Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

sabato 19 marzo 2011

IL PROBLEMA NON E' IL 17 MARZO, MA UNA RIFLESSIONE CHE MANCA

Articolo di Luca De Netto

 

Nel rispetto delle sensibilità e delle convinzioni di ognuno - soprattutto di chi proviene da percorsi impegnativi, sentiti, e si è nutrito di determinati valori - sarebbe stata opportuna una riflessione maggiore sull'istituzione del 17 marzo come festa nazionale. Infatti, non si può dar torto a quei leghisti ragionevoli, quando sostengono che nel Paese la questione delle celebrazioni per il 150° dell'unificazione statale della Penisola italiana, viene avvertita con accezioni differenti.
Ed i termini non sono casuali. Parliamo infatti di unificazione statale proprio perché già da diversi secoli il territorio italico era unito da un idem sentire, ossia da quella che in molti hanno definito nazione culturale. E già questo porrebbe degli interrogativi su cui riflettere: il 17 marzo 1861, infatti, non è stato e non poteva assolutamente essere l'atto di nascita dell'Italia, così come è erroneo pensare che la nazione italiana sia venuta al mondo con il Risorgimento. Ma poi, festeggiare che cosa esattamente? L'annessione dei diversi territori al Piemonte sabaudo? Il fatto che al posto di diversi regni italici, liberi, cattolici e popolari, ne è stato sostituito uno, anti-cristiano ed asservito, quello si, a potenze straniere? La creazione di uno stato-nazione unitario sul modello giacobino? Insomma, nessuno ancora ce lo ha spiegato bene…
In realtà, l'occasione del 150° va sfruttata diversamente: partendo da un sano e doveroso revisionismo sul risorgimento e sui danni culturali da esso prodotti (Vittorio Messori ha scritto belle pagine sul tema), il discorso va esteso alle modalità dell'unificazione (la letteratura comincia ad essere abbondante) e all'esigenza di riscoprire una identità italiana ben più antica rispetto a quella propagandata dai vari Garibaldi, Mazzini e via dicendo. Davvero siamo così masochisti e così poco innamorati della nostra Patria, per ignorare tutto quello che c'era prima del 1861 e fissare a questa data l'atto di nascita dell'Italia? Solo un secolo e mezzo di storia, con le sue luci e le sue ombre, ci apparterrebbe come italiani? La verità è che si può e si deve rafforzare l'italianità partendo dalle sue radici più autentiche ed antiche, e questo comporta, necessariamente, rivedere la vulgata ufficiale sul periodo risorgimentale. Ma poi, "risorgere" da cosa? Prima di questa ideologia eravamo per caso morti? E Dante? Machiavelli? Giotto? San Francesco? Federico II? Soltanto ironizzando su un grande abuso di sostanze allucinogene, è possibile comprendere che qualcuno, davanti al fatto incontestabile che gli italiani e la cultura nazionale dominavano sull'intera Europa – e non solo – per secoli, abbia poi parlato di popolo "calpesto e deriso"… Ma quando? Dove? Da chi? Eravamo l'Italia dei mille territori, delle Università, della Cultura, dell'Arte, del Diritto, dell'Impero, della Chiesa…
Altro che derisi: rispettati ed invidiati, questo eravamo! E tutti ci consideravano per quello che eravamo, ossia italiani. Certo, italiani del Regno di Sicilia, o italiani del Piemonte, italiani della Repubblica Veneta o Italiani dello Stato Pontificio. Ma italiani comunque. Insomma, si dovrebbe, tenendo presente – limitandola certamente - l'esigenza tutta territoriale leghista, fare un discorso squisitamente complessivo e nazionale, sì da uscire da un lato dalla retorica che non sarebbe compresa da nessuno e che andrebbe a cozzarsi con la realtà storica, e dall'altro per non incorrere in fenomeni di nostalgie, di revanscismi o di egoismi di parte. Solo a quel punto, si potrebbe decidere una data, anche lo stesso 17 marzo, che sancisca l'appartenenza ad una Patria, l'orgoglio di essere italiani, la capacità di fare sintesi tra le tante diversità. Non è detto che questa linea passi, perché il discorso culturale sul punto è complesso, cozza con decenni di propaganda, e forti sono le pressioni di chi - sinistra e finiani in testa - non ha che come riferimento culturale il patriottismo risorgimentale e costituzionale, ossia quanto di più anti-tradizionale possa essere stato impiantato in Italia. E quanto di più vuoto e grigio possa percepire il popolo reale.
Anche se, ad onor del vero, c'è chi anche a destra in quei valori ha creduto, ci crede, e con passione porta avanti la propria visione del mondo. Per uscire dall'empasse senza lacerazioni , però, se proprio non si riesce ad avviare un approfondimento condiviso, la soluzione potrebbe essere demandata alle amministrazioni locali e alle realtà associative, perché non sarà certo una festa in più o in meno, se improvvisata, a modificare i termini della questione. I territori, infatti, dovrebbero essere le sedi più consone per raccogliere certe sensibilità e ricostruire la storia partendo dai fatti, ed al contempo avvertire l'esigenza di un qualcosa che unisca, che coordini, che abbracci: l'Italia, appunto. Ed è li che la natio deve farsi sentire, pulsare, vivere.
Eccola l'Italia reale, la nostra Patria, quella vera, e non quella raccontata per troppo tempo nel libro Cuore.

 

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