Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

mercoledì 13 marzo 2013

HABEMUS PAPAM ! FRANCISCUM


Jorge Mario Bergoglio è il 266° Vescovo di Roma, primo Papa non europeo, sudamericano, gesuita e a prendere il nome Francesco. Non staremo a scrivere la biografia del Pontefice. Vogliamo invece proporre la venerata figura di un altro Francesco che non è il ben noto frate di Assisi, bensì 

SAN FRANCESCO DA PAOLA 

Paola, Cosenza, 27 marzo 1416 - Plessis-les-Tours, Francia, 2 aprile 1507

La sua vita fu avvolta in un'aura di soprannaturale dalla nascita alla morte. Nacque a Paola (Cosenza) nel 1416 da genitori in età avanzata devoti di san Francesco, che proprio all'intercessione del santo di Assisi attribuirono la nascita del loro bambino. Di qui il nome e la decisione di indirizzarlo alla vita religiosa nell'ordine francescano. Dopo un anno di prova, tuttavia, il giovane lasciò il convento e proseguì la sua ricerca vocazionale con viaggi e pellegrinaggi. Scelse infine la vita eremitica e si ritirò a Paola in un territorio di proprietà della famiglia. Qui si dedicò alla contemplazione e alle mortificazioni corporali, suscitando stupore e ammirazione tra i concittadini. Ben presto iniziarono ad affluire al suo eremo molte persone desiderose di porsi sotto la sua guida spirituale. Seguirono la fondazione di numerosi eremi e la nascita della congregazione eremitica paolana detta anche Ordine dei Minimi. La sua approvazione fu agevolata dalla grande fama di taumaturgo di Francesco che operava prodigi a favore di tutti, in particolare dei poveri e degli oppressi. Lo stupore per i miracoli giunse fino in Francia, alla corte di Luigi XI, allora infermo. Il re chiese al papa Sisto IV di far arrivare l'eremita paolano al suo capezzale. L'obbedienza prestata dal solitario costretto ad abbandonare l'eremo per trasferirsi a corte fu gravosa ma feconda. Luigi XI non ottenne la guarigione, Francesco fu tuttavia ben voluto ed avviò un periodo di rapporti favorevoli tra il papato e la corte francese. Nei 25 anni che restò in Francia egli rimase un uomo di Dio, un riformatore della vita religiosa. Morì nei pressi di Tours il 2 aprile 1507.
La sua vita fu uno stupore continuo sin dalla nascita, infatti Francesco nacque il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti negli anni, il padre Giacomo Alessio detto “Martolilla” e la madre Vienna di Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso invano la nascita di un figlio, per questo pregavano s. Francesco, il ‘Poverello’ di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il figlio arrivò.
Riconoscenti i giubilanti genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi intervenne ancora nella vita di quel bimbo nato a Paola, cittadina calabrese sul Mar Tirreno in provincia di Cosenza; dopo appena un mese si scoprì che era affetto da un ascesso all’occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i medici disperavano di salvare l’occhio.
La madre fece un voto a s. Francesco, di tenere il figlio in un convento di Frati Minori per unintero anno, vestendolo dell’abito proprio dei Francescani, il voto dell’abito è usanza ancora esistente nell’Italia Meridionale. Dopo qualche giorno l’ascesso scomparve completamente.


Fu allevato senza agi, ma non mancò mai il necessario; imparò a leggere e scrivere verso i 13 anni, quando i genitori volendo esaudire il voto fatto a s. Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano, a nord di Cosenza.
In quell’anno l’adolescente rivelò subito doti eccezionali, stupiva i frati dormendo per terra, con continui digiuni e preghiera intensa e già si cominciava a raccontare di prodigi straordinari, come quando assorto in preghiera in chiesa, si era dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi per il pranzo dei frati, allora tutto confuso corse in cucina, dove con un segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono subito cotti.
Un’altra volta dimenticò di mettere le carbonelle accese nel turibolo dell’incenso, alle rimostranze del sacrestano andò a prenderle ma senza un recipiente adatto, allora le depose nel lembo della tonaca senza che la stoffa si bruciasse.
Trascorso l’anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere dei frati e d’accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad Assisi alla tomba di s. Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe permesso d’individuare la strada da seguire nel futuro.
Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma, nella ‘Città eterna’ mentre camminava per una strada, incrociò una sfarzosa carrozza che trasportava un cardinale pomposamente vestito, il giovanetto non esitò e avvicinatosi rimproverò il cardinale dello sfarzo ostentato; il porporato stupito cercò di spiegare che era necessario per conservare la stima e il prestigio della Chiesa agli occhi degli uomini.
Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere in quell’eremo fondato nel 528 da s. Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di vita, al punto che tornato a Paola, appena tredicenne e in netta opposizione al dire del cardinale romano, si ritirò a vita eremitica in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429.
Si riparò prima in una capanna di frasche e poi spostandosi in altro luogo in una grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; detta grotta è oggi conservata all’interno del Santuario di Paola; in questo luogo visse altri cinque anni in penitenza e contemplazione.
La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani dopo più visite, gli chiesero di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine.


Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi; la piccola Comunità si chiamò “Eremiti di frate Francesco”.
Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine dai fedeli; non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella cappella a determinate ore.
Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro, tuttora conservati nel complesso del Santuario.
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è chiamata “l’acqua della cucchiarella”, perché i pellegrini usano attingerne con un cucchiaio.
Ormai la fama di taumaturgo si estendeva sempre più e il papa Paolo II (1464-1471), inviò nel 1470 un prelato a verificare; giunto a Paola fu accolto da Francesco che aveva fatto portare un braciere per scaldare l’ambiente; il prelato lo rimproverò per l’eccessivo rigore che professava insieme ai suoi seguaci e allora Francesco prese dal braciere con le mani nude, i carboni accesi senza scottarsi, volendo così significare se con l’aiuto di Dio si poteva fare ciò, tanto più si poteva accettare il rigore di vita.
La morte improvvisa del papa nel 1471, impedì il riconoscimento pontificio della Comunità, che intanto era stata approvata dal vescovo di Cosenza Pirro Caracciolo; il consenso pontificio arrivò comunque tre anni più tardi ad opera del nuovo papa Sisto IV (1471-1484).
Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l’arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola “Charitas” e porgendoglielo disse: “Questo sarà lo stemma del tuo Ordine”.
La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria.



Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia, pertanto con due confratelli si accinse ad attraversare lo Stretto di Messina, qui chiese ad un pescatore se per amor di Dio l’avesse traghettato all’altra sponda, ma questi rifiutò visto che non potevano pagarlo; senza scomporsi Francesco legò un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo Stretto con quella barca a vela improvvisata.
Il miracolo fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona, piccolo porto della costa calabra, che si rammaricava e non si dava pace per il suo rifiuto.
Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, ‘risuscitò’ il suo nipote Nicola, giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto vedovo entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino alla morte.
Francesco alzava spesso la voce contro i potenti in favore degli oppressi, le sue prediche e invettive erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I (detto Ferrante) d’Aragona, che mandò i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente, perché il santo eremita si rendeva invisibile ai loro occhi; il re alla fine si calmò, diede disposizione che Francesco poteva aprire quanti conventi volesse, anzi lo invitò ad aprirne uno a Napoli (un’altro era stato già aperto nel 1480 a Castellammare di Stabia.
A Napoli giunsero due fraticelli che si sistemarono in una cappella campestre, là dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito.
Intanto si approssimava una grande, imprevista, né desiderata svolta della sua vita; nel 1482 un mercante italiano, di passaggio a Plessis-les-Tours in Francia, dove risiedeva in quel periodo il re Luigi XI (1423-1482), gravemente ammalato, ne parlò ad uno scudiero reale, che informò il sovrano.
Il re inviò subito un suo maggiordomo in Calabria ad invitare il santo eremita, affinché si recasse in Francia per aiutarlo, ma Francesco rifiutò, nonostante che anche il re di Napoli Ferrante appoggiasse la richiesta.
Allora il re francese si rivolse al papa Sisto IV, il quale per motivi politici ed economici, non voleva scontentare il sovrano e allora ordinò all’eremita di partire per la Francia, con grande sgomento e dolore di Francesco, costretto a lasciare la sua terra e i suoi eremiti ad un’età avanzata, aveva 67 anni e malandato in salute.
Nella sua tappa a Napoli, fu ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante I, incuriosito di conoscere quel frate che aveva osato opporsi a lui; il sovrano assisté non visto ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistarne l’amicizia offrendogli un piatto di monete d’oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a Napoli.
Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al re disse: “Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio”, predicendogli anche la fine della monarchia aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.
Sempre vestito del suo consunto saio e con in mano il rustico bastone, fu ripreso di nascosto da un pittore, incaricato dal re di fargli un ritratto, che è conservato nella Chiesa dell’Annunziata a Napoli, mentre una copia è nella Chiesa di S. Francesco da Paola ai Monti in Roma; si ritiene che sia il dipinto più somigliante quando Francesco aveva 67 anni.
Passando per Roma andò a visitare il pontefice Sisto IV (1471-1484), che lo accolse cordialmente; nel maggio 1489 arrivò al castello di Plessis-du-Parc, dov’era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò Bormes e Frejus da un’epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo più miranti a far accettare al sovrano l’ineluttabilità della condizione umana, uguale per tutti e per quante insistenze facesse il re di fare qualcosa per guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nel 1482, dopo aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.
Dopo la morte di Luigi XI, il frate che viveva in una misera cella, chiese di poter ritornare in Calabria, ma la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re Carlo VIII (1470-1498) si opposero; considerandolo loro consigliere e direttore spirituale.
Giocoforza dovette accettare quest’ultimo sacrificio di vivere il resto della sua vita in Francia, qui promosse la diffusione del suo Ordine, perfezionò la Regola dei suoi frati “Minimi”, approvata definitivamente nel 1496 da papa Alessandro VI, fondò il Secondo Ordine e il Terzo riservato ai laici, iniziò la devozione dei Tredici Venerdì consecutivi.
Francesco morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours dove fu sepolto, era un Venerdì Santo ed aveva 91 anni e sei giorni.
Già sei anni dopo papa Leone X nel 1513 lo proclamò beato e nel 1519 lo canonizzò; la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi, finché nel 1562 fu profanata dagli Ugonotti che bruciarono il corpo; rimasero solo le ceneri e qualche pezzo d’osso.
Queste reliquie subirono oltraggi anche durante la Rivoluzione Francese; nel 1803 fu ripristinato il culto. Dopo altre ripartizioni in varie chiese e conventi, esse furono riunite e dal 1935 e 1955 si trovano nel Santuario di Paola; dopo quasi cinque secoli il santo eremita ritornò nella sua Calabria di cui è patrono, come lo è di Paola e Cosenza.
Nel 1943 papa Pio XII, in memoria della traversata dello Stretto, lo nominò protettore della gente di mare italiana. Quasi subito dopo la sua canonizzazione, furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino, Palermo e Napoli e il suo culto si diffuse rapidamente nell’Italia Meridionale, ne è testimonianza l’afflusso continuo di pellegrini al suo Santuario, eretto fra i monti della costa calabra che sovrastano Paola, sui primi angusti e suggestivi ambienti in cui visse e dove si sviluppò il suo Ordine dei ‘Minimi’.

FONTE: http://www.santiebeati.it/ 

martedì 12 marzo 2013

«Tempi da Anticristo, un Papa guerriero ci guiderà»

di Riccardo Cascioli

«Si avvicina il tempo della grande prova, e l’unico modo per rispondere è una riforma della Chiesa attraverso la santità». Padre Livio Fanzaga, direttore e vera anima di Radio Maria, non ha dubbi. Guidato anche dai messaggi trasmessi dai veggenti di Medjugorje, sa leggere in profondità questo nostro tempo così pieno di incognite, con un mondo attraversato da una grave crisi, morale ancora prima che economica, e una Chiesa che aspetta l’elezione del nuovo Papa tra tensioni e divisioni.
Padre Livio, dai microfoni di Radio Maria lei insiste molto sulla prova che aspetta il mondo e soprattutto la Chiesa. Ma quali sono i segni che questo tempo si avvicina?
Mi sembra che i segni siano piuttosto evidenti: in una parola si potrebbe dire l’avanzata del potere delle tenebre. Non solo la grave crisi economica e finanziaria, ma la possibilità che oggi l’uomo ha di distruggere la terra su cui vive, il trionfo della religione umanitaria, la costruzione di un mondo senza Dio e quindi lo scatenarsi di un attacco furioso contro la Chiesa, la persecuzione. Se guardiamo con attenzione non possiamo non vedere come il tempo abbia preso un’accelerazione incredibile, come un masso che prende velocità staccandosi da una montagna e rotolando verso il basso.
Lei parla di un grande attacco alla Chiesa, e lo ha detto più volte anche Benedetto XVI parlando di nemici esterni ma anche interni.
Si deve leggere questa situazione come l’approssimarsi del grande attacco di Satana alla Chiesa, “Satana sciolto dalle catene” nel linguaggio dell’Apocalisse e come afferma la Madonna a Medjugorje. L’obiettivo è distruggere la Chiesa, delegittimare i suoi pastori, e il cristianesimo in generale. Mi sembra sia evidente come la Chiesa sia sotto attacco globale, anche attraverso i media e i grandi poteri che regolano il mondo, mentre si afferma una nuova religione umanitaria, con l’uomo ridotto ad animale. E’ l’impostura anticristica di cui parla anche il catechismo della Chiesa cattolica (no. 675-676). Il tempo della prova, per la Chiesa, è il tempo della grande apostasia, e lo stiamo già vedendo.
Quali sono i segni all’interno della Chiesa?
Lo vediamo soprattutto in uno sbriciolamento della fede, e responsabili ne sono gli stessi sacerdoti. Maria Valtorta lo aveva previsto già nel 1943, ma anche la Madonna nell’apparizione alle Tre Fontane lo aveva annunciato: la crisi del sacerdozio, che è ancora in atto. Non solo dopo il Concilio hanno abbandonato il sacerdozio il 20% dei preti, ma quelli che sono rimasti si sono in larga parte secolarizzati, hanno edulcorato la fede, la stanno dissolvendo. La crisi del sacerdozio è crisi intellettuale più che morale, cioè è crisi di fede. Lo vediamo in tanti libri di teologi, biblisti, negli insegnamenti nei seminari, c’è quello che già Paolo VI chiamava l’affermarsi di un pensiero non cattolico. Si dissolve la fede in Gesù figlio di Dio, si nega l’inferno – se c’è è vuoto, si dice -, addirittura si arriva a negare i miracoli, vale a dire il soprannaturale che è l’essenza della nostra fede. La parola di Cristo viene demolita, la Sua volontà – vedi la questione del sacerdozio alle donne – la si vorrebbe riaggiustare secondo criteri umani. Si dice che la Chiesa si deve aggiornare e si invocano riforme umane. Ma la Chiesa non si deve aggiornare, è la fedeltà alla sua identità che l’ha preservata nei secoli. Guai a noi se perdiamo la dimensione evangelica, radicale, l’affermazione di Cristo salvatore del mondo. La tentazione da superare è il cedimento al mondo. Cosa hanno risolto i protestanti ammettendo le donne al sacerdozio o eliminando il celibato dei preti? Nulla, anche dal punto di vista morale ci sono più pedofili tra i pastori protestanti che tra i preti cattolici. Queste sono le false riforme della Chiesa, e il mondo tifa per quelli che nella Chiesa si mettono su questa strada.

E in questo panorama c’è la rinuncia del Papa…
Anche questo è un segno del tempo che si sta preparando. Benedetto XVI è pienamente cosciente di ciò che si prepara, ha rinunciato per dare spazio a uno più forte fisicamente, e lo ha detto con chiarezza. Andiamo verso tempi in cui c’è bisogno anche della forza fisica, oltre che morale, serve un Papa guerriero, un vero soldato di Cristo. E Benedetto XVI continuerà a seguire la battaglia con la preghiera, che è l’arma principale, come desidera anche la Madonna.

Può spiegare meglio questo passaggio?
L’obiettivo della Madonna è rafforzare la fede attraverso la preghiera. Perché dalla preghiera viene tutto, è una sorgente d’acqua che fa ricrescere tutto: l’incontro con Dio, la scoperta dei sacramenti, la luce del discernimento, la forza del combattimento spirituale. Fin dall’inizio delle sue apparizioni a Medjugorje ha invitato i veggenti a dire il Credo, prima del rosario, dopo la messa: sempre il Credo, che Lei dice essere la preghiera più bella. La Madonna vuole riformare la vita cristiana, bisogna che la grazia cambi i cuori, vuole la conversione, ed ecco quindi l’importanza della confessione. Non è un caso che il simbolo di Medjugorie siano le decine di confessionali all’aperto a cui si accostano ogni giorno centinaia di fedeli. Anche questo peraltro conferma quello che dicevo sulla crisi del sacerdozio: qui da noi i confessionali sono vuoti, ma se le stesse persone qui non si confessano e poi si sentono spinte a farlo a Medjugorje, evidentemente c’è qualcosa che non funziona nei preti qui, non è colpa dei fedeli.
Da questa conversione poi la Madonna desidera la pratica dei comandamenti: al proposito, ha fatto scalpore che nell’apparizione dello scorso 25 dicembre per la prima volta la Madonna non abbia parlato: si è invece alzato Gesù Bambino che ha ammonito “Io sono la vera pace, osservate i miei comandamenti”. Se non abbiamo la vita di Cristo dentro di noi, non siamo credibili.
La vera riforma che è chiesta è la santità, e del resto le grandi riforme nella Chiesa le hanno sempre fatte i santi. E tutti i fedeli sono chiamati alla santità, tutti siamo chiamati a una conversione che dura tutta la vita.

Insomma, sembra proprio che la Madonna stia preparando un piccolo esercito per la battaglia che s’avvicina.
Esatto, c’è un’incessante chiamata a diventare suoi apostoli decisi a testimoniare fino a dare la vita. Nel tempo della prova è necessario che ci sia un piccolo gregge che resiste, per dare luce agli altri, punto di riferimento per gli altri. Dio ha sempre fatto così: laddove ci sono le tenebre accende una luce, basti ricordare  Massimiliano Kolbe e Edith Stein nei lager nazisti.

FONTE: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-tempi-da-anticristo-un-papa-guerriero-ci-guider-5991.htm

sabato 9 marzo 2013

La grande bufala dei cardinali «amici dei pedofili»

di Massimo Introvigne



L'ottava Congregazione Generale del Collegio dei Cardinali ha deciso che il Conclave per l'elezione del Papa inizierà martedì 12 marzo 2013. Lo rende noto un comunicato della sala stampa della Santa sede. Al mattino nella Basilica di S. Pietro sarà celebrata la Messa "pro eligendo Pontifice" e nel pomeriggio l'ingresso dei cardinali in Conclave.
Negli ultimi giorni i giornali di tutto il mondo hanno dato rilievo a una lista di dodici cardinali che avrebbero protetto i preti pedofili, la «sporca dozzina». La lista è stata diffusa dall'organizzazione americana SNAP (Survivors Network of Those Abused by Priests, «Rete di Sopravvissuti Abusati da Preti») e - vedi caso - comprende la maggioranza di coloro indicati a torto a ragione come «papabili» dai media, tra cui i cardinali Scola, Ouellet, Dolan e O'Malley.

Ma i giornali - anche italiani - che hanno pubblicato con compiacimento la lista della «sporca dozzina» sanno davvero chi è lo SNAP? Mi permetto di ritenere che non sia così, e che la passione di qualche giornalista per le liste di proscrizione abbia fatto premio sul dovere d'informarsi. Lo SNAP è stato fondato nel 1989 da Barbara Blaine, una ex-vittima delle avances di un prete dell'Ohio quando era una teenager, e il suo volto più pubblico è il direttore David Clohessy, che si presenta anch'egli come un sopravvissuto a molestie clericali ed è il fratello di un ex-prete a sua volta accusato di abusi. Molto noti alla stampa si sono resi anche alcuni leader regionali, fra cui Lyn Taylor, fondatrice dello SNAP in Louisiana.

Senza dubbio lo SNAP ha avuto grande successo nei rapporti con la stampa. Ha stabilito rapporti preferenziali con il New York Times, con il domenicano ultra-progressista Tom Doyle - attivissimo nell'attaccare i vescovi e il Vaticano in ogni sede - e con il giornalista più virulento nei confronti della Santa Sede tra quelli che hanno indagato sui preti pedofili, Jason Berry. Ha predisposto una serie di istruzioni e di manuali indubbiamente sagaci su come creare il massimo danno alla Chiesa Cattolica quando ci si presenta in televisione a raccontare di abusi subiti anni fa. Si consiglia, per esempio, di pronunciare continuamente parole come «piccoli» o «bambini» e di mostrare fotografie infantili per suscitare la compassione del pubblico.

Ma è tutto oro quello che luccica? Nel 2011, nonostante le protezioni di cui gode negli ambienti mediatici, politici e giudiziari ostili alla Chiesa Cattolica, lo SNAP è scivolato su una buccia di banana. È stato accusato di avere pubblicato notizie e documenti coperti dal segreto istruttorio. Non succede solo in Italia, e negli Stati Uniti è perseguito più severamente. Clohessy è stato incriminato e rischia seriamente di andare in prigione. Peggio, nella procedura in corso di fronte a un Tribunale del Missouri per ordine di un giudice locale Clohessy ha dovuto sottoporsi al contro-interrogatorio degli avvocati di sacerdoti accusati di pedofilia. E - nonostante il solito New York Times sia corso in suo soccorso stracciandosi le vesti - le domande sono state ad ampio raggio e la deposizione, non segreta e che risale al 2 gennaio 2012, è stata pubblicata.

Gli avvocati si sono dimostrati piuttosto curiosi. Secondo la sua dichiarazione dei redditi, lo SNAP incassa tre milioni di dollari all'anno. Per che cosa? Si presenta come un centro di assistenza alle vittime degli abusi perpetrati da sacerdoti. Ma per offrire questo tipo di assistenza occorre una licenza come psicologo. Domanda a Clohessy: «Lei e i suoi collaboratori avete questa licenza? Avete almeno compiuto studi che vi qualifichino a prestare assistenza psicologica?». Risposta: «No». «Quanto dei tre milioni di dollari di budget spendete per l'assistenza alle vittime?». Risposta: «Non ne ho idea». Ma prestate veramente questa assistenza? Come?». Risposta: «Incontriamo le persone dove si sentono a loro agio, negli Starbucks [...]. Il grosso del nostro lavoro è parlare, ascoltare...».  «Non avete una sede?». «No, lavoro da casa mia a Chicago». «E i soldi dove li tenete?». «Penso in una banca a Chicago». In un anno di cui ha reso pubblico il bilancio, il 2007, lo SNAP ha speso 593 dollari per il «sostegno ai sopravvissuti» agli abusi dei preti e 92.000 dollari in spese di viaggio dei dirigenti.

Un'altra parte interessante della deposizione riguarda le fonti di finanziamento dello SNAP. «Capisco bene, Lei rifiuta di rispondere alla domanda sulle vostre fonti di finanziamento?». «Capisce bene». Tuttavia da altre fonti è di pubblico dominio che lo SNAP riceve generosi finanziamenti dagli avvocati miliardari che si arricchiscono citando le diocesi cattoliche nei casi di pedofilia, a partire da Jeff Anderson, il più noto e tracotante di loro e la mente dietro l'«interrogatorio a orologeria» di Milwaukee dello scorso 20 febbraio, inteso a mettere in cattiva luce il cardinale Dolan - descritto dallo SNAP come il suo nemico più pericoloso - in vista del Conclave. «E lei in cambio "arruola" le vittime di abusi che si rivolgono a voi dirigendole agli studi legali che vi finanziano?», è stato chiesto a Clohessy, che appare spesso in pubblico insieme ad Anderson. Risposta: «Rifiuto di rispondere perché la domanda è offensiva».

Più interessante ancora è la parte dell'interrogatorio in cui Clohessy spiega come fa lo SNAP a denunciare un prete, vescovo o cardinale come pedofilo o amico dei pedofili. «Riceviamo delle accuse credibili». Chi decide che le accuse sono credibili? Lo SNAP. «Come determinate che le accuse sono credibili?». «Abbiamo parecchi criteri». «Gentilmente ce ne illustra qualcuno?». «Ad esempio se c'è più di un accusatore che denuncia la stessa persona». Però ci sono casi in cui l'accusatore è uno solo, ma lo SNAP va avanti e rende pubblica l'accusa lo stesso. Alla fine si ha l'impressione che lo SNAP assomigli al vecchio CAN (Cult Awareness Network), un'organizzazione contro le «sette» che grosso modo era pronta a prendere per buone le accuse contro organizzazioni religiose formulate da chiunque. Una politica che portò il CAN a ripetuti scontri con la giustizia e alla fine alla bancarotta. Lo SNAP ha ben altre protezioni, ma sembra sulla buona strada. «Ammette che lo SNAP talora ha pubblicato comunicati stampa che contenevano informazioni false?». «Certo, è sicuramente così».

Le disgrazie non vengono mai sole. Mentre i giudici del Missouri indagano sulla violazione del segreto istruttorio, in Louisiana il marito del l'influente presidente locale dello SNAP, il dottor Steve Taylor, è arrestato e - il 12 aprile 2011 - condannato a due anni di reclusione, senza condizionale, e incarcerato per il possesso di un centinaio di file di ripugnante pornografia minorile trovati sul suo computer. Le mogli - si potrebbe dire - non sono responsabili per le perversioni dei mariti. Ma il fatto è che il settantunenne dottor Taylor era a sua volta un oratore frequente alle riunioni dello SNAP e per difenderlo erano scesi in campo la presidente dell'organizzazione Blaine e il solito Jason Berry.

Dopo queste vicende - e anche perché le efficaci misure della Chiesa americana hanno ridotto i nuovi casi di pedofilia a pochi episodi isolati -  lo SNAP ha cominciato a perdere colpi. Le donazioni sono scese e le finanze, secondo una mail mandata ai sostenitori, «sono a malapena sufficienti a pagare le spese». Il 1° marzo un giornale non certo ostile, il Washington Post, ha pubblicato un articolo dove varie voci denunciano la perdita di vigore del movimento dei «sopravvissuti» agli abusi clericali, la cui energia sembra essersi «esaurita». Con il colpo della lista dei cardinali - la mossa disperata di un'organizzazione in crisi - lo SNAP spera ora di riciclarsi all'estero, Italia compresa, e di ripulire un'immagine macchiata da troppi scandali.

È il caso di dirlo chiaramente: quella dei preti pedofili è una tragedia reale, che - Benedetto XVI ce lo ha insegnato - nessuno deve giustificare o sottovalutare. Ma organizzazioni come lo SNAP, piene di profittatori che trasformano la lotta alla pedofilia in un business miliardario e di ideologi che ce l'hanno con la Chiesa a prescindere, sono parte del problema, non della soluzione. I giornalisti, anche nostrani, dovrebbero smettere di prendere per oro colato le loro bufale.



mercoledì 6 marzo 2013

Chiesa, attacchi «inauditi» e «terrificanti»

di Massimo Introvigne
Lo denuncia la nota, davvero inconsueta, diffusa sabato dalla Segreteria di Stato: è un attacco inaudito. È quello cui è sottoposta la Chiesa in vista del Conclave, e che rappresenta il culmine di quanto è avvenuto durante tutto il pontificato di Benedetto XVI. Una persecuzione quotidiana, che non si è mai fermata. Non uso a caso la parola «inaudito». È una parola molto forte perché indica qualche cosa che non solo, con questa gravità, non si è mai verificato prima, ma di cui neppure prima d’ora si era sentito – propriamente – a parlare. «Inaudito»: che non è mai stato ascoltato prima. Uso questa parola perché è di Benedetto XVI. La usa, in un brano che sembra scritto per le vicende di questi giorni, nell’enciclica «Caritas in veritate» al n. 75: «Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite».  E di «inaudite sofferenze», con riferimento alle stragi di cristiani in Africa, il Papa aveva parlato in una lettera al presidente dei vescovi del Kenya nel 2008. 



A «inaudito» si deve affiancare un altro aggettivo di forza non comune: «terrificante». Il Papa lo ha usato nel viaggio a Fatima a proposito degli attacchi che gli venivano rivolti dall’interno stesso della Chiesa: «vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa». E – sempre a proposito degli attacchi interni – nella lettera del 10 marzo 2009 dove spiegava perché aveva rimesso la scomunica ai vescovi consacrati da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), Benedetto XVI aveva usato una terza espressione fortissima, desunta dalla Lettera ai Galati di san Paolo: c’è chi nella Chiesa vuole «mordere e divorare» coloro che percepisce come avversari e in ultimo lo stesso Pontefice. «“Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa».

Rivediamo tutto questo aprendo i giornali ostili alla Chiesa – sempre i soliti, da Repubblica al New York Times, cui però fanno eco in tanti, e sorprendentemente anche media che si dicono cattolici – a proposito del Conclave. Tutto è ridotto a scandalo, sporcizia, vergogna. Notizie vere come quelle che riguardano i preti pedofili sono amplificate a dismisura fino a perdere ogni contatto con la realtà, secondo il meccanismo di quelli che la sociologia chiama «panici morali». Né ci si vergogna d’inventare notizie totalmente false, come quelle che continuano a circolare su Internet di mandati d’arresto internazionali in arrivo per Benedetto XVI o della presunta menzione, nel rapporto dei tre cardinali che hanno indagato sul caso Vatileaks, del coinvolgimento di prelati vicini al Papa in scandali sessuali.

Appena un cardinale impegnato a difendere il Magistero del Papa è citato come possibile «papabile» – a torto o a ragione –, subito si denuncia qualche scandalo, preferibilmente collegato alla pedofilia e magari risalente a qualche decennio fa ma su cui – vedi caso – i giudici ritengono di sentire il porporato proprio in questi giorni. Sta capitando negli Stati Uniti al cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza Episcopale, secondo un modello di «giustizia a orologeria» inventato da certi pubblici ministeri italiani ma ormai diffuso in tutto il mondo. E non è l’unico caso.

Chi ha cospirato contro Benedetto XVI e ora cospira contro il Conclave? Chi «morde e divora»? Chi, con strategie «terrificanti», cerca di coprire le sue «ingiustizie inaudite»? La risposta è complessa, e certamente non c’è un unico «grande vecchio», un’unica regia. Per capire di più, possiamo esaminare la prima grande offensiva contro Benedetto XVI, che inizia con il discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, il quale contiene una citazione giudicata da alcuni offensiva nei confronti dell’islam e dei musulmani.

Appena pronunciato questo discorso, inizia un processo in tre fasi. Prima fase: un buon numero di media occidentali, con alla testa il solito New York Times, estrapolano la citazione dal contesto e sbattono la notizia della presunta offesa ai musulmani in prima pagina. Seconda fase: al coro si uniscono esponenti cattolici ostili al Papa, compiacentemente intervistati dagli stessi media. Terzo: gli ultra-fondamentalisti musulmani diffondono la notizia nelle terre dove operano e si passa alla violenza, con suore e sacerdoti percossi e uccisi e chiese bruciate.

Questo schema si ritrova in tanti altri episodi. Un esempio tipico è quello del marzo 2009 quando - sull’aereo che lo porta in Camerun - Benedetto XVI risponde a un cronista francese che gli pone una domanda sull’AIDS, spiegando che la distribuzione massiccia di preservativi non risolve ma aggrava il problema. La risposta del Papa, peraltro scientificamente corretta, occupa le cronache internazionali per tutto il viaggio, mettendo in ombra i suoi profondi insegnamenti sulle malefatte delle istituzioni internazionali e di alcune multinazionali in Africa – e forse era proprio questo lo scopo. Anche qui sono i grandi media laicisti a gridare allo scandalo, ma subito – seconda fase – intervengono a «mordere» il Papa i teologi progressisti e i «cattolici adulti». Quindi – terza fase – arriva la violenza, non fisica questa volta ma istituzionale di governi come quello del Belgio che censurano il Pontefice e annunciano misure contro la Chiesa. Si crea qui il contesto in cui dopo qualche mese la polizia belga, a caccia d’improbabili pedofili, sequestrerà fisicamente per ore i vescovi locali e aprirà le tombe di due cardinali, alla ricerca di documenti sulla pedofilia che lì avrebbero potuto essere nascosti solo in una delle pagine peggiori di Dan Brown.

Gli attacchi sono «inauditi» proprio perché non vengono da una parte sola. Contro Benedetto XVI e oggi contro la Chiesa e il Conclave si sono mossi cinque diversi nemici.

Il primo, forse più potente e pericoloso, è costituito dalla galassia di organizzazioni laiciste, omosessuali, massoniche, femministe, delle cliniche dell’aborto e dell’eutanasia, delle case farmaceutiche che vendono prodotti abortivi, degli avvocati che chiedono risarcimenti miliardari per i casi di pedofilia. Questa lobby odia la Chiesa per la sua opposizione intransigente al relativismo e la sua difesa dei principi non negoziabili in tema di vita e di famiglia, che talora disturba anche affari molto lucrosi. Ed è una lobby che ha un’influenza davvero «inaudita» sui più potenti media mondiali.

Il secondo grande nemico della Chiesa, spesso pericolosamente trascurato per malinteso spirito di dialogo e «buonismo», è l’ultra-fondamentalismo islamico. Illuso che sia davvero possibile per l’islam riprendere la conquista del mondo intero, entusiasmato dai suoi successi prima terroristici – a partire dall’11 settembre – e poi politici, il segmento più radicale dell’islam fondamentalista ha sofferto come una ferita intollerabile il sorpasso statistico dei cristiani sui musulmani nel continente africano – il dato riguarda l’Africa nel suo insieme, Maghreb compreso – e ha risposto con gli assassini e le stragi. A questo fondamentalismo radicale Benedetto XVI – pure così attento a non confonderlo con l’islam in generale – non ha mai fatto sconti. Certo, ideologicamente l’ultra-fondamentalismo islamico è lontanissimo dal laicismo. Ma è pronto a sfruttare gli assist dei media laicisti per attaccare la Chiesa, e a profittare del loro silenzio quando la sua violenza si dirige contro i cristiani.

Il terzo grande nemico di Benedetto XVI è stato il progressismo cattolico e l’azione insistita e fastidiosa di quei «cattolici adulti» e teologi i quali hanno visto la loro autorità e il loro potere nella Chiesa minacciato dallo smantellamento da parte di Benedetto XVI di quella interpretazione del Concilio Vaticano II in termini di discontinuità e di rottura con il Magistero precedente su cui avevano costruito per decenni carriere e fortune. E oggi, in vista del Conclave, questo progressismo – le cui lamentele trovano pronta eco nei media laicisti internazionali – tenta di aggredire preventivamente i cardinali più attivi e fedeli nel diffondere questi insegnamenti del Pontefice.

Ma l’«ermeneutica della riforma nella continuità» del Vaticano II di Papa Ratzinger, se ha sottolineato la continuità, ha anche sempre precisato che non è facoltativo accettare, del Concilio, l’elemento di riforma. Proprio sul punto secondo cui accettare il Concilio nei suoi documenti, e anche nel suo senso di evento storico globale, è obbligatorio, Benedetto XVI è stato attaccato con sempre maggiore acrimonia anche da un quarto fronte, quello degli ultra-conservatori che forse all’inizio si erano illusi di trovare in lui una sponda e un sostegno. Solo chi non conosce questi ambienti non si rende conto di quante voci e rumori – poi ripresi dai media anti-cattolici – siano stati inizialmente diffusi proprio qui, e di quanti danni abbiano fatto attacchi che hanno cercato di colpire Benedetto XVI sul punto grave e delicatissimo dell’ortodossia dottrinale, seminando dubbi e sospetti. E negli ultimi giorni abbiamo visto quanto fosse soltanto di facciata il rispetto ostentato da certi ambienti ultra-conservatori per il Papa, che alcuni, con un cattivo gusto violento, hanno paragonato addirittura al comandante Schettino, e di cui hanno attaccato senza ritegno il discorso ai parroci romani, dove Benedetto XVI ribadiva il dovere di tutti di fedeltà al Vaticano II reale, che fu ed è cosa diversa dalla sua rappresentazione spesso distorta nei media.

Infine, Benedetto XVI ha avuto anche un quinto nemico, inconsapevole e involontario ma non per questo meno pericoloso. Si tratta delle imprudenze, ritardi ed errori di comunicazione degli stessi collaboratori del Papa. Nell’epoca di Internet e di Facebook se una notizia falsa non è smentita entro due o tre ore le possibilità di replica efficace si riducono a poco più di zero. Migliorare la comunicazione della Santa Sede è una delle grandi sfide che attendono il prossimo Pontefice.

I risultati di questi attacchi «inauditi», lo ha detto ancora il Papa nel viaggio a Fatima, sono a loro volta inauditi. Non solo leggendo i giornali o guardando la televisione ci si trova davanti a «ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita». Ma la stessa fede è in pericolo di morte. «La fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata». Non ci sono solo i corifei del secolarismo, «non mancano credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo». E il risultato è che la stessa verità naturale viene meno: e ogni «popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia».

Non è coltivazione della speranza cristiana, è soltanto imprudenza non vedere quanto gli attacchi siano «inauditi». «L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo», ha detto ancora il Papa a Fatima. Nello stesso tempo, proprio a Fatima, il Papa ha ricordato le parole della Madonna che, dopo avere preannunciato terribili tragedie, concluse il suo messaggio in Portogallo annunciando: «Infine il mio Cuore Immacolato trionferà». Sì, ripeteva allora Benedetto XVI, «nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa». Spetterà probabilmente al prossimo Pontefice celebrare nel 2017 il centenario delle apparizioni di Fatima. Vale allora la pena di rileggere, con trepidazione e speranza, quanto – dopo l’apprezzamento così realistico della crisi inaudita e «terrificante» – Benedetto XVI ebbe ad affermare a Fatima nel 2010, sette anni prima del centenario del 2017: «Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria, a gloria della Santissima Trinità».