' sovveniva la Chiesa, naturalmente nei modi consentiti dai tempi.

Non esisteva l'inflazione. I prezzi rimanevano stabili per decenni. Una delle rare eccezioni fu la Spagna degli inizi del XVII secolo a causa dell'oro e dell'argento rapinati agli indios d'America. E nel suo 'Memorial' Gonzales de Collerigo scrisse con sarcastica lucidità: "Se la Spagna è povera è perchè è ricca". Che è poi la paradossale condizione in cui si trovano molti Paesi industrializzati di oggi.

In quel mondo, per quanto a noi appaia incredibile, non esistevano i poveri. Il termine 'pauperismo' nasce nell'opulenta Inghilterra degli anni '30 dell'Ottocento. Fu Alexis de Tocqueville, uno dei padri del mondo moderno, ad accorgersi per primo dello sconcertante fatto che nel Paese del massimo sforzo produttivo e industriale c'era un povero ogni sei abitanti mentre in Spagna e Portogallo, dove il processo era appena agli inizi, la proporzione era di 1 a 25 e che nei Paesi e nelle regioni non ancora toccate dalla Rivoluzione industriale non c'erano poveri. Perchè è la ricchezza dei molti, alzando il costo della vita, a rendere poveri tutti gli altri. Che è quanto sta accadendo oggi in Russia, in Cina, in Albania, in Afghanistan e persino in Italia.

mercoledì 3 agosto 2011

Iraq, la tragedia e la speranza di Andrea Tornielli

Il 2010 è stato l’anno peggiore per la comunità cristiana in Iraq. Lo denuncia l’organizzazione per i diritti umani in Iraq Hammurabi, riportata dall'agenzia Asianews. «Molti cristiani sono stati costretti a lasciare il Paese nel timore di uccisioni e violenze di ogni tipo».
Il bilancio delle vittime tra i cristiani negli ultimi sette anni, secondo Hammurabi, supera la 822 persone. 629 di loro sono stati assassinati per il fatto di far parte della minoranza cristiana. Altri 126 sono rimasti coinvolti in attentati di vario genere; altri ancora sono rimasti vittime di operazioni militari compiute dalle forze americane e irachene. Il 13% delle vittime sono donne. Fra le vittime cristiane del 2010 si contano 33 bambini, 25 anziani e 14 religiosi. Nell’anno 2010 Hammurabi registra 92 casi di cristiani uccisi e 47 feriti; 68 a Baghdad, 23 a Mosul e uno a Erbil.
Mi scuserete se ancora una volta ricordo la profetica posizione di Giovanni Paolo II, che già anziano e piegato dalla malattia, scongiurò di non fare la guerra in Iraq. Quella guerra fatta per «disarmare» Saddam Hussein delle armi di distruzione di massa che non aveva e che nessuno ha mai trovato.
Ma Asianews ricorda anche i segnali di speranza. Il 4 luglio il patriarca caldeo Emmanuel Delly III, ha incontrato massima autorità religiosa sciita irachena, Ali al Sistani, e ha sottolineato che si è trattato di «una visita fraterna, per ribadire l’unità dell’Iraq e degli iracheni musulmani e cristiani». La settimana scorsa a Kirkuk, a nord di Baghdad, è stata inaugurata la prima chiesa costruita dopo l’invasione dell’Iraq del 2003, su un terreno donato dal governo iracheno con il contributo del presidente Jalal Talabani, e finanziata dalle offerte dei cristiani iracheni.

martedì 26 luglio 2011

Breivik, l’attentatore di Oslo. Un’ideologia identitaria ma non fondamentalista

Articolo di Massimo Introvigne
Fonte: http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=39643

L’orribile tragedia di Oslo chiede anzitutto rispetto e preghiera per le vittime, quindi una riflessione sulle misure di vigilanza che anche società, come quelle scandinave, che tengono al loro carattere «aperto», oggi non possono mancare di adottare a fronte delle numerose e molteplici forme di terrorismo. Tra queste misure, però, non ci può e non ci dev’essere una stigmatizzazione dei «fondamentalisti cristiani», dipinti come criminali e potenziali terroristi. È veramente sfortunato che la polizia norvegese, subito ripresa dai media di tutto il mondo, abbia inizialmente presentato l’attentatore, Anders Behring Breivik, come un cristiano fondamentalista, e che in Italia alcuni media lo abbiano definito perfino – falsamente – un cattolico. 
L’incidente mostra semplicemente come oggi «fondamentalista» sia una parola usata in modo generico e impreciso per indicare chiunque abbia idee estremiste o genericamente «di destra», e un riferimento, anche se vago, al cristianesimo. Ne nasce facilmente il fenomeno sociale della «colpevolezza per associazione», per cui qualunque cristiano che sia, per esempio, contro l’aborto o il riconoscimento delle unioni omosessuali diventa un fondamentalista e, dal momento che l’attentato di Oslo è stato attribuito a un adepto del fondamentalismo, anche un potenziale terrorista. Proprio pochi giorni prima dell’attentato di Oslo l’Osservatorio sull’Intolleranza e la Discriminazione contro i Cristiani di Vienna aveva inviato ai responsabili del progetto RELIGARE, un’indagine sull’Europa multireligiosa finanziata dalla Commissione Europea, un corposo memorandum sui pericoli di un uso del termine «fondamentalismo» che diventa strumento di discriminazione anticristiana.
L’espressione «cristiano fondamentalista», beninteso, ha un significato preciso. Risale alla pubblicazione negli Stati Uniti tra il 1910 e il 1915degli opuscoli The Fundamentals, una critica militante delle teologie protestanti liberali, del metodo storico-critico nell’interpretazione della Bibbia e dell’evoluzionismo biologico. Un fondamentalista è un protestante – di solito, tra l’altro, molto anti-cattolico – che insiste sull’interpretazione letterale e tradizionale della Bibbia, rifiutando qualunque approccio ermeneutico che tenga conto delle scienze umane moderne, e da questa interpretazione deduce principi teologici e morali ultra-conservatori.
Anders Behring Breivik non è un fondamentalista. Possiamo sapere parecchie cose delle sue idee dal suo profilo su Facebook – cancellato, ma non prima che qualcuno lo avesse salvato e messo online –, da oltre sessanta pagine d’interventi sul sito anti-islamico norvegese document.no, disponibili anche in lingua inglese e soprattutto dal suo libro di 1.500 pagine 2083 – Una dichiarazione d’indipendenza europea, firmato «Andrew Berwick», mandato a una serie di amici e di giornali il 22 luglio, a poche ore dalla strage, e postato su Internet il 23 luglio da Kevin Slaughter, un ministro ordinato nella Chiesa di Satana fondata in California da Anton Szandor LaVey (1930-1997), che ha oggi nel mondo il numero maggiore di adepti in Scandinavia.
Già dalla sua pagina di Facebook, emerge come un interesse principale di Breivik sia costituito dalla massoneria. Chi visitava il profilo di Breivik su Facebook era colpito da una fotografia che lo rappresenta con tanto di grembiulino massonico come un membro di una loggia di San Giovanni, cioè di una delle logge che amministrano i primi tre gradi nell’Ordine Norvegese dei Massoni, la massoneria regolare della Norvegia. Breivik fa parte della Søilene, una delle logge di San Giovanni di Oslo di questo Ordine, che naturalmente non ha di per sé niente a che fare con l’attentato. Queste logge praticano il cosiddetto rito svedese, che richiede ai membri la fede cristiana. Ma nessun fondamentalista protestante diffonderebbe sue fotografie in tenuta massonica: il fondamentalismo, al contrario, è fortemente ostile alla massoneria. Né si tratta di un interesse del passato: la fotografia è stata postata nel 2011 e ancora nel 2009 su document.no Breivik proponeva una raccolta di fondi «nella mia loggia».
Aggiungiamo che anche la passione di Breivik per il gioco di ruolo online World of Warcraft e per una serie televisiva di vampiri piuttosto scollacciata, Blood Ties, nonché la dichiarata amicizia per il gestore del principale sito pornografico norvegese, «nonostante la sua morale sfilacciata» – per non parlare del fatto che uno dei destinatari del suo memoriale è un satanista –, sono tutti tratti che sarebbero assurdi per un cristiano fondamentalista. I toni ricordano semmai Pim Fortuyn (1948-2002), l’uomo politico omosessuale olandese fondatore di un movimento populista anti-islamico. Se una parte del libro apprezza la famiglia tradizionale, altrove Breivik dichiara di considerare ammissibile l’aborto – sia pure in un numero limitato di casi – e rivela anche di «avere messo da parte duemila euro che intendo spendere per una escort di alta qualità, una vera modella, una settimana prima dell’esecuzione della mia missione [terroristica]».
I testi – che rivelano ampie anche se disordinate letture – non appaiono quelli di un semplice folle, anche se ci sono tratti di megalomania e contraddizioni evidenti. L’interesse principale di Breivik non è la religione, ma la lotta all’islam che rischia, a suo dire, di sommergere l’Europa – e tanto più un Paese piccolo come la Norvegia – con l’immigrazione. Queste idee non sono, naturalmente, particolarmente originali – e alcuni degli autori che Breivik cita, e di cui propone nel libro 2083 una sorta di lunga antologia, sono del tutto rispettabili –, ma la tesi è declinata con toni che talora diventano razzisti e paranoici.
Lo scopo primo di Breivik è fermare l’islam – di qui la sua avversione per il governo norvegese, percepito come favorevole a un’indiscriminata immigrazione islamica –, e per questo cerca alleati dovunque. Racconta di avere scelto volontariamente di essere battezzato e cresimato nella Chiesa Luterana norvegese a quindici anni – la famiglia, ricca e agnostica, gli aveva lasciato libera scelta – ma  di essersi convinto che le comunità protestanti sono ormai morte e hanno ceduto alle ideologie multiculturaliste e filo-islamiche. In un primo momento, scrive, i protestanti dovrebbero confluire nella Chiesa Cattolica. Ma anche la Chiesa Cattolica si è ormai venduta all’islam quando l’attuale Pontefice ha deciso di continuare il dialogo interreligioso con i musulmani. Breivik minaccia Benedetto XVI, scrivendo che «ha abbandonato il cristianesimo e i cristiani europei e dev’essere considerato un Papa codardo, incompetente, corrotto e illegittimo». Una volta eliminati i protestanti e il Papa, potrà essere organizzato un «Grande Congresso Cristiano Europeo» da cui nascerà una «Chiesa Europea» completamente nuova, identitaria e anti-islamica.
Se Breivik ha un nemico, l’islam, ha anche un amico – immaginario, perché non sembra ci siano stati grandi contatti diretti –: il mondo ebraico, che considera il più sicuro baluardo anti-musulmano. Il terrorista mostra un vero culto per lo Stato d’Israele e per le sue forze militari, cui corrisponde una viva avversione per il nazismo. «Se c’è una figura che odio – scrive – è Adolf Hitler [1889-1945»: e fantastica di viaggi nel tempo per andare nel passato e ucciderlo. È vero che s’iscrive a un forum Internet di neo-nazisti, ma lo fa per cercare di convincerli che, se alcune idee del führer sul primato etnico degli occidentali erano giuste, l’errore clamoroso è stato non capire che gli occidentali più puri e nobili sono gli ebrei, e che se avesse voluto sterminare qualcuno il nazismo avrebbe dovuto piuttosto andare a prendere i musulmani nel Medio Oriente.
Un riferimento frequente è del resto all’inglese English Defence League – con cui sembra ci siano stati anche contatti diretti –, un movimento anti-islamico «di strada» che è regolarmente accusato di essere razzista e altrettanto regolarmente contesta questa accusa e critica il neo-nazismo. Breivik scrive che il multiculturalismo è una forma di razzismo e che «non si può combattere il razzismo con il razzismo». Il nazismo, il comunismo e l’islam sono per Breivik tre volti della stessa dottrina anti-occidentale, e tutti e tre andrebbero messi fuorilegge. Ma l’enfasi è sempre sulla lotta all’islam. Chiunque sia nemico, attuale o potenziale, dei musulmani diventa un possibile alleato: così gli atei militanti, piuttosto diffusi in Norvegia, che Breivik invita a combattere l’islam e non solo il cristianesimo; così gli omosessuali, cui fa presente che in un mondo dominato dai musulmani saranno perseguitati.
Non è sorprendente neppure il contatto con la Chiesa di Satana, che predica una forma di satanismo «razionalista» che inneggia al predominio dei forti sui deboli e alle virtù del capitalismo selvaggio secondo le teorie della scrittrice americana Ayn Rand (1905-1982), citata spesso anche dal terrorista, e che in Scandinavia se la prende volentieri con gli immigrati. Perfino i rom, secondo Breivik, sarebbero stati resi schiavi in India e ridotti alla loro attuale misera condizione non da popolazioni indù – come insegna la storiografia maggioritaria – ma da musulmani. Pertanto – un altro tratto che lo distingue da molta estrema destra europea – Breivik si mostra piuttosto favorevole ai rom, li incita a combattere l’islam e promette loro nella sua nuova Europa perfino uno Stato libero e indipendente.
Un tono «religioso» si può ritrovare semmai nelle sue ferventi difese degli ebrei e dello Stato d’Israele. Questo è un tema che emerge anche in qualche gruppo protestante fondamentalista – sulla base dell’idea che Israele sia uno Stato voluto da Dio in vista della fine del mondo – ma gli accenti di Breivik sono diversi. Anche se mancano riferimenti diretti, ricordano irresistibilmente l’ideologia anglo-israelita, nata nel secolo XIX in Gran Bretagna e molto diffusa in Scandinavia, specie negli ambienti massonici, secondo cui gli abitanti del Nord Europa sono anche loro «ebrei», discendenti delle tribù perdute d’Israle: il nome «danesi», per esempio, indicherebbe la tribù di Dan. Il movimento anglo-israelita si è scisso nel secolo XX in due tronconi. Quello maggioritario, talora violento e responsabile di attentati negli Stati Uniti, sostiene che gli europei del Nord sono oggi i soli «ebrei» autentici. Quelli che si fanno chiamare ebrei, in Israele e altrove, non sono tali etnicamente, giacché sarebbero in maggioranza khazari, membri di una tribù centro-asiatica convertita all’ebraismo nei secoli VIII e IX. Di qui un’avversione del «movimento dell’identità» di origini anglo-israelite contro Israele e i suoi legami con gruppi antisemiti e neo-nazisti.
Ma – se questo filone dell’anglo-israelismo domina negli Stati Uniti – nel Nord Europa è ancora presente un filone più antico, per cui gli ebrei così come oggi li conosciamo sono veri eredi della tribù di Giuda, in attesa di ricongiungersi con i fratelli anglosassoni e scandinavi delle tribù perdute. Chi mantiene questa visione considera dunque i nord-europei fratelli degli ebrei e, ben lungi dall’essere antisemita, difende in modo molto acceso l’ebraismo e lo Stato d’Israele.
Secondo il suo libro, il terrorista nel 2002 avrebbe fondato con altri a Londra un ordine neo-templare che si affianca ai tanti che già esistono, i Poveri Commilitoni di Cristo del Tempio di Salomone (PCCTS), ispirato non solo ai templari cattolici del Medioevo ma soprattutto ai gradi templari della massoneria – un’organizzazione di cui Breivik cui loda il «ruolo essenziale nella società», pur considerandola incapace di passare alla necessaria azione militare – e aperto a «cristiani, cristiani agnostici e atei cristiani», cioè a tutti coloro che riconoscono l’importanza delle radici culturali cristiane, «ma anche di quelle ebraiche e illuministe» nonché «nordiche e pagane», per opporsi ai veri nemici che sono l’islam e l’immigrazione.
Tra questi riferimenti eclettici, il cristianesimo non è dominante. Cita moltissimi autori, ma il suo padre spirituale è l’anonimo blogger norvegese anti-islamico «Fjordman», che nel 2005 aveva un milione di lettori ma che chiuse il suo blog senza essere mai identificato. Breivik ripubblica un suo scritto secondo cui dopo il Medioevo il cristianesimo – i cui unici aspetti positivi erano di origine pagana –  è diventato per l’Europa «una minaccia peggiore del marxismo».
I «giustizieri templari» di Breivik dovrebbero operare in tre fasi di «guerra civile europea». Nella prima (1999-2030) dovrebbero risvegliare la coscienza addormentata degli europei mediante «attacchi shock di cellule clandestine», scatenando «gruppi di individui che usano il terrore»: gruppi piccoli, anche di una o due persone. Nella seconda (2030-2070) si dovrebbe passare alla guerriglia armata e ai colpi di Stato. Nella terza (2070-2083), alla vera guerra contro gli immigrati musulmani. Breivik è consapevole che gli attacchi della prima fase trasformeranno coloro che li compiranno in terroristi odiati da tutti: ma questa è la forma di «martirio templare» cui si dice disposto.
Obiettivi degli «attacchi shock» sono i partiti politici: i laburisti norvegesi anzitutto, ma sono segnalati anche quattro partiti italiani (PDL, PD, IDV, UDC) che boicotterebbero in modo diverso la guerra all’islam e all’immigrazione. In Italia ci sarebbero sessantamila «traditori» da colpire, anche attraverso attacchi alle raffinerie per sconvolgere l’assetto energetico italiano. Sedici raffinerie italiane, da Trecate (Novara) a Milazzo, sono indicate come obiettivi strategici. Anche su Papa Benedetto XVI ci sono frasi minacciose. Sempre secondo il libro 2083, il numero di potenziali simpatizzanti italiani sarebbe pure di sessantamila: ma questi non si troverebbero né nella Lega né ne La Destra, che Breivik ha esaminato ritenendo le loro critiche anti-immigrazione troppo timide e dunque alla fine «controproducenti». Poiché ne sono uno dei Rappresentanti, mi inquieta anche la riproduzione di un articolo che indica l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) come un organismo internazionale particolarmente filo-islamico e pericoloso.
La domanda forse più importante è se quando Breivik riferisce che il suo ordine di giustizieri templari conta membri in vari Paesi europei ed è in contatto con quelli che il mondo chiama «criminali di guerra» serbi seguaci di Radovan Karadzic, che per lui invece sono eroi che hanno cercato di liberare i Balcani dall’islam, sta scrivendo un romanzo nello stile dello svedese Stieg Larsson (1954-2004) o descrivendo una realtà. Altri particolari autobiografici del libro che sembravano improbabili – la presenza nella sua famiglia di diplomatici, la frequentazione da ragazzo di scuole di élite – sono stati confermati dalla polizia norvegese. La stessa polizia dovrà verificare se la nascita dell’ordine neo-templare, i contatti con i criminali di guerra serbi e un viaggio in Liberia per farsi addestrare da  uno di loro, «uno dei più grandi eroi europei», prima di fondare l’ordine con otto compagni a Londra nel 2002 sono frammenti dell’immaginazione di Breivik o episodi realmente accaduti. Quello che è certo è che un buon terzo del suo libro – un vero e proprio manuale del terrorista, corredato da un diario sulla preparazione dell’attentato – rivela dettagliate conoscenze in materia di armi, esplosivi, la nuova tecnica terroristica chiamata «open source warfare», che può essere messa in opera anche da gruppi piccolissimi, e l’abbigliamento antiproiettile – calzini compresi, dettaglio spesso trascurato e cui Breivik dedica parecchie pagine – difficili da ottenere, anche se Internet fa miracoli, da parte di qualcuno che non ha fatto neppure il servizio militare.
Breivik scrive sempre in tono paranoico. Ma – se vogliamo, come si dice, trovare un metodo nella sua follia – dobbiamo cercarne il filo conduttore principale in un populismo anti-islamico che finora aveva conosciuto raramente forme violente, e uno secondario in una solidarietà pressoché mistica fra l’identità nordica e quella ebraica e israeliana, che ha le sue radici in antiche teorie esoteriche e massoniche di cui Breivik è un cultore. L’unica cosa certa è che il cristianesimo – «fondamentalista» o no – c’entra ben poco, se non come uno fra i tanti improbabili alleati che il terrorista immaginava di reclutare per la sua battaglia violenta contro l’immigrazione islamica.

domenica 24 luglio 2011

Norvegia - Introvigne (Osce): «Non si parli di fondamentalismo cristiano»

"Breivik, con la sua passione per la massoneria, non è un tipico fondamentalista". Inoltre in questo momento "una caccia ai fondamentalisti cristiani sarebbe sbagliata e pericolosa". Sulla strage di Oslo, sull'attentatore Anders Behring Breivik e sul rischio di una stigmatizzazione del fondamentalismo cristiano interviene da Vienna il sociologo italiano Massimo Introvigne, rappresentante dell'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta all'intolleranza e alla discriminazione contro i cristiani.

"Tutte le informazioni - afferma - sono preliminari e da verificare, ma mi preoccupa la caccia ai cristiani
fondamentalisti che vedo iniziare a scatenarsi su diversi media internazionali". Secondo Introvigne, "il fondamentalismo, lontanissimo dalla mia cultura e dalle mie idee, è una componente del protestantesimo del Nord Europa, e non solo, che è vasta, importante e nella stragrande maggioranza delle sue espressioni, pacifica. Non deve essere stigmatizzata e criminalizzata, per quanto molti - e io con loro - dissentano dalla sua teologia e da molte sue idee".

"Quanto a Breivik - continua il sociologo italiano, autore di diverse opere accademiche sulla massoneria - mi colpisce la sua fotografia che lo rappresenta con tanto di grembiulino massonico come un membro di una loggia di San Giovanni, cioè di una delle logge che amministrano i primi tre gradi nell'Ordine Norvegese dei Massoni, la massoneria regolare della Norvegia".

Stando alla stampa norvegese, sottolinea ancora Introvigne, "Breivik farebbe parte della Silene, una delle logge di San Giovanni di Oslo di questo Ordine, che naturalmente sarebbe altrettanto assurdo collegare all'attentato. Queste logge praticano il cosiddetto rito svedese, che richiede ai membri la fede cristiana. Ma nessun fondamentalista protestante diffonderebbe sue fotografie in tenuta massonica: il fondamentalismo, al contrario, è fortemente ostile alla massoneria".

Inoltre "dalla lettura dei suoi post, relativamente frequenti, su document.no, che non è un sito cristiano
fondamentalista ma nazionalista e anti-islamico, Breivik emerge come molto più vicino a una delle branche (quella filo-israeliana, mentre un'altra è antisemita) del movimento dell'identità cristiana, uno strano miscuglio di razzismo, esoterismo, odio per gli immigrati e 'cristianesimo nordicò che non al fondamentalismo".


Fonte: http://www.avvenire.it/Mondo/introvigne+non+si+parli+di+fondamentalismo+cristiano_201107231833300970000.htm

martedì 12 luglio 2011

Amore e immortalità

"Il desiderio di immortalità è stata un’aspirazione perenne dell’uomo di tutti i tempi, di tutte le culture, di tutte le religioni, ed è un’aspirazione di ognuno di noi. Secondo il filosofo francese Gabriel Marcel, dire a una persona: io ti amo, equivale a dirgli: io voglio che tu non muoia mai. Ma mentre chiunque può dire ad un’altra persona: io ti amo, non chiunque può liberare la persona amata dalla morte. L’esperienza ci dice che l’amore di una madre, per quanto forte e intenso, non salva mai il figlio dalla morte. Gesù, invece, come Redentore dell’umanità, ama ogni uomo e ogni donna, li ama sino alla fine, è morto per amore, e ha aperto le porte del cielo ad ogni uomo e donna che non rifiutano il suo amore. La sua nascita nella vita terrena è legata alla nostra risurrezione nella vita eterna."

Ignazio Sanna, Arcivescovo di Oristano - 8 Aprile 2007, Omelia di Pasqua.

giovedì 19 maggio 2011

Anglicani e pedofilia. Una storia di travi e pagliuzze

di Massimo Introvigne
 
Quattrocento bambini molestati, un’intera zona infestata da ministri di culto pedofili che i superiori per quarant’anni si limitano a trasferire da una parrocchia all’altra, ostacolando in ogni modo le indagini della polizia. Una commissione d’inchiesta, condanne, scuse pubbliche che secondo le vittime non possono bastare, un vescovo che si dimette. L’ennesimo episodio di pedofilia nella Chiesa Cattolica? Niente affatto: si tratta dello scandalo dei pastori pedofili nella Chiesa Anglicana dell’Australia del Nord, scoperto nel 2003. La Comunione Anglicana fin dagli anni 1980 è stata devastata da alcuni dei più clamorosi scandali di abusi di minori e di pedofilia dell’intero mondo anglosassone. Nel giorno di venerdì santo del 2002 William Persell, vescovo di Chicago della Chiesa Episcopaliana – la branca statunitense della Comunione Anglicana – dichiarava in un sermone: “Saremmo ingenui e disonesti se dicessimo che quello della pedofilia è un problema della Chiesa Cattolica e non ha nulla a che fare con noi anglicani perché abbiamo preti sposati e donne prete. Non è così”.
Per questo i commenti dell’arcivescovo di Canterbury e responsabile mondiale della Comunione Anglicana, Rowan Williams, che il 3 aprile ha scatenato un attacco senza precedenti contro la Chiesa Cattolica, unendo la sua voce all’assalto di una lobby internazionale contro Benedetto XVI, sono apparsi a molti specialisti di abusi compiuti da religiosi come un pesce d’aprile di cattivo gusto e in ritardo di due giorni. Ma come? Il capo di una comunità dove gli abusi sono iniziati addirittura nel XIX secolo e continuano ampiamente ancora oggi si permette di attaccare il Papa? Non conosce forse la pagina del Vangelo sulla pagliuzza e sulla trave?
Statisticamente, Williams – che contrappone i protestanti ai cattolici –  non potrebbe avere più torto. Secondo il sociologo Philip Jenkins, uno dei maggiori studiosi mondiali della questione degli abusi pedofili, il tasso di sacerdoti condannati per abusi su minori a seconda delle aree geografiche varia dallo 0,2 all’1,7% del totale, mentre per i ministri protestanti va dal 2 al 3%. Un rapporto del 2002 di un’agenzia protestante americana, Christian Ministry Resources, concludeva che “i cattolici ricevono tutta l’attenzione nei media, ma il problema è maggiore nelle Chiese protestanti” dove le accuse (certo da non confondersi con le condanne) negli Stati Uniti erano arrivate al bel numero di settanta alla settimana. Nella sole congregazioni della Comunione Anglicana i siti specializzati riportano centinaia di casi.
Questo dimostra, fra l’altro, che il celibato non c’entra: la maggior parte dei pastori protestanti in genere e anglicani in specie è sposata. Nel 2002 in Australia il pastore anglicano Robert Ellmore, sposato, fu condannato per avere abusato di numerosi bambini, fra cui la sua nipotina di cinque anni. Un pastore episcopaliano di Tucson, in Arizona, Stephen P. Apthorp, nel 1992 era stato condannato per avere violentato 830 volte la figliastra, inducendola a tentare il suicidio, a partire da quando aveva dieci anni. In Australia nel 1995 la Chiesa Anglicana aveva deciso di occuparsi del problema costituendo un “Comitato della Chiesa sugli abusi sessuali”. Uno dei membri più noti del comitato era il canonico anglicano Ross Leslie McAuley. Quando lo nominarono, i vertici della Chiesa Anglicana sapevano già che era sotto inchiesta per diversi casi di abusi omosessuali. Più tardi sarebbe stato descritto dai suoi stessi superiori come
“un predatore sessuale”. Il 12 marzo 2009 in Australia un ex responsabile della Church of England Boys Society è stato condannato a diciotto anni di carcere per una lunga catena di abusi sui bambini. E le condanne continuano.
Sarebbe sbagliato qualunque atteggiamento del tipo “mal comune, mezzo gaudio”, né certamente la Chiesa Cattolica intende assumerlo. Al contrario, il Papa è impegnato a denunciare – come ha scritto nella “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” – “la vergogna e il disonore” dei preti pedofili. Ma il capo anglicano Rowan Williams – che mantiene aperto il sacerdozio e l’episcopato agli omosessuali e ha auspicato l’introduzione in Gran Bretagna della legge islamica, la shari’a, per i musulmani – dovrebbe smetterla con il patetico tentativo di usare la questione della pedofilia per frenare la massiccia emorragia di anglicani che tornano alla Chiesa di Roma disgustati dalla sua gestione,  lasciare al Papa il suo lavoro e occuparsi semmai di fare pulizia in casa sua.

giovedì 28 aprile 2011

Siamo tutti portoghesi

Il Portogallo ha deciso di piegarsi alle frustate sempre più ravvicinate che il "sistema" gli sta infliggendo, per ultima la svalutazione della Agenzia Standard e Poor's che agisce come un cane da caccia ben addestrato che ad un certo momento punta la sua preda indicandola ai cacciatori. Uno di questi, il FMI, immediatamente interviene per proporsi di intervenire prestando, naturalmente a interessi salati, i soldi necessari a salvare le banche del disgraziato paese caduto nell'ultima battuta di caccia di WallStreet. Se non il FMI, interviene la Unione Europea che ha costituito un fondo apposta per queste evenienze. La prossima prevista sarà la Spagna. E poi probabilmente l'Italia quando si saranno fatti sentire nel Bel Paese gli effetti devastanti della crisi libica (venti miliardi in meno di interscambio ed effetti della immigrazione). E poi probabilmente l'Italia quando si saranno fatti sentire nel Bel Paese gli effetti devastanti della crisi libica (venti miliardi in meno di interscambio ed effetti della immigrazione).
Le condizioni per i portoghesi saranno durissime e del tutto simili a quelle che hanno dovuto subire gli irlandesi ed i greci. Dovranno avere sempre meno welfare per tutti i servizi sociali e per le pensioni. Ridurre i salari specialmente quelli pubblici. Insomma impoverirsi e fare la corsa all'indietro: il progresso è diventato soltanto regresso, la marcia del gambero, un ritrovarsi sempre più poveri e pazzi nonostante il miglioramento della produzione, delle esportazioni di tutto.
Si ha l'impressione sgradevole ed allarmante che queste crisi finanziarie siano programmate e che si facciano scoppiare al momento più acconcio. In effetti è da tempo che si parla di PIGS e qualcuno propone una revisione dell'Europa facendone due o tre a "velocità" diverse". Le misure finora proposte dai governi europei per stabilizzare il sistema sono tutte insufficienti e non tolgono il pallino dalle mani degli speculatori. Bisognerebbe vietare la negoziazione dei titoli di Stato assicurandone un rendimento costante e fisso. Abolire le agenzie di rating che hanno assunto un ruolo di killeraggio troppo evidente negli ultimi anni. Nazionalizzare il sistema bancario e vietare la vendita dei derivati. Insomma evitare tutta la speculazione cartacea sulla moneta. Disincentivare gli operatori di banca dalla speculazione su titoli di depositi o altro.
A volte si ha l'impressione che ci troviamo difronte ad una sorta di caccia grossa agli Stati fatta con strumenti diversi: l'Irak, l'Afghanistan, il Pakistan, la Libia, la Costa d'Avorio, la Somalia vengono "trattate" con bombardamenti ed occupazioni militari; Irlanda, Portogallo, Grecia con il fallimento finanziario. L'Irak e la Libia sono state depredate delle loro ricchezze valutarie e le loro risorse energetiche messe sotto controllo.
L'Unione Europea alla quale si sottraggono molte politiche di Francia, Inghilterra e Germania, sta diventando sempre di più una trappola. La regola di Maastricht è diventata un cappio al collo che non si può evitare soltanto con deroghe all'indebitamento. La regola di Maastrict è la causa della crescente asocialità delle politiche europee che caricano sul lavoro dipendente, sulla regressione giuridica dei lavoratori e sullo impoverimento della qualità della vita sociale il peso degli arricchimenti delle classi dominanti e proprietarie fatte non solo di imprenditori ma di dirigenti che guadagnano stipendi strepitosi come Marchionne o Geronzi.
Questa Europa piace sempre meno e sta diventando ossessiva ed oppressiva. Aderisce ad un organismo come la Nato che agisce sempre di più come strumento di aggressione e di imposizione della pax mafiosa degli USA; non ha al suo interno regole che consentano investimenti ed una politica di crescita equilibrata delle zone meno sviluppate. Ha fatto della Polonia, della Romania, e di tutti i paesi provenienti dal Comecon colonie per la delocalizzazione delle industrie decotte dell'Ovest e dove praticare salari di fame. Le forze del lavoro europeo sono state usate come masse di manovra per indebolirne la dignità giuridica e sociale. La sinistra non c'è più e quando c'è, come in Francia, presenta programmi che non si contrappongono al fanatismo liberista imperante.
La meta prossima della regola liberista imperante in Europa è la proletarizzazione di mezzo miliardo di cittadini ridotti al livello medio degli USA che oggi è più o meno povero come negli anni trenta. Questa regola liberista distrugge la mobilità sociale verso l'alto e nel stabilisce una soltanto verso l'inferno della miseria. Serve a creare una casta di supermiliardari capaci di controllare le istituzioni della democrazia. Il mercato sopra di tutti. Basti vedere l'insistenza con la quale si va avanti sulla strada della privatizzazione della acqua per comprendere come la resistenza delle democrazie al potere economico si riduce sempre di più.
Abbiamo bisogno di recuperare al controllo pubblico le banche e settori fondamentali della industria. Il capitalismo è nemico del bene comune.

Pietro Ancona

fonte: http://www.identitaeuropea.it/portogallo.html


domenica 24 aprile 2011

Vide e credette

Omelia della Santa Messa del giorno di Pasqua

Genova, Cattedrale di San Lorenzo,
24 aprile 2011


Carissimi Fratelli e Sorelle

La luce della Pasqua è sorta sul mondo, ma il mondo sembra così distratto e indifferente da non sussultare di gioia. Noi non vogliamo essere cristiani sonnolenti e stanchi, ma desideriamo gustare la gioia cristiana: è un atto di giustizia verso Dio che ci ha fatto il grande dono della fede, è un dovere verso noi stessi assetati di luce, è un servizio all'umanità che cerca disperatamente il perché del suo vivere e morire.

Per questo, nel cuore della Liturgia, intendiamo porre particolare attenzione alla figura del giovane discepolo – quello che Gesù amava – per cogliere nei suoi gesti e nelle sue parole qualcosa per noi. Non sfugge il suo rispetto, la devozione che mostra verso Pietro, capo del Collegio apostolico: egli, più giovane e veloce, non entra nella tomba, ma attende Pietro: "allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette". E qui ci prende un senso di santa invidia: se anche noi avessimo potuto entrare e vedere per poter credere! Come se poter vedere fosse indispensabile per avere la fede. Giovanni, nello spazio di pochissimo tempo, ha fatto nell'anima un lungo percorso: dal vedere la tomba vuota è salito fino a credere in Gesù Risorto. Quante brevi considerazioni possiamo fare sulle parole sobrie del Vangelo.

Innanzitutto ricordiamo che nella nostra comprensibile invidia vi può essere un pregiudizio oggi molto diffuso e radicato: che la realtà è riducibile tutta alle evidenze o alle prove empiriche, a ciò che possiamo vedere e toccare. Ma l'amore, ad esempio, lo possiamo ridurre così? Ne vediamo i segni e le opere, ma della sua radice, che è spirituale e interiore, che cosa è possibile vedere e toccare? Quale visione riduttiva della realtà e quale mondo povero se tutto si riducesse alla conoscenza materiale! Anche per questo il Santo Padre Benedetto XVI non si stanca di esortare tutti ad ampliare i confini della ragione umana, perché non sia usata solo per indagare il mondo sensibile al fine di conoscerlo e usarlo, ma anche per interrogarsi sul perché vero delle cose, dell'uomo, dell'anima, della vita e della morte. Per porsi la domanda decisiva che la cultura odierna elude: che cosa ci sarà dopo la morte? Cos'è il bene?


Ma, inoltre, anche noi possiamo vedere qualcosa di Gesù risorto: vederlo attraverso gli occhi di Giovanni. I suoi occhi possono essere i nostri se lo vogliamo, se apriamo il cuore alla fiducia, senza la quale nessun essere umano può vivere. La fiducia appartiene alla trama fondamentale della vita, ne è una fibra inevitabile. E l'Apostolo Giovanni è affidabile avendo, la sua figura come quella degli altri Apostoli, attraversato il crogiuolo delle indagini neppure sempre benevoli di secoli. E' così che possiamo rientrare anche noi nella beatitudine di Gesù quando rimprovera dolcemente l'ostinazione di Tommaso che non vuole fidarsi della testimonianza dei suoi fratelli: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 29). Oh, come siamo riconoscenti a Giovanni, ma anche a Tommaso: alla corsa rapida del primo verso la fede, e alla resistenza ostinata e incredula del secondo! Voi, Apostoli e Maestri nostri, fratelli e discepoli del Risorto, ci sostenete nel nostro pellegrinaggio.


Ma non possiamo tacere una parola ancora. E' sempre Giovanni che riporta il divino Maestro: "Io sono il pane della vita (...) chi crede in me non avrà più sete". Ecco un altro modo perché anche noi possiamo, come il giovane discepolo, vedere e credere. La fede ha un rapporto virtuoso e mai concluso tra i due termini: si vede per credere e si crede per vedere. Nella misura in cui noi crediamo a Gesù lo vedremo, ma non come una proiezione dei nostri desideri, ma nell'effetto della sua reale presenza, del suo essere con noi risorto e vivo: e l'effetto, il segno che Lui è risorto, è che non avremo più sete. Quante sono le seti del mondo lo sappiamo e conosciamo anche le nostre, quelle palesi e quelle nascoste che a volte neppure a noi stessi confessiamo. Ma, al di là di tutto, ogni uomo ha sete di felicità, di vita, di amore. E nessuna esperienza terrena, per quanto bella e nobile, può riempire il cuore. Manca sempre qualcosa, manca sempre il "per sempre" che è proprio solo di Dio. Gesù ci assicura che non avremo più sete se crediamo in Lui, se a Lui ci affidiamo anche quando siamo nell'orto del Getzemani, anche quando non capiamo il perché di certi drammi personali, sociali, mondiali. E' forse questa la via migliore per vederlo radioso e vivo oltre la grande pietra del sepolcro, vivo e presente nel mondo, sempre alla ricerca dell'uomo smarrito e incerto, presente e vivo nella sua Chiesa. Grazie Chiesa Santa di Dio, continuamente purificata dal sangue del tuo Sposo: noi ti amiamo perché ci parli di Lui, ci porti a Lui. Noi ti ringraziamo perché con te, Madre, possiamo avere Dio come Padre.


Ecco la nostra via, cari Amici, la nostra via per vedere: è quella di vedere con gli occhi degli Apostoli, è quella di credere al Risorto per vederLo nei segni – a volte delicati e intimi, a volte grandiosi e visibili – della sua vivente presenza. La buona Pasqua sia dunque questa: vedere i segni del Risorto presenti nelle nostre anime, attorno a noi, nel mondo, perché la gioia cresca e l'amore puro dilaghi.