..c’erano quattro candele accese…: la prima si lamentava: “Io sono la pace. Ma gli uomini preferiscono la guerra: non mi resta che lasciarmi spegnere”. E così accadde. La seconda disse: “Io sono la fede. Ma gli uomini preferiscono le favole: non mi resta che lasciarmi spegnere”. E così accadde. La terza candela confessò: “Io sono l’amore. Ma gli uomini sono cattivi e incapaci di amare: non mi resta che lasciarmi spegnere”. All’improvviso nella stanza comparve un bambino che, piangendo, disse: “Ho paura del buio”. Allora la quarta candela disse: “Non piangere. Io resterò accesa e ti permetterò di riaccendere con la mia luce le altre candele: io sono la speranza”.»
Attorno al simbolo del cero acceso si sviluppa anche la parabola ebraica
sopra sintetizzata: essa mette in scena simbolicamente la pace, che
nella Bibbia è il grande dono messianico, e le tre virtù teologali.
Anche in questo racconto al centro c'è un bambino, come il neonato Gesù
del testo evangelico (Luca 2, 22-40): è lui a far sfavillare nuovamente
le candele spente.
Sì, perché sulla storia il sudario delle tenebre si allarga spegnendo le
luci della pace, dono sempre sospirato, della fede che allarga gli
orizzonti e dell'amore che riscalda la vita. Rimane l'ultimo filo di
luce, quello della candela della speranza. Ad essa si rivolge il bambino
per riportare in vita la pace, la fede e l'amore. Anche le nostre
riflessioni quotidiane sono spesso segnate dallo sconforto e dal
realismo che ci induce giustamente a non ignorare il male del mondo. Ma
l'ultima parola dovrebbe essere sempre quella della speranza, «il
rischio da correre, anzi, il rischio dei rischi» (G. Bernanos) che
riesce a far sbocciare la luce.
Fonte:
http://www.avvenire.it/Rubriche/Pagine/Il%20mattutino/le%20quattro%20candele.aspx?Rubrica=Il%20mattutino
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