Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

sabato 9 marzo 2013

La grande bufala dei cardinali «amici dei pedofili»

di Massimo Introvigne



L'ottava Congregazione Generale del Collegio dei Cardinali ha deciso che il Conclave per l'elezione del Papa inizierà martedì 12 marzo 2013. Lo rende noto un comunicato della sala stampa della Santa sede. Al mattino nella Basilica di S. Pietro sarà celebrata la Messa "pro eligendo Pontifice" e nel pomeriggio l'ingresso dei cardinali in Conclave.
Negli ultimi giorni i giornali di tutto il mondo hanno dato rilievo a una lista di dodici cardinali che avrebbero protetto i preti pedofili, la «sporca dozzina». La lista è stata diffusa dall'organizzazione americana SNAP (Survivors Network of Those Abused by Priests, «Rete di Sopravvissuti Abusati da Preti») e - vedi caso - comprende la maggioranza di coloro indicati a torto a ragione come «papabili» dai media, tra cui i cardinali Scola, Ouellet, Dolan e O'Malley.

Ma i giornali - anche italiani - che hanno pubblicato con compiacimento la lista della «sporca dozzina» sanno davvero chi è lo SNAP? Mi permetto di ritenere che non sia così, e che la passione di qualche giornalista per le liste di proscrizione abbia fatto premio sul dovere d'informarsi. Lo SNAP è stato fondato nel 1989 da Barbara Blaine, una ex-vittima delle avances di un prete dell'Ohio quando era una teenager, e il suo volto più pubblico è il direttore David Clohessy, che si presenta anch'egli come un sopravvissuto a molestie clericali ed è il fratello di un ex-prete a sua volta accusato di abusi. Molto noti alla stampa si sono resi anche alcuni leader regionali, fra cui Lyn Taylor, fondatrice dello SNAP in Louisiana.

Senza dubbio lo SNAP ha avuto grande successo nei rapporti con la stampa. Ha stabilito rapporti preferenziali con il New York Times, con il domenicano ultra-progressista Tom Doyle - attivissimo nell'attaccare i vescovi e il Vaticano in ogni sede - e con il giornalista più virulento nei confronti della Santa Sede tra quelli che hanno indagato sui preti pedofili, Jason Berry. Ha predisposto una serie di istruzioni e di manuali indubbiamente sagaci su come creare il massimo danno alla Chiesa Cattolica quando ci si presenta in televisione a raccontare di abusi subiti anni fa. Si consiglia, per esempio, di pronunciare continuamente parole come «piccoli» o «bambini» e di mostrare fotografie infantili per suscitare la compassione del pubblico.

Ma è tutto oro quello che luccica? Nel 2011, nonostante le protezioni di cui gode negli ambienti mediatici, politici e giudiziari ostili alla Chiesa Cattolica, lo SNAP è scivolato su una buccia di banana. È stato accusato di avere pubblicato notizie e documenti coperti dal segreto istruttorio. Non succede solo in Italia, e negli Stati Uniti è perseguito più severamente. Clohessy è stato incriminato e rischia seriamente di andare in prigione. Peggio, nella procedura in corso di fronte a un Tribunale del Missouri per ordine di un giudice locale Clohessy ha dovuto sottoporsi al contro-interrogatorio degli avvocati di sacerdoti accusati di pedofilia. E - nonostante il solito New York Times sia corso in suo soccorso stracciandosi le vesti - le domande sono state ad ampio raggio e la deposizione, non segreta e che risale al 2 gennaio 2012, è stata pubblicata.

Gli avvocati si sono dimostrati piuttosto curiosi. Secondo la sua dichiarazione dei redditi, lo SNAP incassa tre milioni di dollari all'anno. Per che cosa? Si presenta come un centro di assistenza alle vittime degli abusi perpetrati da sacerdoti. Ma per offrire questo tipo di assistenza occorre una licenza come psicologo. Domanda a Clohessy: «Lei e i suoi collaboratori avete questa licenza? Avete almeno compiuto studi che vi qualifichino a prestare assistenza psicologica?». Risposta: «No». «Quanto dei tre milioni di dollari di budget spendete per l'assistenza alle vittime?». Risposta: «Non ne ho idea». Ma prestate veramente questa assistenza? Come?». Risposta: «Incontriamo le persone dove si sentono a loro agio, negli Starbucks [...]. Il grosso del nostro lavoro è parlare, ascoltare...».  «Non avete una sede?». «No, lavoro da casa mia a Chicago». «E i soldi dove li tenete?». «Penso in una banca a Chicago». In un anno di cui ha reso pubblico il bilancio, il 2007, lo SNAP ha speso 593 dollari per il «sostegno ai sopravvissuti» agli abusi dei preti e 92.000 dollari in spese di viaggio dei dirigenti.

Un'altra parte interessante della deposizione riguarda le fonti di finanziamento dello SNAP. «Capisco bene, Lei rifiuta di rispondere alla domanda sulle vostre fonti di finanziamento?». «Capisce bene». Tuttavia da altre fonti è di pubblico dominio che lo SNAP riceve generosi finanziamenti dagli avvocati miliardari che si arricchiscono citando le diocesi cattoliche nei casi di pedofilia, a partire da Jeff Anderson, il più noto e tracotante di loro e la mente dietro l'«interrogatorio a orologeria» di Milwaukee dello scorso 20 febbraio, inteso a mettere in cattiva luce il cardinale Dolan - descritto dallo SNAP come il suo nemico più pericoloso - in vista del Conclave. «E lei in cambio "arruola" le vittime di abusi che si rivolgono a voi dirigendole agli studi legali che vi finanziano?», è stato chiesto a Clohessy, che appare spesso in pubblico insieme ad Anderson. Risposta: «Rifiuto di rispondere perché la domanda è offensiva».

Più interessante ancora è la parte dell'interrogatorio in cui Clohessy spiega come fa lo SNAP a denunciare un prete, vescovo o cardinale come pedofilo o amico dei pedofili. «Riceviamo delle accuse credibili». Chi decide che le accuse sono credibili? Lo SNAP. «Come determinate che le accuse sono credibili?». «Abbiamo parecchi criteri». «Gentilmente ce ne illustra qualcuno?». «Ad esempio se c'è più di un accusatore che denuncia la stessa persona». Però ci sono casi in cui l'accusatore è uno solo, ma lo SNAP va avanti e rende pubblica l'accusa lo stesso. Alla fine si ha l'impressione che lo SNAP assomigli al vecchio CAN (Cult Awareness Network), un'organizzazione contro le «sette» che grosso modo era pronta a prendere per buone le accuse contro organizzazioni religiose formulate da chiunque. Una politica che portò il CAN a ripetuti scontri con la giustizia e alla fine alla bancarotta. Lo SNAP ha ben altre protezioni, ma sembra sulla buona strada. «Ammette che lo SNAP talora ha pubblicato comunicati stampa che contenevano informazioni false?». «Certo, è sicuramente così».

Le disgrazie non vengono mai sole. Mentre i giudici del Missouri indagano sulla violazione del segreto istruttorio, in Louisiana il marito del l'influente presidente locale dello SNAP, il dottor Steve Taylor, è arrestato e - il 12 aprile 2011 - condannato a due anni di reclusione, senza condizionale, e incarcerato per il possesso di un centinaio di file di ripugnante pornografia minorile trovati sul suo computer. Le mogli - si potrebbe dire - non sono responsabili per le perversioni dei mariti. Ma il fatto è che il settantunenne dottor Taylor era a sua volta un oratore frequente alle riunioni dello SNAP e per difenderlo erano scesi in campo la presidente dell'organizzazione Blaine e il solito Jason Berry.

Dopo queste vicende - e anche perché le efficaci misure della Chiesa americana hanno ridotto i nuovi casi di pedofilia a pochi episodi isolati -  lo SNAP ha cominciato a perdere colpi. Le donazioni sono scese e le finanze, secondo una mail mandata ai sostenitori, «sono a malapena sufficienti a pagare le spese». Il 1° marzo un giornale non certo ostile, il Washington Post, ha pubblicato un articolo dove varie voci denunciano la perdita di vigore del movimento dei «sopravvissuti» agli abusi clericali, la cui energia sembra essersi «esaurita». Con il colpo della lista dei cardinali - la mossa disperata di un'organizzazione in crisi - lo SNAP spera ora di riciclarsi all'estero, Italia compresa, e di ripulire un'immagine macchiata da troppi scandali.

È il caso di dirlo chiaramente: quella dei preti pedofili è una tragedia reale, che - Benedetto XVI ce lo ha insegnato - nessuno deve giustificare o sottovalutare. Ma organizzazioni come lo SNAP, piene di profittatori che trasformano la lotta alla pedofilia in un business miliardario e di ideologi che ce l'hanno con la Chiesa a prescindere, sono parte del problema, non della soluzione. I giornalisti, anche nostrani, dovrebbero smettere di prendere per oro colato le loro bufale.



mercoledì 6 marzo 2013

Chiesa, attacchi «inauditi» e «terrificanti»

di Massimo Introvigne
Lo denuncia la nota, davvero inconsueta, diffusa sabato dalla Segreteria di Stato: è un attacco inaudito. È quello cui è sottoposta la Chiesa in vista del Conclave, e che rappresenta il culmine di quanto è avvenuto durante tutto il pontificato di Benedetto XVI. Una persecuzione quotidiana, che non si è mai fermata. Non uso a caso la parola «inaudito». È una parola molto forte perché indica qualche cosa che non solo, con questa gravità, non si è mai verificato prima, ma di cui neppure prima d’ora si era sentito – propriamente – a parlare. «Inaudito»: che non è mai stato ascoltato prima. Uso questa parola perché è di Benedetto XVI. La usa, in un brano che sembra scritto per le vicende di questi giorni, nell’enciclica «Caritas in veritate» al n. 75: «Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite».  E di «inaudite sofferenze», con riferimento alle stragi di cristiani in Africa, il Papa aveva parlato in una lettera al presidente dei vescovi del Kenya nel 2008. 



A «inaudito» si deve affiancare un altro aggettivo di forza non comune: «terrificante». Il Papa lo ha usato nel viaggio a Fatima a proposito degli attacchi che gli venivano rivolti dall’interno stesso della Chiesa: «vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa». E – sempre a proposito degli attacchi interni – nella lettera del 10 marzo 2009 dove spiegava perché aveva rimesso la scomunica ai vescovi consacrati da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), Benedetto XVI aveva usato una terza espressione fortissima, desunta dalla Lettera ai Galati di san Paolo: c’è chi nella Chiesa vuole «mordere e divorare» coloro che percepisce come avversari e in ultimo lo stesso Pontefice. «“Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa».

Rivediamo tutto questo aprendo i giornali ostili alla Chiesa – sempre i soliti, da Repubblica al New York Times, cui però fanno eco in tanti, e sorprendentemente anche media che si dicono cattolici – a proposito del Conclave. Tutto è ridotto a scandalo, sporcizia, vergogna. Notizie vere come quelle che riguardano i preti pedofili sono amplificate a dismisura fino a perdere ogni contatto con la realtà, secondo il meccanismo di quelli che la sociologia chiama «panici morali». Né ci si vergogna d’inventare notizie totalmente false, come quelle che continuano a circolare su Internet di mandati d’arresto internazionali in arrivo per Benedetto XVI o della presunta menzione, nel rapporto dei tre cardinali che hanno indagato sul caso Vatileaks, del coinvolgimento di prelati vicini al Papa in scandali sessuali.

Appena un cardinale impegnato a difendere il Magistero del Papa è citato come possibile «papabile» – a torto o a ragione –, subito si denuncia qualche scandalo, preferibilmente collegato alla pedofilia e magari risalente a qualche decennio fa ma su cui – vedi caso – i giudici ritengono di sentire il porporato proprio in questi giorni. Sta capitando negli Stati Uniti al cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza Episcopale, secondo un modello di «giustizia a orologeria» inventato da certi pubblici ministeri italiani ma ormai diffuso in tutto il mondo. E non è l’unico caso.

Chi ha cospirato contro Benedetto XVI e ora cospira contro il Conclave? Chi «morde e divora»? Chi, con strategie «terrificanti», cerca di coprire le sue «ingiustizie inaudite»? La risposta è complessa, e certamente non c’è un unico «grande vecchio», un’unica regia. Per capire di più, possiamo esaminare la prima grande offensiva contro Benedetto XVI, che inizia con il discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, il quale contiene una citazione giudicata da alcuni offensiva nei confronti dell’islam e dei musulmani.

Appena pronunciato questo discorso, inizia un processo in tre fasi. Prima fase: un buon numero di media occidentali, con alla testa il solito New York Times, estrapolano la citazione dal contesto e sbattono la notizia della presunta offesa ai musulmani in prima pagina. Seconda fase: al coro si uniscono esponenti cattolici ostili al Papa, compiacentemente intervistati dagli stessi media. Terzo: gli ultra-fondamentalisti musulmani diffondono la notizia nelle terre dove operano e si passa alla violenza, con suore e sacerdoti percossi e uccisi e chiese bruciate.

Questo schema si ritrova in tanti altri episodi. Un esempio tipico è quello del marzo 2009 quando - sull’aereo che lo porta in Camerun - Benedetto XVI risponde a un cronista francese che gli pone una domanda sull’AIDS, spiegando che la distribuzione massiccia di preservativi non risolve ma aggrava il problema. La risposta del Papa, peraltro scientificamente corretta, occupa le cronache internazionali per tutto il viaggio, mettendo in ombra i suoi profondi insegnamenti sulle malefatte delle istituzioni internazionali e di alcune multinazionali in Africa – e forse era proprio questo lo scopo. Anche qui sono i grandi media laicisti a gridare allo scandalo, ma subito – seconda fase – intervengono a «mordere» il Papa i teologi progressisti e i «cattolici adulti». Quindi – terza fase – arriva la violenza, non fisica questa volta ma istituzionale di governi come quello del Belgio che censurano il Pontefice e annunciano misure contro la Chiesa. Si crea qui il contesto in cui dopo qualche mese la polizia belga, a caccia d’improbabili pedofili, sequestrerà fisicamente per ore i vescovi locali e aprirà le tombe di due cardinali, alla ricerca di documenti sulla pedofilia che lì avrebbero potuto essere nascosti solo in una delle pagine peggiori di Dan Brown.

Gli attacchi sono «inauditi» proprio perché non vengono da una parte sola. Contro Benedetto XVI e oggi contro la Chiesa e il Conclave si sono mossi cinque diversi nemici.

Il primo, forse più potente e pericoloso, è costituito dalla galassia di organizzazioni laiciste, omosessuali, massoniche, femministe, delle cliniche dell’aborto e dell’eutanasia, delle case farmaceutiche che vendono prodotti abortivi, degli avvocati che chiedono risarcimenti miliardari per i casi di pedofilia. Questa lobby odia la Chiesa per la sua opposizione intransigente al relativismo e la sua difesa dei principi non negoziabili in tema di vita e di famiglia, che talora disturba anche affari molto lucrosi. Ed è una lobby che ha un’influenza davvero «inaudita» sui più potenti media mondiali.

Il secondo grande nemico della Chiesa, spesso pericolosamente trascurato per malinteso spirito di dialogo e «buonismo», è l’ultra-fondamentalismo islamico. Illuso che sia davvero possibile per l’islam riprendere la conquista del mondo intero, entusiasmato dai suoi successi prima terroristici – a partire dall’11 settembre – e poi politici, il segmento più radicale dell’islam fondamentalista ha sofferto come una ferita intollerabile il sorpasso statistico dei cristiani sui musulmani nel continente africano – il dato riguarda l’Africa nel suo insieme, Maghreb compreso – e ha risposto con gli assassini e le stragi. A questo fondamentalismo radicale Benedetto XVI – pure così attento a non confonderlo con l’islam in generale – non ha mai fatto sconti. Certo, ideologicamente l’ultra-fondamentalismo islamico è lontanissimo dal laicismo. Ma è pronto a sfruttare gli assist dei media laicisti per attaccare la Chiesa, e a profittare del loro silenzio quando la sua violenza si dirige contro i cristiani.

Il terzo grande nemico di Benedetto XVI è stato il progressismo cattolico e l’azione insistita e fastidiosa di quei «cattolici adulti» e teologi i quali hanno visto la loro autorità e il loro potere nella Chiesa minacciato dallo smantellamento da parte di Benedetto XVI di quella interpretazione del Concilio Vaticano II in termini di discontinuità e di rottura con il Magistero precedente su cui avevano costruito per decenni carriere e fortune. E oggi, in vista del Conclave, questo progressismo – le cui lamentele trovano pronta eco nei media laicisti internazionali – tenta di aggredire preventivamente i cardinali più attivi e fedeli nel diffondere questi insegnamenti del Pontefice.

Ma l’«ermeneutica della riforma nella continuità» del Vaticano II di Papa Ratzinger, se ha sottolineato la continuità, ha anche sempre precisato che non è facoltativo accettare, del Concilio, l’elemento di riforma. Proprio sul punto secondo cui accettare il Concilio nei suoi documenti, e anche nel suo senso di evento storico globale, è obbligatorio, Benedetto XVI è stato attaccato con sempre maggiore acrimonia anche da un quarto fronte, quello degli ultra-conservatori che forse all’inizio si erano illusi di trovare in lui una sponda e un sostegno. Solo chi non conosce questi ambienti non si rende conto di quante voci e rumori – poi ripresi dai media anti-cattolici – siano stati inizialmente diffusi proprio qui, e di quanti danni abbiano fatto attacchi che hanno cercato di colpire Benedetto XVI sul punto grave e delicatissimo dell’ortodossia dottrinale, seminando dubbi e sospetti. E negli ultimi giorni abbiamo visto quanto fosse soltanto di facciata il rispetto ostentato da certi ambienti ultra-conservatori per il Papa, che alcuni, con un cattivo gusto violento, hanno paragonato addirittura al comandante Schettino, e di cui hanno attaccato senza ritegno il discorso ai parroci romani, dove Benedetto XVI ribadiva il dovere di tutti di fedeltà al Vaticano II reale, che fu ed è cosa diversa dalla sua rappresentazione spesso distorta nei media.

Infine, Benedetto XVI ha avuto anche un quinto nemico, inconsapevole e involontario ma non per questo meno pericoloso. Si tratta delle imprudenze, ritardi ed errori di comunicazione degli stessi collaboratori del Papa. Nell’epoca di Internet e di Facebook se una notizia falsa non è smentita entro due o tre ore le possibilità di replica efficace si riducono a poco più di zero. Migliorare la comunicazione della Santa Sede è una delle grandi sfide che attendono il prossimo Pontefice.

I risultati di questi attacchi «inauditi», lo ha detto ancora il Papa nel viaggio a Fatima, sono a loro volta inauditi. Non solo leggendo i giornali o guardando la televisione ci si trova davanti a «ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita». Ma la stessa fede è in pericolo di morte. «La fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata». Non ci sono solo i corifei del secolarismo, «non mancano credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo». E il risultato è che la stessa verità naturale viene meno: e ogni «popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia».

Non è coltivazione della speranza cristiana, è soltanto imprudenza non vedere quanto gli attacchi siano «inauditi». «L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo», ha detto ancora il Papa a Fatima. Nello stesso tempo, proprio a Fatima, il Papa ha ricordato le parole della Madonna che, dopo avere preannunciato terribili tragedie, concluse il suo messaggio in Portogallo annunciando: «Infine il mio Cuore Immacolato trionferà». Sì, ripeteva allora Benedetto XVI, «nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa». Spetterà probabilmente al prossimo Pontefice celebrare nel 2017 il centenario delle apparizioni di Fatima. Vale allora la pena di rileggere, con trepidazione e speranza, quanto – dopo l’apprezzamento così realistico della crisi inaudita e «terrificante» – Benedetto XVI ebbe ad affermare a Fatima nel 2010, sette anni prima del centenario del 2017: «Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria, a gloria della Santissima Trinità».





lunedì 11 febbraio 2013

Se mi rapiscono porteranno via il cardinale Pacelli, non il papa!

Con queste parole Pio XII aveva pronta una lettera di dimissioni nel caso di un probabile rapimento, organizzato da Hitler. [1]  Circostanza di non poco conto e che deve far riflettere. 

Pio XII
 
Ci hanno colto, a dir poco, di sorpresa le dimissioni di Papa Benedetto XVI di oggi, 11 Febbraio 2013, data che passerà sicuramente alla storia. Solo altri 4 pontefici nel passato hanno rinunciato al loro compito. Prendiamo l'evento come provvidenziale, seppur sconvolgente. Non vogliamo mischiarci con la fiumana complottista che c'è dietro, ma siamo proprio sicuri che un Papa come Benedetto XVI lasci il soglio di Pietro solo per la longevità o c'è anche qualcos'altro?


Benedetto XVI


Tutto il pontificato è stato segnato da attacchi mediatici e campagne diffamatorie (discorso di Ratisbona, responsabilità sull'occultamento dei preti pedofili, matrimoni omosessuali, etc.) e tutti ne siamo al corrente.
La situazione geopolitica a livello mondiale è abbastanza tesa, specie nelle regioni del Medio Oriente (Siria, Iran, Palestina). Un evento eccezionale come le dimissioni di un pontefice e l'elezione di uno nuovo va visto anche in chiave di equilibri e squilibri cosmici. Per chi ricordasse un po' di storia, alla vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914), san Pio X si spense e fu eletto Benedetto XV. Passarono 25 anni, anno 1939. Pio XI morì in circostanze quasi misteriose [2] e fu eletto come vescovo di Roma Pio XII.
È l'anno 2013 ed assistiamo non alla morte, ma alle dimissioni di Benedetto XVI. Ci auguriamo che non siano un segno di sventura e ricordiamo che oggi ricorre l'anniversario delle apparizioni della Madonna di Lourdes. Pura coincidenza?


[1] http://www.agi.it/estero/notizie/201302111525-est-rt10209-papa_il_precedente_di_pio_xii_pronto_a_dimissioni_contro_hitler

[2] La Grande Storia - Pio XII, il principe di Dio

domenica 6 gennaio 2013

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Martedì, 1° gennaio 20
13


Cari fratelli e sorelle!
«Dio ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto». Così abbiamo acclamato, con le parole del Salmo 66, dopo aver ascoltato nella prima Lettura l’antica benedizione sacerdotale sul popolo dell’alleanza. E’ particolarmente significativo che all’inizio di ogni nuovo anno Dio proietti su di noi, suo popolo, la luminosità del suo santo Nome, il Nome che viene pronunciato tre volte nella solenne formula della benedizione biblica. E non meno significativo è che al Verbo di Dio – che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» come la «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9.14) – venga dato, otto giorni dopo il suo natale – come ci narra il Vangelo di oggi – il nome di Gesù (cfr Lc 2,21). [...]
Nonostante il mondo sia purtroppo ancora segnato da «focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato», oltre che da diverse forme di terrorismo e di criminalità, sono persuaso che «le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio. Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alla parole di Gesù Cristo: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9)» (Messaggio, 1). Questa beatitudine «dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo …E’ pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. E’ pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato» (ibid., 2 e 3). Sì, la pace è il bene per eccellenza da invocare come dono di Dio e, al tempo stesso, da costruire con ogni sforzo.
Ci possiamo chiedere: qual è il fondamento, l’origine, la radice di questa pace? Come possiamo sentire in noi la pace, malgrado i problemi, le oscurità, le angosce? La risposta ci viene data dalle Letture della liturgia odierna. I testi biblici, anzitutto quello tratto dal Vangelo di Luca, poc’anzi proclamato, ci propongono di contemplare la pace interiore di Maria, la Madre di Gesù. Per lei si compiono, durante i giorni in cui «diede alla luce il suo figlio primogenito» (Lc 2,7), tanti avvenimenti imprevisti: non solo la nascita del Figlio, ma prima il viaggio faticoso da Nazaret a Betlemme, il non trovare posto nell’alloggio, la ricerca di un rifugio di fortuna nella notte; e poi il canto degli angeli, la visita inaspettata dei pastori. In tutto ciò, però, Maria non si scompone, non si agita, non è sconvolta da fatti più grandi di lei; semplicemente considera, in silenzio, quanto accade, lo custodisce nella sua memoria e nel suo cuore, riflettendovi con calma e serenità. E’ questa la pace interiore che vorremmo avere in mezzo agli eventi a volte tumultuosi e confusi della storia, eventi di cui spesso non cogliamo il senso e che ci sconcertano.

Il brano evangelico termina con un accenno alla circoncisione di Gesù. Secondo la Legge di Mosè, dopo otto giorni dalla nascita, un bambino doveva essere circonciso, e in quel momento gli veniva dato il nome. Dio stesso, mediante il suo messaggero, aveva detto a Maria – e anche a Giuseppe – che il nome da dare al Bambino era «Gesù» (cfr Mt 1,21; Lc 1,31); e così avviene. Quel nome che Dio aveva già stabilito prima ancora che il Bambino fosse concepito, ora gli viene dato ufficialmente nel momento della circoncisione. E questo segna una volta per sempre anche l’identità di Maria: lei è «la madre di Gesù», cioè la madre del Salvatore, del Cristo, del Signore. Gesù non è un uomo come qualunque altro, ma è il Verbo di Dio, una delle Persone divine, il Figlio di Dio: perciò la Chiesa ha dato a Maria il titolo di Theotokos, cioè «Madre di Dio».

La prima Lettura ci ricorda che la pace è dono di Dio ed è legata allo splendore del volto di Dio, secondo il testo del Libro dei Numeri, che tramanda la benedizione usata dai sacerdoti del popolo d’Israele nelle assemblee liturgiche. Una benedizione che per tre volte ripete il nome santo di Dio, il nome impronunciabile, e ogni volta lo collega con due verbi indicanti un’azione a favore dell’uomo: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (6,24-26). La pace è dunque il culmine di queste sei azioni di Dio a nostro favore, in cui Egli rivolge a noi lo splendore del suo volto.
Per la Sacra Scrittura, contemplare il volto di Dio è somma felicità: «Lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto», dice il Salmista (Sal 21,7). Dalla contemplazione del volto di Dio nascono gioia, sicurezza e pace. Ma che cosa significa concretamente contemplare il volto del Signore, così come può essere inteso nel Nuovo Testamento? Vuol dire conoscerlo direttamente, per quanto sia possibile in questa vita, mediante Gesù Cristo, nel quale si è rivelato. Godere dello splendore del volto di Dio vuol dire penetrare nel mistero del suo Nome manifestatoci da Gesù, comprendere qualcosa della sua vita intima e della sua volontà, affinché possiamo vivere secondo il suo disegno di amore sull’umanità. Lo esprime l’apostolo Paolo nella seconda Lettura, tratta dalla Lettera ai Galati (4,4-7), parlando dello Spirito che, nell’intimo dei nostri cuori, grida: «Abbà! Padre!». E’ il grido che sgorga dalla contemplazione del vero volto di Dio, dalla rivelazione del mistero del Nome. Gesù afferma: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini» (Gv 17,6). Il Figlio di Dio fattosi carne ci ha fatto conoscere il Padre, ci ha fatto percepire nel suo volto umano visibile il volto invisibile del Padre; attraverso il dono dello Spirito Santo riversato nei nostri cuori, ci ha fatto conoscere che in Lui anche noi siamo figli di Dio, come afferma san Paolo nel brano che abbiamo ascoltato: «Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio, il quale grida: Abbà! Padre!» (Gal 4,6).
Ecco, cari fratelli, il fondamento della nostra pace: la certezza di contemplare in Gesù Cristo lo splendore del volto di Dio Padre, di essere figli nel Figlio, e avere così, nel cammino della vita, la stessa sicurezza che il bambino prova nelle braccia di un Padre buono e onnipotente. Lo splendore del volto del Signore su di noi, che ci concede pace, è la manifestazione della sua paternità; il Signore rivolge su di noi il suo volto, si mostra Padre e ci dona pace. Sta qui il principio di quella pace profonda - «pace con Dio» - che è legata indissolubilmente alla fede e alla grazia, come scrive san Paolo ai cristiani di Roma (cfr Rm 5,2). Niente può togliere ai credenti questa pace, nemmeno le difficoltà e le sofferenze della vita. Infatti, le sofferenze, le prove e le oscurità non corrodono, ma accrescono la nostra speranza, una speranza che non delude perché «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
La Vergine Maria, che oggi veneriamo con il titolo di Madre di Dio, ci aiuti a contemplare il volto di Gesù, Principe della Pace. Ci sostenga e ci accompagni in questo nuovo anno; ottenga per noi e per il mondo intero il dono della pace. Amen!

lunedì 24 dicembre 2012

Venite adoremus

Suscita profonda preoccupazione e indignazione la decisione del parlamento europeo, ormai rappresentante senza alcuna riluttanza delle forze criptopolitiche, di eliminare ogni riferimento alla Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. Rimaniamo irremovibili sul concetto che l'Europa è inscindibile dalla Cristianità.
Non aggiungiamo altri commenti, lasciando la malvagità isolata nelle sue tenebre e affidandoci alla vera Luce del mondo.

Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520), "Madonna col Bambino e S. Giovannino" o, più comunemente nota, come "Madonna della seggiola", 1513-1514 circa.
Olio su tavola, 71x71.
Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze.


Æterni Parentis splendorem æternum,
velatum sub carne videbimus,
Deum infantem pannis involutum.
Venite adoremus, 
venite adoremus, 
venite adoremus
Dominum.

domenica 16 dicembre 2012

Campagna d'odio contro il Papa

16-12-2012

di Riccardo Cascioli

Qualche giorno fa l’avevamo detto: c’è in atto uno scontro durissimo in Europa tra governi che stanno accelerando sul riconoscimento delle unioni gay e la Chiesa, che difende la dignità dell’uomo e la legge naturale. Gli eventi degli ultimi giorni non solo confermano questo giudizio ma ne svelano chiaramente i contenuti.

Le reazioni scomposte e le accuse al Papa dopo la pubblicazione del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, solo per aver ricordato che aborto ed eutanasia sono la più grave minaccia alla pace e che il riconoscimento delle unioni gay sarebbe una ferita contro la giustizia, lasciano intendere come Benedetto XVI abbia toccato dei punti decisivi. Del resto la distanza tra Chiesa ed elite dominanti non poteva apparire più ampia in questi giorni: poche ore prima che il Papa rendesse noto il Messaggio per la Giornata della Pace l’Europarlamento ha approvato una risoluzione proposta dalla socialista Monika Benova pro aborto e nozze gay.

In tale risoluzione si manifesta "preoccupazione per le recenti restrizioni all'accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva in alcuni Stati membri, con particolare riferimento all'aborto sicuro e legale e all'educazione sessuale e per i tagli ai finanziamenti per le politiche familiari”. Si esprime invece soddisfazione per “il fatto che sempre più stati membri abbiano introdotto e/o adeguato le loro norme sulla coabitazione, sulle unioni civili e sul matrimonio per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale subite dalle coppie di persone dello stesso sesso e dai loro figli e invita gli altri stati membri a introdurre norme analoghe”.

Questa è l’Europa oggi, e ironia del destino proprio questa settimana l’Unione Europea ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, un premio che al massimo possiamo considerare alla memoria, visto che la UE - insieme all’amministrazione Obama – è la più forte sostenitrice della diffusione dell’aborto nel mondo. E’ un’Europa che nell’aver trasformato i desideri in diritti si scopre sempre più intollerante, contro i cattolici anzitutto. E usa volentieri l’arma della menzogna, come dimostra l’altro episodio di questi giorni con l’accusa al Papa di avere benedetto la parlamentare ugandese a favore della pena di morte per gli omosessuali.

In realtà, Rebecca Kadaga, speaker del Parlamento di Kampala, faceva parte di una delegazione di parlamentari ugandesi a Roma per partecipare alla Settima assemblea dei parlamentari per la Corte Penale internazionale e per lo stato di diritto. La delegazione ugandese ha partecipato all’udienza e ha poi potuto salutare il Papa, come molti altri pellegrini: un breve incontro di qualche secondo e nessuna benedizione, ma i maestri della menzogna ne hanno approfittato per rovesciare sul Papa un mare di insulti e l’accusa più infamante che si possa fare in Europa in questo periodo: istigare all’omofobia.

Tutt’altro. Quanto all’Uganda la Chiesa si è pronunciata da subito con forza contro quella proposta di legge e per quel che riguarda il Messaggio per la Giornata della Pace non c’è alcuna volontà di discriminazione, perché la questione di cosa sia il matrimonio non ha a che vedere con i diritti della persona, che sono già regolati dalla Costituzione.

Eppure, proprio tutto questo odio rovesciato su Benedetto XVI dovrebbe far capire a tutti i cattolici la posta in gioco; politici inclusi, visto che il Messaggio per la Giornata della Pace è un richiamo forte ai princìpi non negoziabili come pre-condizione per ogni autentico impegno per il bene comune.
Invece, ieri silenzio assoluto dei politici e posizioni imbarazzate dei media cattolici, che hanno cercato di smorzare le polemiche sforzandosi di spiegare che in realtà nel Messaggio il Papa ha parlato molto di economia e lavoro. Non è un bel segnale.
P.S.: A proposito, viste le centinaia di insulti arrivate direttamente al Papa su twitter, siamo sicuri che sia stata proprio una bella idea fare i moderni esponendo Benedetto XVI a questo genere di gogna?

Francia, Chiesa sotto assedio

di Massimo Introvigne 


07-12-2012



Il ministro delle Abitazioni del governo socialista francese, la signora Cécile Duflot, si preoccupa per il gelido inverno alle porte, che rischia di riproporre lo scandalo dei senzatetto che muoiono di freddo per strada, nonostante un'assistenza pubblica che dovrebbe essere ampiamente sostenuta da tasse che, se pure non sono ai livelli record italiani, sono pur sempre tra le più alte in Europa. E la signora ministro pensa di avere trovato la soluzione. Minaccia una «dimostrazione d'autorità» e un'azione «senza mollezza» per requisire gli immobili della Chiesa Cattolica e usarli per ospitare i senzatetto.

Perbacco, deve aver pensato la signora ministro, la soluzione era semplice, chissà perché non ci aveva pensato nessuno prima. I barboni muoiono? È colpa della Chiesa, che ha tanti spazi vuoti nelle chiese e nei conventi dove potrebbero stare al caldo. Se non si è provveduto prima, dev'essere stata colpa della «mollezza» dei governi precedenti. Per fortuna che ora è arrivato il governo socialista che invece - come si diceva una volta, con altre espressioni, in Italia - punta tutto sul duro.

Peccato che sia tutta una bufala. Perché la Chiesa Cattolica non ha aspettato i colpi di genio della signora ministra per essere, già da anni, la maggiore organizzazione che ospita senza tetto in Francia. Cifre alla mano, in questo settore la sua carità privata è molto più efficiente dell'assistenza pubblica dello Stato. Ogni notte a Parigi ventisei parrocchie aprono i loro locali ai senzatetto, cui offrono anche la cena e la colazione. Non si contano gli istituti religiosi che si sono specializzati nel soccorso notturno a chi dorme in strada. Forse la ministra potrebbe visitare i mille metri quadrati messi a disposizione dalle suore benedettine di Notre-Dame de Jouarre (Seine-et-Marne), dove i senzatetto non sono solo alloggiati e nutriti, ma amorevolmente accolti dalle religiose.

Come un comunicato dell'arcivescovo di Parigi, del Secours Catholique e della Conferenza dei religiosi e religiose di Francia ha fatto puntualmente notare, la Chiesa potrebbe fare ancora di più se non si trovasse di fronte a ostacoli burocratici che qualche volta derivano da una sorda ostilità anticlericale diffusa in settori dell'amministrazione francese. Ma soprattutto - lo hanno spiegato ancora i vescovi in un comunicato - i senzatetto non muoiono tanto per mancanza di spazi dove dormire, ma per mancanza di personale competente che li convinca a usufruire degli spazi, li accompagni e li aiuti. Migliaia di volontari cattolici sono sulle strade per questo tutte le notti. Molto di meno fa, appunto, lo Stato.

La verità allora è la solita: non solo fa freddo, ma tira una brutta aria per la libertà religiosa in Francia. Si moltiplicano le manifestazioni d'intolleranza, perché un laicismo antico spesso di marca massonica si salda con le azioni di lobby che non tollerano la ferma opposizione della Chiesa al riconoscimento del matrimonio omosessuale, caposaldo della politica dei «diritti» del governo Hollande. Ecco allora che tutte le scuse sono buone per attaccare la Chiesa, e oggi prendere di mira il suo patrimonio immobiliare, tra tasse e minacce di requisizioni, è diventato uno dei modi principali per cercare di metterla a tacere quando i suoi interventi danno fastidio.

sabato 20 ottobre 2012

L’UE censura le tv satellitari iraniane: dove sono i paladini della “libertà d’informazione”?



 di Enrico Galoppini - 18/10/2012

fonte: Arianna Editrice


L’abbiamo già scritto ma giova ripeterlo. A fronte di un profluvio di altisonanti dichiarazioni e petizioni di principio, l’Occidente, che si fregia d’essere “il più morale” e “il più avanzato”, insomma la crème de la crème del genere umano, non dimostra alla prova dei fatti un briciolo di coerenza con quanto “crede”, ogniqualvolta che il suo interesse, o meglio il tornaconto dei suoi dominanti al cui seguito va la massa burattinata, viene percepito in pericolo.

Lo fa con tutto, dalla tortura, per la quale mobilita schiere di “attivisti” mentre la pratica ai quattro angoli del globo, alla guerra, col “pacifismo” alimentato dalla “cultura di massa”, mentre è tutto un provocare ad arte conflitti a destra e a manca dietro il paravento dell’interventismo per “motivi umanitari” o delle “armi di distruzione di massa”; dalla droga, ufficialmente dichiarata un flagello, ma poi diffusa a piene mani in tutti i paesi “liberati”, all’ecologia e la “difesa dell’ambiente”, sempre in cima alla “agenda” delle “belle cose” da fare, quando in realtà tra rifiuti tossici scaricati nel cosiddetto “terzo mondo”, spargimento di materiali velenosi su ignare popolazioni e armi all’uranio impoverito nei vari teatri di battaglia, la terra ormai grida “pietà!”
C’è poi una particolare istanza, riguardante i “diritti umani”, professati come la religione dell’umanità laicizzata, che viene sistematicamente smentita nei fatti, e si tratta della “libertà d’espressione”, assieme al suo corollario, quella “d’informazione”. L’Occidente fa un vanto della quantità incalcolabile di “media” che, tra giornali e tv, più i relativi siti internet, ha creato per “informare”, all’insegna della “trasparenza” e della “verificabilità” di quel che riguarda tutti quanti, il che ovviamente non è vero. Più canali esistono e più dicono tutti le stesse cose. Il che è tra l’altro contraddittorio con un altro “dogma” moderno, quello della “concorrenza”, perché al punto in cui ci troviamo basterebbe metter su un’emittente che afferma l’esatto contrario di tutte le altre per assicurarsi una pingue fetta dell’agognato “indice d’ascolto”!
Ma anche a voler credere a questa manna dal cielo rappresentata dalla “informazione globale” (sia nel senso di “planetaria” che di “onnicomprensiva”), che per magia dovrebbe trasformare le persone in tesori di coscienza e consapevolezza, si registrano puntualmente, nei fatti, delle smaccate contraddizioni con quanto asserito in via di principio.
Se c’è qualche tv o giornale che dà fastidio lo si censura senza tanti infingimenti. Una mannaia che può scattare di fatto, come abbiamo già rilevato nel caso di questo quotidiano scomodo; oppure “di diritto”, accampando un pericolo per l’integrità morale e l’incolumità mentale dei telespettatori, qual è il caso delle emittenti satellitari extraeuropee escluse dal satellite europeo incaricato, in base a precisi accordi, a diffonderne il segnale.
Detto più chiaramente, mentre sul satellite europeo non fanno una piega canali pornografici, film all’insegna della violenza più inaudita, trasmissioni ideate al solo scopo di rimbecillire il pubblico, una qualche “autorità” in materia di “salute pubblica” ritiene, per il “bene del popolo” (ci mancherebbe!), di oscurare il segnale delle emittenti iraniane in Europa. Si tratta delle seguenti tv: Press TV (in inglese), al-Alam (in arabo), Jam-e-Jam 1 e 2, Sahar 1 e 2, Islamic Republic of Iran News Network (IRINN), Quran TV, e al-Kawthar (in arabo).
Il provvedimento censorio viene giustificato dalla Commissione Europea (quella dei mai scelti da alcun elettore: altra contraddizione con quanto professano!) sulla base delle “violazioni dei diritti umani” da parte della Repubblica Islamica dell’Iran. È vero? Non è vero? E cosa sono, una volta per tutte, questi “diritti umani”? Corrispondono all’autentico anelito di ogni essere umano? Tutte domande oziose: l’importante, una volta stabilito che “basta la parola”, è additare come “cattivo” qualcuno presso un pubblico inebetito, per il quale un “gay pride” o le ciance di una “blogger dissidente” sarebbero più importanti di un lavoro sicuro e degnamente pagato di una famiglia normale sostenuta da uno Stato degno di tal nome.
Quindi, non è in questione, ufficialmente, il contenuto in sé delle trasmissioni di questi canali banditi dall’Europa, le quali infatti sono improntate alla massima sobrietà e al rispetto, quello sì, dei fondamentali valori dell’essere umano, che ha tutto il diritto di non vedersi riversare in casa fiumi di volgarità, violenza e stupidità.
Ma con tutta evidenza, il pubblico europeo non deve venire a conoscenza di altre “versioni dei fatti”, di altre opinioni ed interpretazioni al riguardo di questioni d’interesse generale sulle quali i dirigenti occidentali ritengono di avere solo e sempre ragione.
Né sembra avere alcuna importanza il parere dei telespettatori di questi canali oscurati in Europa, il che è un tantino strano se, come sostengono Lorsignori, in “democrazia” si tiene conto della “volontà popolare”.
Ma questi soloni della “libertà d’espressione” non temono di scadere nel ridicolo. In questi giorni, infatti, su una tv italiana parte la nuova serie di “Dallas”: una cosa di cui si sentiva un evidente bisogno! Per dare una “degna cornice” all’”evento mediatico” sono stati riesumati filmati della metà degli anni Ottanta, quando un provvedimento giudiziario oscurò le reti Fininvest (come si chiamavano allora), dove si vede della gente comune alla quale si dava volentieri la parola affinché esprimesse la propria contrarietà ad un intervento “lesivo della libertà”…
Ma oggi nessuno interpellerà i teleutenti, residenti in Europa, di Press Tv e delle altre emittenti iraniane, tanto il loro parere non conta un fico secco. Accadrà come con la stazione televisiva libanese al-Manar, colpita anni or sono da analogo oscuramento a giustificazione del quale venne addotta, dai soliti… “savi” preposti a tutelare la “coscienza popolare”, la presenza di contenuti “antisemiti”.
D’altronde, se tutti quelli messi su una qualche “poltrona” devono pappagalleggiare che“l’antisionismo equivale al all’antisemitismo”, un motivo ci sarà.
Non sarà che tutti i canali boicottati di volta in volta dal satellite europeo affermano “l’indicibile” o comunque sono espressione di Paesi senza peli sulla lingua sulla questione sionista?
Il dubbio, è più che lecito, tanto più che anche l’unico quotidiano italiano escluso dalle rassegne stampa televisive, “Rinascita”, è proprio l’unico che mantiene una salda linea antisionista; e non per “antisemitismo”, come intendono far credere, se per “antisemitismo” vogliamo indicare, secondo la vulgata, “un odio viscerale contro gli ebrei”, bensì perché la denuncia dello scandalo costituito dalla presenza del cosiddetto “Stato d’Israele” sulle rive del Mare Nostrum muove da una chiara visione geopolitica che individua nella presenza di questa enclave aliena dal suo contesto, ideata per generare sistematicamente situazioni di “crisi” sotto la parola d’ordine “difendere Israele”, un pericolo costante per la pace e la stabilità del mondo intero, a partire dal Mediterraneo.
A noi, comunque, non interessa “difendere” nessuno in particolare, se non noi stessi, italiani e mediterranei, dal non poter sapere come vanno le cose del mondo, al di là di questo o quel provvedimento ammantato di “legalità”. Perciò, per una volta, visto che non lo fanno loro che “ci credono”, difenderemo la libertà di informazione, consapevoli che è un puro “mito”, invitando chi la ritiene una cosa importante in tempi di dittatura di un’unica versione a sintonizzarsi per altre vie, che non quelle televisive, sulla prima delle emittenti colpite da quest’odioso divieto.
Tanto più, che per coprire la loro marachella, l’ennesima contraddizione dei loro “principi”, sugli altri “media”, quelli “per bene e rispettabili”, non daranno alcuna visibilità alla faccenda o, se lo faranno, si pareranno con lo scudo delle trite e ritrite accuse all’indirizzo del “regime dittatoriale” di turno, da rieducare a suon di “sanzioni” (tra cui rientra questo caso di censura mediatica), embarghi e missili.
Che buffi questi paladini della “libertà d’espressione” e “d’informazione”. Se si sbeffeggia l’altrui fede con “film” e caricature, se si circola nude nel quartiere parigino a maggioranza islamica, se si profana con frasi oscene la cattedrale di Mosca, si accampa il sacrosanto “diritto” di chi “manifesta il suo pensiero”. Allora scendono in campo “attivisti” e “intellettuali” a convincerci che “non si può censurare”… E lo stesso dicasi per “opere d’arte” e “pièce teatrali” che altro non sono se non un chiaro segno della degradazione alla quale può giungere l’essere umano senza più freni inibitori e “timor di Dio”. Non parliamo poi della totale “libertà d’espressione” che si attribuiscono quelli che la possono esercitare più di ogni altro, per meglio bacchettare il resto dell’umanità: in quel caso, i “media” a loro infeudati né rigirano la frittata, né denunciano lo “scandalo” (come fanno con la Cina, quando decide sovranamente di non permettere l’accesso a determinati siti internet): tacciono e basta per carità di ‘patria’.
Da tutto questo emerge una cosa sola: che la cosiddetta “libertà di espressione”, di cui quella “d’informazione” è la logica conseguenza una volta che esistono i “media”, è uno dei tanti miti di cartapesta occidentali. La censura scatta inesorabile se è ritenuto necessario, con tanti saluti alle “questioni di principio”.
In piena Seconda guerra mondiale, Ezra Pound disse che la “libertà d’espressione” non valeva nulla se non si aveva accesso alla radio, il più potente mezzo d’informazione dell’epoca. Per questo si rivolse ai suoi connazionali, dalla radio italiana, per esortarli ad aprire gli occhi sul sistema iniquo ed ipocrita, retto dall’usura, che li tiranneggiava e li tiranneggia tutt’ora. Non aveva ancora visto il seguito della storia… Adesso che quel sistema s’è ben impiantato anche da noi, il lettore giudichi l’attualità di quelle sagge e preveggenti parole.

sabato 15 settembre 2012

"Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione"

Durante il volo verso Beirut, Benedetto XVI nega di aver mai preso in considerazione l'ipotesi di rinunciare al viaggio in Libano



P. Lombardi: Santità, benvenuto e grazie per essere qui con noi. I giornalisti al seguito sono poco più di 50, di diverse lingue e nazionalità. Naturalmente ce ne sono molte centinaia, forse migliaia, che ci aspettano invece in Libano e tutti sono molto attenti a questo viaggio sapendone l’impegno e l’importanza. Le siamo grati per essere con noi per rispondere a delle domande impegnative che i giornalisti stessi hanno formulato nei giorni precedenti. Le prime due domande le formulo in francese. Il Santo Padre risponde in francese come lingua più o meno ufficiale del viaggio e le altre tre in italiano.
Domanda: Saint-Père, dans ces jours, il y a des anniversaires terribles, comme le 11 septembre ou le massacre de Sabra et Chatila ; aux frontières du Liban, il y a une sanglante guerre civile, et nous voyons aussi que dans d’autres pays, le risque de la violence est toujours présent. Saint-Père, avec quels sentiments vous affrontez ce voyage ? Est-ce que vous avez été tenté d’y renoncer pour l’insécurité, ou quelqu’un vous a suggéré d’y renoncer ?
[Santo Padre, in questi giorni ricorrono anniversari terribili, come quello dell’11 settembre, o quello del massacro di Sabra e Chatila; ai confini del Libano vi è una sanguinosa guerra civile, e vediamo anche che in altri Paesi il rischio della violenza è sempre attuale. Santo Padre, con quali sentimenti affronta questo viaggio? E’ stato tentato di rinunciarvi a motivo dell’insicurezza, o qualcuno Le ha suggerito di rinunciarvi?]
Santo Padre: Chers amis, je suis très heureux et reconnaissant de cette possibilité de parler avec vous. Je puis dire que personne ne m’a conseillé de renoncer à ce voyage, et de ma part, je n’ai jamais pensé à cette hypothèse parce que je sais que si la situation devient plus compliquée, il est encore plus nécessaire de donner ce signe de fraternité, d’encouragement, de solidarité. Et donc, c’est le sens de mon voyage : inviter au dialogue, inviter à la paix contre la violence, aller ensemble pour trouver les solutions des problèmes. Et donc, mes sentiments dans ce voyage sont surtout des sentiments de reconnaissance pour la possibilité d’aller en ce moment dans ce grand Pays, ce Pays qui est – comme l’a dit le Pape Jean-Paul II – plusieurs messages dans cette Région de la rencontre et de l’origine des trois religions abrahamiques. Je suis reconnaissant surtout au Seigneur qui m’a donné la possibilité ; je suis reconnaissant à toutes les Institutions et aux personnes qui ont collaboré et collaborent encore pour cette possibilité. Et je suis reconnaissant pour tant de personnes qui m’accompagnent avec la prière. Dans cette protection de la prière et de la collaboration, je suis heureux et je suis sûr que nous pouvons faire un réel service pour le bien des hommes et pour la paix.
[Cari amici, sono molto lieto e riconoscente per questa possibilità di parlare con voi. Posso dire che nessuno mi ha mai consigliato di rinunciare a questo viaggio e, da parte mia, non ho mai contemplato questa ipotesi, perché so che se la situazione si fa più complicata, è più necessario offrire questo segno di fraternità, di incoraggiamento e di solidarietà. E’ il significato del mio viaggio: invitare al dialogo, invitare alla pace contro la violenza, procedere insieme per trovare la soluzione dei problemi. Dunque, i miei sentimenti in questo viaggio sono soprattutto sentimenti di riconoscenza per la possibilità di andare in questo momento in questo grande Paese, questo Paese che - come ha detto Papa Giovanni Paolo II - è un messaggio molteplice, in questa Regione, dell’incontro e dell’origine delle tre religioni abramitiche. Sono riconoscente soprattutto al Signore che me ne ha dato la possibilità; sono riconoscente a tutte le Istituzioni e alle persone che hanno collaborato e collaborano ancora per questa possibilità. E sono riconoscente alle tante persone che mi accompagnano con la preghiera. In questa protezione della preghiera e della collaborazione, sono felice e sono certo che possiamo fare un servizio reale per il bene dell’uomo e per la pace.]
P. Lombardi: Merci, Saint-Père. Un grand nombre de catholiques manifestent leur inquiétude devant la croissance des fondamentalismes dans différentes régions du monde et devant les agressions dont sont victimes de plusieurs chrétiens. Dans ce contexte difficile et souvent sanglant, comment l’Église peut-elle répondre à l’impératif du dialogue avec l’islam, sur lequel vous avez plusieurs fois insisté ?
[Grazie Santo Padre. Molti cattolici manifestano la loro inquietudine dinanzi alla crescita dei fondamentalismi in diverse regioni del mondo e alle aggressioni di cui sono vittime numerosi cristiani. In questo contesto difficile e sovente sanguinoso, la Chiesa come può rispondere all’imperativo del dialogo con l’islam, su cui Lei ha più volte insistito?]
Santo Padre: Le fondamentalisme est toujours une falsification de la religion. Il va contre l’essence de la religion qui veut réconcilier et créer la paix de Dieu dans le monde. Donc, la tâche de l’Église et des religions est se purifier, une haute purification de la religion de cette tentation est toujours nécessaire. Il est de notre tâche d’illuminer et de purifier les consciences et de rendre clair que chaque homme est une image de Dieu et nous devons respecter dans l’autre, non seulement son altérité mais dans l’altérité la réelle essence commune d’être image de Dieu, et traiter l’autre comme une image de Dieu. Donc, le message fondamental de la religion doit être contre la violence qui en est une falsification – comme le fondamentalisme – et doit être l’éducation, l’illumination et la purification des consciences pour les rendre capables au dialogue, à la réconciliation et à la paix.
[Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione. Va contro l’essenza della religione, che vuole riconciliare e creare la pace di Dio nel mondo. Dunque, il compito della Chiesa e delle religioni è quello di purificarsi; un’alta purificazione della religione da queste tentazioni è sempre necessaria. E’ nostro compito illuminare e purificare le coscienze e rendere chiaro che ogni uomo è un’immagine di Dio; e noi dobbiamo rispettare nell’altro non soltanto la sua alterità, ma, nell’alterità la reale essenza comune di essere immagine di Dio, e trattare l’altro come un’immagine di Dio. Quindi, il messaggio fondamentale della religione dev’essere contro la violenza, che ne è una falsificazione, come il fondamentalismo, e dev’essere l’educazione e l’illuminazione e la purificazione delle coscienze, per renderle capaci di dialogo, di riconciliazione e di pace.]
Padre Lombardi: Continuiamo in italiano. Nel contesto dell’onda di desiderio di democrazia che si è messa in moto in tanti Paesi del Medio Oriente con la cosiddetta “primavera araba”, data la realtà sociale nella maggioranza di questi Paesi, in cui i cristiani sono minoranza, non c’è il rischio di una tensione inevitabile fra il dominio della maggioranza e la sopravvivenza del cristianesimo?
Santo Padre: Direi che, di per sé, la primavera araba è una cosa positiva: è un desiderio di maggiore democrazia, maggiore libertà, di maggiore cooperazione, di una rinnovata identità araba. E questo grido della libertà, che viene da una gioventù più formata culturalmente e professionalmente, che desidera maggiore partecipazione nella vita politica, nella vita sociale, è un progresso, una cosa molto positiva e salutata proprio anche da noi cristiani. Naturalmente, dalla storia delle rivoluzioni, sappiamo che il grido della libertà, così importante e positivo, è sempre in pericolo di dimenticare un aspetto, una dimensione fondamentale della libertà, cioè la tolleranza dell’altro; il fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa, che solo nella condivisione, nella solidarietà, nel vivere insieme, con determinate regole, può crescere. Questo è sempre il pericolo, così è anche il pericolo in questo caso. Dobbiamo fare tutti il possibile perché il concetto di libertà, il desiderio di libertà vada nella giusta direzione, non dimentichi la tolleranza, l’insieme, la riconciliazione, come parte fondamentale della libertà. Così anche la rinnovata identità araba implica - penso - pure il rinnovamento dell’insieme secolare e millenario di cristiani e arabi, che proprio insieme, nella tolleranza di maggioranza e minoranza, hanno costruito queste terre e non possono non vivere insieme. Perciò penso sia importante vedere l’elemento positivo in questi movimenti e fare la nostra parte perché la libertà sia concepita in modo giusto e risponda a maggior dialogo e non al dominio di uno contro gli altri.
Domanda: Santo Padre, in Siria, come tempo fa in Iraq, molti cristiani si sentono costretti a lasciare a malincuore il loro Paese. Che cosa intende fare o dire la Chiesa cattolica per aiutare in questa situazione, per arginare la scomparsa dei cristiani in Siria e in altri Paesi mediorientali?
Santo Padre: Devo dire innanzi tutto che non solo cristiani fuggono, ma anche musulmani. Naturalmente il pericolo che i cristiani si allontanino e perdano la loro presenza in queste terre è grande e noi dobbiamo fare il possibile per aiutarli a rimanere. L’aiuto essenziale sarebbe la cessazione della guerra, della violenza: questa crea la fuga. Quindi, il primo atto è fare tutto il possibile perché finisca la violenza e sia realmente creata una possibilità di rimanere insieme anche in futuro. Che cosa possiamo fare contro la guerra? Diciamo, naturalmente, sempre diffondere il messaggio della pace, chiarire che la violenza non risolve mai un problema e rafforzare le forze della pace. Importante qui è il lavoro dei giornalisti, che possono aiutare molto per mostrare come la violenza distrugge, non costruisce, non è utile per nessuno. Poi direi forse gesti della cristianità, giornate di preghiera per il Medio Oriente, per i cristiani e i musulmani, mostrare possibilità di dialogo e di soluzioni. Direi anche che deve finalmente cessare l’importazione di armi: perché senza l’importazione di armi la guerra non potrebbe continuare. Invece di importare le armi, che è un peccato grave, dovremmo importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni per accettare ognuno nella sua alterità; dobbiamo quindi rendere visibile nel mondo il rispetto delle religioni, le une delle altre, il rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come fondamentale per tutte le religioni. In questo senso, con tutti i gesti possibili, con aiuti anche materiali, aiutare perché cessi la guerra, la violenza, e tutti possano ricostruire il Paese.
P Lombardi: Santo Padre, Lei porta un’Esortazione apostolica indirizzata a tutti i cristiani del Medio Oriente. Oggi questa è una popolazione sofferente. Oltre alla preghiera e ai sentimenti di solidarietà, Lei vede passi concreti che le Chiese e i cattolici dell’Occidente, soprattutto in Europa e America, possono fare per sostenere i fratelli del Medio Oriente?
Santo Padre: Direi che dobbiamo influire sull’opinione politica e sui politici per impegnarsi realmente, con tutte le forze, con tutte le possibilità, con vera creatività, per la pace, contro la violenza. Nessuno dovrebbe sperare vantaggi dalla violenza, tutti devono contribuire. In questo senso, un lavoro di ammonizione, di educazione, di purificazione è molto necessario da parte nostra. Inoltre, le nostre organizzazioni caritative dovrebbero anche aiutare in modo materiale e fare di tutto. Abbiamo organizzazioni come i Cavalieri del Santo Sepolcro, di per sé solo per la Terra Santa, ma simili organizzazioni potrebbero aiutare materialmente, politicamente, umanamente anche in questi Paesi. Direi, ancora una volta, gesti visibili di solidarietà, giornate di preghiera pubblica, simili cose possono richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, essere fattori reali. Siamo convinti che la preghiera ha un effetto; se fatta con tanta fiducia e fede, avrà il suo effetto.

domenica 24 giugno 2012

Gli esami non finiscono mai



di Francesco Lamendola



«Gli esami non finiscono mai» è il titolo di una famosa commedia in tre atti e un prologo di Eduardo De Filippo, del 1973; una commedia amara, percorsa da una dolente vena di pessimismo, il cui motivo dominante è l’impossibilità, per l’uomo, di essere finalmente se stesso, di potersi sottrarre alla occhiuta vigilanza, al maligno pettegolezzo e al silenzioso gioco al massacro da parte della società.



Anche senza scivolare in una visione così nera di derivazione pirandelliana, è pur vero che un fondo di verità esiste nel concetto che gli esami non hanno mai fine e che sempre ci sarà qualcosa o qualcuno che, nel corso della nostra vita, pretenderà di rifarceli, per vedere se siamo meritevoli di procedere o se, viceversa, dobbiamo migliorare la nostra preparazione e sostenerli una seconda e, se necessario, una terza e una quarta volta
Allo studente liceale o universitario che, dopo tanto studio e sacrificio, stringe finalmente in mano il proprio diploma e dà un addio ai libri e alla scuola o all’ateneo, sembra, per un momento, di toccare il cielo con un dito: è come se un grave peso gli fosse caduto dalle spalle, amici e parenti lo complimentano e lo festeggiano ed egli, come si suole dire, può finalmente alzare le vele della navicella e affrontare il mare aperto della vita.
Non tarderà a scoprire, tuttavia, indipendentemente dal valore concreto del pezzo di carta che certifica il suo completamento di un determinato corso di studi, che tutta la fatica e tutto l’impegno profusi sino ad allora sono cosa da poco, in confronto a ciò che la vita si appresta a chiedergli; e non tarderà a provare un sincero rimpianto per quegli anni passati sui libri, per quei compagni, perfino per quei professori, insomma per tutto quell’ambiente e quel ritmo di lavoro i quali riempivano, in gran parte, e davano un senso compiuto al suo orizzonte di vita.
Ma poi? Che succede quando non ci sono più esami da sostenere, ma si scopre che la vita è tutto un esame, un esame continuo, molto più severo e molto più pressante di quelli che gli studenti devono sostenere per conseguire il diploma o la laurea? E che davanti a tale esame incessante, esigente, imperioso, si rischia di trovarsi sempre fatalmente impreparati, e che nessuno studio, nessuna diligenza, nessuna strategia riusciranno mai a garantire un minimo livello di sicurezza nei confronti delle sorprese che esso può riservare?
D’altra parte, è possibile considerare la cosa anche da un altro punto di vista; e, pur senza negare l’assunto di base, pervenire a delle conclusioni molto diverse da quelle, amare e pessimistiche, di scrittori come Pirandello e De Filippo.
Tanto per cominciare: è davvero un male, una cosa negativa in sé stessa, il fatto che gli esami non finiscano mai?  
E in secondo luogo: è corretto pensare a tali esami come se fosse la vita a farceli, ad imporceli in modo arbitrario; o non sarebbe più giusto, più realistico, vederli piuttosto come degli esami che noi facciamo a noi stessi, che una parte di noi fa all’altra parte, talora in maniera equa e comprensibile, altre volte in maniera abnorme, compulsiva e irrazionale? Vediamo.
Per gli animali non ci sono esami, con l’eccezione degli animali addomesticati. L’animale che vive libero deve affrontare delle difficoltà e sa di poter contare solo su se stesso, ma questo non è un esame. Tutt’al più, si possono paragonare a degli esami i combattimenti fra maschi per la conquista delle femmine: fra i lupi, ad esempio, o fra i cervi, o fra gli stalloni o i tori. Ma il concetto di “esame” implica quello di giudizio, e il giudizio non è mai un fatto solamente tecnico, ma anche, e sia pure di riflesso, un fatto spirituale e morale.
L’animale sconfitto nella lotta per il dominio del branco subisce, questo è certo, anche una umiliazione; tuttavia, non bisogna spingere troppo oltre l’analogia con gli esseri umani: perché, in natura, non vi è morale e poi perché devono esserci un vinto e un vincitore, affinché sia il migliore a svolgere la funzione sociale più importante, a cominciare da quella riproduttiva.
Solo nel mondo umano la competizione sociale è ritualizzata e mascherata - anche se esiste, eccome -  a un punto tale che, teoricamente, potrebbero darsi solo dei vincitori, come nel caso di un primo premio assegnato “ex aequo” a due soggetti, o in quello di un accordo per la divisione consensuale di un bene agognato da più soggetti. Inoltre, solo nel mondo umano si opera una scelta in base a dei valori morali: la gallina che becca a morte un cucciolo di coniglio agisce per istinto, secondo natura (e chi vive in campagna, può assistere centinaia di volte a episodi di questo genere); mentre l’uomo che aggredisce malignamente un suo simile agisce in base a una scelta morale, ossia in base a una scelta tra il bene e il male.
Nessun giudizio, dunque, e nessun esame è possibile nei confronti dell’animale - anche se, nei secoli passati, talora la pensavano diversamente, e il maiale reo di aver divorato un bambino incustodito nella culla, poteva anche essere processato, condannato e impiccato;  mentre sia l’esame che il giudizio, anche solo di tipo morale, sono sempre presenti nella vita umana, che è fatta di azioni volontarie e di scelte continue; e, come abbiamo detto, l’esame può venire tanto dall’esterno, cioè dagli altri, quanto dall’interno, cioè da noi stessi.
Per tornare alla precedente domanda: dover sostenere continuamente delle prove e dei giudizi non è un male; perché la vita è lotta, e questo è il solo modo per tenersi allenati ad affrontarla nel modo giusto. Precisiamo: la vita è lotta, ma non nel senso del darwinismo sociale o, peggio, del superomismo nietzschiano; bensì nel senso che essa richiede incessantemente a tutti, dunque anche alle anime più miti, anzi ad esse specialmente, di confrontarsi con difficoltà, sacrifici, rinunce, scelte penose, dolorose lacerazioni. Crediamo che si tratti di una constatazione talmente ovvia, da non abbisognare di alcuna dimostrazione; bisognerebbe essere fatti di stoppa o avere un cuore di pietra anziché di carne, per non rendersene conto.
Il fatto che la vita sia lotta, e lotta continua, non implica necessariamente che essa sia ingiusta, o crudele, o spregevole e indegna delle anime belle; significa, semmai, che in essa vi sono momenti e situazioni dolorosi, che non si possono evitare in alcun modo e che è giocoforza attraversare, come si può, meglio che si può, sforzandosi di salvare, ed eventualmente di rafforzare, la propria parte migliore: quella più generosa, più sensibile, più amorevole
Nessuna difficoltà, nessun sacrificio e nessuna rinuncia hanno il potere di renderci peggiori, se noi non vi acconsentiamo; nessuna delusione può renderci amari e sconsolati, se noi non siamo disposti a cullarci in essa, a piangerci addosso, a chiuderci in essa come in un alibi per giustificare, davanti a noi stessi e agli altri, la nostra tendenza all’autocommiserazione, alla passività, alla rinuncia senza alcun tentativo di lotta.
In questo senso, gli “esami” sono dei passaggi necessari per la nostra crescita: se non vi fossero, è molto probabile che scivoleremmo nell’indolenza e nell’apatia; essi, invece, sferzando a sangue la nostra pigrizia, ci costringono a metterci alla prova, a riprendere la bisaccia del viandante ogni volta che saremmo tentati di sedere in pantofole, a salpare le ancore e sfidare i liberi venti del mare aperto ogni volta che vorremmo trattenerci pigramente in porto.
E veniamo alla seconda questione: chi è che fa gli esami e chi è a doverli sostenere.
Certo, gli esami della vita ci espongono al giudizio altrui: non dovremmo, però, sopravvalutare questo aspetto, ma concentrarci piuttosto sull’altro, quello dell’esame interiore. Essere approvati dagli altri può essere un buon segno o un cattivo segno, ciò dipende da molti fattori; ma, in buona sostanza, dipende dalla natura dell’esame e degli esaminatori. In una società buona, essere approvati dagli altri è una cosa buona, mentre essere disapprovati è una cosa cattiva; ma, in una società cattiva, può essere vero (si badi, non è necessariamente vero) l’opposto.
Per fare un esempio: in una famiglia buona, l’approvazione dei genitori all’operato di un figlio è cosa buona, la loro disapprovazione è una cosa cattiva; mentre in una famiglia cattiva, l’approvazione o la disapprovazione dei genitori possono essere cosa buona o cattiva a seconda delle circostanze. Abbandonare un genitore anziano e malato è cosa cattiva, anche se quel genitore è cattivo, mentre prendersi cura di lui, nei limiti del possibile, è cosa buona: una azione può essere buona anche se il giudizio altrui è negativo; ma non è detto che il giudizio negativo di una persona cattiva sia automaticamente il segno che si è agito bene.
Per sapere se si è agito bene, in ultima istanza esiste un solo tribunale realmente titolato: quello della propria coscienza, purché sia una coscienza retta e allenata al bene. Non qualunque coscienza è buon giudice di se stessa, ma solo una coscienza che, se non è del tutto buona, quanto meno tende al bene, lo sa vedere, lo sa riconoscere e si sforza di seguirlo, o, se non altro, si rammarica di non saperlo o di non poterlo fare.
In questo senso, gli esami che noi facciamo a noi stessi non finiscono mai, né debbono mai finire: guai se, arrivati a un certo punto, finissero: vorrebbe dire che siamo entrati nella zona d’ombra dell’ignavia morale, che abbiamo smesso di lottare, che abbiamo smesso di interrogarci; soprattutto, vorrebbe dire che abbiamo smesso di essere esigenti e intransigenti con noi stessi. E questo è, senza alcun dubbio, un male.
Attenzione: essere esigenti e intransigenti con se stessi è una cosa buona, purché sia condotta in un modo buono; vale a dire senza esagerazioni compulsive, senza estremismi patologici, senza tortuosità morbose. L’anima sana è giustamente esigente con se stessa; l’anima malata è esigente in maniera sproporzionata, assurda, incontentabile.
Per esempio: l’anima sana sarà addolorata, ma anche serena, davanti a un male che non abbia potuto impedire, perché esso non era umanamente evitabile; l’anima malata non si darà pace e si colpevolizzerà per qualunque cosa, anche per ciò che non era in suo potere di fare o di evitare: come non è in nostro potere salvare chi non vuole essere salvato, né è in nostro potere evitare l’ultima partenza delle persone a noi care.
L’anima malata è incapace di rassegnazione; da questo la si riconosce: essa non si rappresenta realisticamente la realtà, ma amplifica le cose e le situazioni a dismisura, per potersi flagellare e attribuire colpe immaginarie, per sentirsi responsabile di tutto quel che di male succede nel mondo. La coscienza esageratamente severa con se stessa è, dunque, l’espressione di una malattia dell’anima: di una malattia che risiede altrove, non nel fatto per cui essa si affligge, ma per qualcosa di molto più profondo ed essenziale, qualcosa che essa non ha mai avuto il coraggio di guardare in faccia.
Noi esseri umani, per esempio, non siamo Dio: non possiamo sostituirci a Lui, non possiamo fare tutto il bene che vorremmo, né evitare tutto il male che detestiamo: perché, dopotutto, siamo soltanto umani. Il più grande inganno e la più grande crudeltà che siano stati perpetrati contro l’anima dell’uomo consistono nell’aver proclamato che, dopo la morte di Dio, l’uomo doveva farsi il Dio di se stesso, onnipotente e infallibile.
Un’altra manifestazione di malattia del’anima è quella opposta: l’ignavia, l’abbandono, la passività rinunciataria. Lo abbiamo già detto; anche questa è malattia; e anche ciò genera una falsa coscienza: perché una tale anima dà luogo a una coscienza appannata, ottusa, smarrita, del tutto incapace di prendersi cura di se stessa, per non parlare degli altri.
Di solito queste anime deboli cercano, per tutta la vita, una stampella cui appoggiarsi: una moglie o un marito, un figlio o un amante, un partito o una parrocchia; ma sempre si troveranno a dipendere da qualcosa che non è in loro, che non fa parte di loro; da qualcosa che, nel migliore dei casi, altro non farà che perpetuare la loro debolezza, la loro eccessiva indulgenza verso se stesse, il loro segreto auto-disprezzo.
Così, per due vie appartenente opposte, quella del credersi Dio e quella del ritenersi un niente, l’anima è suscettibile di ammalarsi e di esprimere una falsa coscienza di sé. La salute dell’anima, d’altra parte, non è un dato naturale, ma una conquista faticosa e sofferta: tanto più faticosa e tanto pià sofferta quanto più l’anima è ricca, sensibile e predisposta al bene. È un mistero: l’anima predisposta al bene soffre di più; ma anche il suo splendore è più grande.
Così, siamo giunti alle soglie del mistero della sofferenza. Quest’ultima non è un bene in se stessa, ma un mezzo di purificazione e di elevazione, beninteso se vissuta con coraggio e con fedeltà alla propria chiamata: e, in un certo senso, siamo tutti chiamati ad essere santi. Il fatto che solo pochi ci riescano, dipende soltanto da una debolezza del vedere, del volere, dell’amare…