Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

domenica 24 aprile 2011

Vide e credette

Omelia della Santa Messa del giorno di Pasqua

Genova, Cattedrale di San Lorenzo,
24 aprile 2011


Carissimi Fratelli e Sorelle

La luce della Pasqua è sorta sul mondo, ma il mondo sembra così distratto e indifferente da non sussultare di gioia. Noi non vogliamo essere cristiani sonnolenti e stanchi, ma desideriamo gustare la gioia cristiana: è un atto di giustizia verso Dio che ci ha fatto il grande dono della fede, è un dovere verso noi stessi assetati di luce, è un servizio all'umanità che cerca disperatamente il perché del suo vivere e morire.

Per questo, nel cuore della Liturgia, intendiamo porre particolare attenzione alla figura del giovane discepolo – quello che Gesù amava – per cogliere nei suoi gesti e nelle sue parole qualcosa per noi. Non sfugge il suo rispetto, la devozione che mostra verso Pietro, capo del Collegio apostolico: egli, più giovane e veloce, non entra nella tomba, ma attende Pietro: "allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette". E qui ci prende un senso di santa invidia: se anche noi avessimo potuto entrare e vedere per poter credere! Come se poter vedere fosse indispensabile per avere la fede. Giovanni, nello spazio di pochissimo tempo, ha fatto nell'anima un lungo percorso: dal vedere la tomba vuota è salito fino a credere in Gesù Risorto. Quante brevi considerazioni possiamo fare sulle parole sobrie del Vangelo.

Innanzitutto ricordiamo che nella nostra comprensibile invidia vi può essere un pregiudizio oggi molto diffuso e radicato: che la realtà è riducibile tutta alle evidenze o alle prove empiriche, a ciò che possiamo vedere e toccare. Ma l'amore, ad esempio, lo possiamo ridurre così? Ne vediamo i segni e le opere, ma della sua radice, che è spirituale e interiore, che cosa è possibile vedere e toccare? Quale visione riduttiva della realtà e quale mondo povero se tutto si riducesse alla conoscenza materiale! Anche per questo il Santo Padre Benedetto XVI non si stanca di esortare tutti ad ampliare i confini della ragione umana, perché non sia usata solo per indagare il mondo sensibile al fine di conoscerlo e usarlo, ma anche per interrogarsi sul perché vero delle cose, dell'uomo, dell'anima, della vita e della morte. Per porsi la domanda decisiva che la cultura odierna elude: che cosa ci sarà dopo la morte? Cos'è il bene?


Ma, inoltre, anche noi possiamo vedere qualcosa di Gesù risorto: vederlo attraverso gli occhi di Giovanni. I suoi occhi possono essere i nostri se lo vogliamo, se apriamo il cuore alla fiducia, senza la quale nessun essere umano può vivere. La fiducia appartiene alla trama fondamentale della vita, ne è una fibra inevitabile. E l'Apostolo Giovanni è affidabile avendo, la sua figura come quella degli altri Apostoli, attraversato il crogiuolo delle indagini neppure sempre benevoli di secoli. E' così che possiamo rientrare anche noi nella beatitudine di Gesù quando rimprovera dolcemente l'ostinazione di Tommaso che non vuole fidarsi della testimonianza dei suoi fratelli: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Gv 20, 29). Oh, come siamo riconoscenti a Giovanni, ma anche a Tommaso: alla corsa rapida del primo verso la fede, e alla resistenza ostinata e incredula del secondo! Voi, Apostoli e Maestri nostri, fratelli e discepoli del Risorto, ci sostenete nel nostro pellegrinaggio.


Ma non possiamo tacere una parola ancora. E' sempre Giovanni che riporta il divino Maestro: "Io sono il pane della vita (...) chi crede in me non avrà più sete". Ecco un altro modo perché anche noi possiamo, come il giovane discepolo, vedere e credere. La fede ha un rapporto virtuoso e mai concluso tra i due termini: si vede per credere e si crede per vedere. Nella misura in cui noi crediamo a Gesù lo vedremo, ma non come una proiezione dei nostri desideri, ma nell'effetto della sua reale presenza, del suo essere con noi risorto e vivo: e l'effetto, il segno che Lui è risorto, è che non avremo più sete. Quante sono le seti del mondo lo sappiamo e conosciamo anche le nostre, quelle palesi e quelle nascoste che a volte neppure a noi stessi confessiamo. Ma, al di là di tutto, ogni uomo ha sete di felicità, di vita, di amore. E nessuna esperienza terrena, per quanto bella e nobile, può riempire il cuore. Manca sempre qualcosa, manca sempre il "per sempre" che è proprio solo di Dio. Gesù ci assicura che non avremo più sete se crediamo in Lui, se a Lui ci affidiamo anche quando siamo nell'orto del Getzemani, anche quando non capiamo il perché di certi drammi personali, sociali, mondiali. E' forse questa la via migliore per vederlo radioso e vivo oltre la grande pietra del sepolcro, vivo e presente nel mondo, sempre alla ricerca dell'uomo smarrito e incerto, presente e vivo nella sua Chiesa. Grazie Chiesa Santa di Dio, continuamente purificata dal sangue del tuo Sposo: noi ti amiamo perché ci parli di Lui, ci porti a Lui. Noi ti ringraziamo perché con te, Madre, possiamo avere Dio come Padre.


Ecco la nostra via, cari Amici, la nostra via per vedere: è quella di vedere con gli occhi degli Apostoli, è quella di credere al Risorto per vederLo nei segni – a volte delicati e intimi, a volte grandiosi e visibili – della sua vivente presenza. La buona Pasqua sia dunque questa: vedere i segni del Risorto presenti nelle nostre anime, attorno a noi, nel mondo, perché la gioia cresca e l'amore puro dilaghi.

Nessun commento:

Posta un commento