Continua il nostro dibattito sulla questione delle migrazioni: vogliamo ora riprendere dei discorsi e delle citazioni di Benedetto XVI e di S. Giovanni Paolo II sul "diritto a non emigrare".
Per cominciare, riportiamo alcuni punti salienti del
Messaggio per la Giornata mondiale delle Migrazioni del 2013 [1], nel quale Benedetto XVI evidenzia che la migrazione comporta diritti e doveri:
"Cari fratelli e sorelle!
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes,
ha ricordato che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (n.
40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli
uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono,
sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei
discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi
eco nel loro cuore» (ibid., 1). [...] Nella mia Enciclica Caritas in veritate
ho voluto precisare, sulla scia dei miei Predecessori, che «tutta la
Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e
opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale
dell’uomo» (n. 11),
riferendomi anche ai milioni di uomini e donne che, per diverse
ragioni, vivono l’esperienza della migrazione. In effetti, i flussi
migratori sono «un fenomeno che impressiona per la quantità di persone
coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche,
culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone
alle comunità nazionali e a quella internazionale» (ibid., 62),
poiché «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede
diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in
ogni situazione» (ibidem). [...]
In effetti, fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di
tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una
vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle
la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo
stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio
non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le
ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza
di un futuro ritorno alla terra d’origine. Fede e speranza, dunque,
riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano, consapevoli che con
esse «noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un
presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una
meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è
così grande da giustificare la fatica del cammino» (Enc. Spe salvi, 1). [...]
La Chiesa e le varie realtà che ad essa si ispirano sono chiamate, nei
confronti di migranti e rifugiati, ad evitare il rischio del mero
assistenzialismo, per favorire l’autentica integrazione, in una società
dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere
dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno
diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri.[...]
Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di
attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma
sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il
diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione
conciliare Gaudium et spes
al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per
ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore
realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel
contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a
emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in
condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II
che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria:
diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente
sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998).
Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di
precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità
naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio
animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa
allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono
più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria.
Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e
vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente
d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità
e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti
umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui
vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri,
attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma
anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la
società in cui si inseriscono. [...]
Rallegratevi poiché il Signore vi è vicino e, insieme con Lui, potrete
superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro delle testimonianze di
apertura e di accoglienza che molti vi offrono. Infatti, «la vita è come
un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un
viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere
stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere
rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per
antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per
giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone
che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento
per la nostra traversata» (Enc. Spe salvi, 49).
Degni di nota sono anche alcuni commenti di un intellettuale francese,
Philippe de Villiers [2], che cita anche il cardinale Robert Sarah:
"Papa Francesco propone di annullare ogni differenza tra i
clandestini, gli immigrati legali e i cittadini. Risultato: la
cittadinanza appare come un concetto obsoleto di fronte al “diritto
assoluto d’installazione per i migranti”. Il multiculturalismo promosso
da Francesco diverrebbe secondo lui il solo modello conforme al
Vangelo. Il Migrante, con la M maiuscola, appare in una visione quasi
cristica. Il patriottismo diventa un peccato. Non si potrebbe essere
cattolico e patriota: è la doxa dei mondialisti.
…Mai, in nessun momento, il papa parla dell’immensa angoscia
materiale, morale e spirituale dei cittadini dei paesi d’accoglienza,
della loro insicurezza e del loro confronto tanto doloroso su base
quotidiana con un’altra società dai costumi incompatibili.
La sollecitudine di papa Francesco è emiplegica: anzitutto per i paesi d’accoglienza inondati, poi per i paesi d’Africa – Nel suo libro “Dio o Niente”
il cardinal Sarah chiede agli africani di sviluppare l’Africa e non
sradicarsi. Altrimenti saranno infelici, perché un uomo sradicato è un
uomo impoverito, tagliato via dalla sua linfa e dalla sua memoria."
Tanti uomini e donne che oggi sono sradicati, si possono identificare non solo negli africani, ma anche nei sud europei di Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, oppressi sia dalle politiche di austerità, dettate dalla Banca Centrale Europea (a tutti gli effetti,
esecutrice degli ordini di banche d'affari di oltreoceano) che dalle classi politiche corrotte delle nazioni d'origine.
Ultimi commenti, ma non meno interessanti, visti soprattutto i santi e gli pontefici citati, sono quelli di
Laurent Dandrieu [2]:
“Il papa prende posizione per la difesa dei diritti e dignità dei
migranti, indipendentemente dal loro statuto immigratorio”: insomma
reclama diritti uguali per i legali e gli illegali. E tra questi diritti
mette “la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità
di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione”: è un premio
all’illegalità. Un attentato fortissimo ai diritti delle nazioni e
della cittadinanza. Perché la cittadinanza non esiste che per consenso
sulla legittimità della legge. Se si postula che la legge è fatta per
essere aggirata, non c’è più bene comune possibile”:
“San Tommaso d’Aquino scrive: “è proprio della pietà rendere culto ai
genitori e alla patria” e , seguendo Sant’Agostino, sancisce che si
deve la carità in priorità a coloro che ci sono prossimi per legami di
snague e di cittadinanza. Leone XIII scrive che “la legge naturale ci
ordina di amare di un amore di predilezione e di dedizione il paese in
cui siamo nati e cresciuti”. Pio XII insegna che “nell’esercizio della
carità esiste un ordine stabilito da Dio, per cui si deve portare un
amore più intenso e fare del bene di preferenza a coloro cui siamo
uniti da legami speciali. Lo stesso Divin Maestro diede l’esempio di
questa preferenza verso la sua terra ed il suo popolo quando pianse per
l’imminente distruzione della Città santa”.
Giovanni Paolo II ha molto sviluppato questa “teologia delle
nazioni”, nazioni che egli non vede solo come un bene politico e uno
strumento al sevizio del bene comune, ma a cui riconosce una dignità
spirituale eminente: la nazione, spiega, di tutte le comunità umane, è
“la più importante per la storia spirituale dell’uomo” . Va fino ad
affermare che “la fedeltà all’identità nazionale possiede anche un
valore religioso”.
…Papa Francesco scrive anche: “L’integrazione non è un’assimilazione
che porta a sopprimere o dimenticare la propria identità culturale”. Il
problema è che questo multiculturalismo sbocca di fatto in un rifiuto
di considerare la cultura del paese d’accoglienza come una cultura di
riferimento, ciò che rende de facto l’integrazione illusoria."
Fonti:
[1] http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/messages/migration/documents/hf_ben-xvi_mes_20121012_world-migrants-day.html
[2] http://www.maurizioblondet.it/cattolici-francesi-papa-francesco-suo-immigrazionismo/