Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

mercoledì 26 aprile 2017

Io, figlio del genocidio armeno

La testimonianza di Rupen Nacaroglu, nato a Lugano da genitori armeni, sul fardello di "un genocidio che i grandi del mondo possono sussurrare ma non urlare".





 di Rupen Nacaroglu


Sono figlio del genocidio, sono figlio della diaspora, sono figlio di un popolo che è fuggito, che è stato cacciato dalla sua terra, che è stato perseguitato per motivi politici e religiosi, sono figlio dell’odio ma soprattutto, sono figlio dell’amore del popolo armeno per le  sue radici. Sono figlio di un popolo che è radicato ovunque nel mondo, che ha costruito tante piccole Armenie nelle città che lo hanno accolto e per finire sono figlio della mia cultura, della mia lingua, delle tradizioni che i miei genitori hanno avuto il coraggio d’insegnarmi prima ancora di farmi capire che vivevo lontano da dove sarei dovuto nascere.  Sono figlio del rispetto, dell’educazione e del lavoro: il lavoro che ha contraddistinto tutte le famiglie armene che hanno dovuto re-inventarsi nel Paese ospitante. Sono figlio della vita che mi è stata regalata perché i miei antenati non sono caduti nelle trappole del genocidio, figlio più fortunato di quelli uccisi nel ventre delle loro madri durante le torture nei deserti della Siria.  Sono figlio di una Lugano che mi ha saputo accogliere, di una Lugano e di un popolo svizzero che ho subito rispettato perché mi era stato insegnato a rispettare incondizionatamente chi ci aveva accettato. 
Sono figlio di un Ticino che mi ha educato ad essere avvocato e essere svizzero, di un popolo che ha sempre fatto dell’accoglienza, della neutralità una delle sue più grandi forze. Sono figlio di un genocidio, certo. Un genocidio negato da 102 anni, un genocidio per il cui riconoscimento  lottiamo aspramente, ora più che mai, ora che anche i grandi film di Hollywood vengono affossati perché si permettono di affrontare il tema.  Un genocidio che i grandi del mondo possono sussurrare ma non urlare, un genocidio che è stato dimenticato a tal punto da giustificare, nella testa dei nazisti, quello ebraico. Un genocidio, il primo dell’era moderna, che non è ancora stato mai del tutto riconosciuto e che viene ancora condannato come una fandonia dal Governo turco. Io sono fiero di essere armeno e di essere figlio di tutto questo. Sono figlio di un genocidio, ma soprattutto sono figlio di quegli armeni che sono stati in grado di trovare la vita dopo la morte. Ovunque nel mondo.
Mi piace ricordare William Saroyan, armeno di Fresno in California, scrittore e drammaturgo, che un giorno scrisse: "Vorrei vedere qualunque potenza del mondo distruggere questa razza, questa piccola tribù di gente senza importanza, di cui tutte le guerre sono state combattute e perse, le cui istituzioni sono crollate, la cui letteratura non è letta, la cui musica non è ascoltata e le cui preghiere non sono esaudite. Avanti, distruggete l’Armenia. Provate a riuscirci. Inviateli nel deserto, senza pane né acqua. Bruciate le loro case e le loro chiese. Vedrete dopo che loro rideranno, canteranno e pregheranno di nuovo, poiché quando due di loro si incontrano, non importa in quale angolo del mondo, voi vedrete che loro creeranno una nuova Armenia". Io sono figlio di tutto questo.

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