Cavalleria Cristiana

"È autentica Cavalleria Cristiana quella dei Cavalieri Erranti, nel duplice senso di andare ed errare, simili ai saggi e giusti di Dio, i quali si ritirano di tanto in tanto nella fortezza della Tradizione Interiore per dare la scalata alle vette dello Spirito" Primo Siena

mercoledì 24 agosto 2011

Vacanze sì, ma non dal pensiero!

di Adolfo Morganti

Agosto, si sa, è tempo di ferie ed è sinonimo di vacanze. Eppure, il discorso non è così scontato come potrebbe apparire prima facie; almeno se non ci si vuole limitare ad un generico e sostanzialmente vacuo augurio.
Perché se è vero che ognuno di noi ha bisogno di periodi di “riposo”, non è poi così ovvio che la modernità “occidentale” riconosca – ed anzi abbia lasciato sopravvivere – quello che i latini chiamavano otium e che il Medioevo cristiano riuscì a trasformare in vita contemplativa.
Quello che infatti cerca mediamente oggi un lavoratore più o meno giovane – comunque figlio dei tempi – è il c.d. “svago”, o un generico e non ben definito “divertimento”.
Cosa naturale si dirà. Falso. Perché essi sono figli della modernità, così come lo è il concetto di “tempo libero”: tanto è vero, che quest’ultimo è stato fortemente promosso dai regimi totalitari al fine di costruire l’uomo nuovo anche nei momenti in cui l’essere umano non si adoperava sul lavoro.
Si obietterà che oggi non ci sono più, almeno in Europa, totalitarismi. Politicamente forse no, ma culturalmente siamo bombardati ogni giorno dalla dittatura della società dei consumi.
Ed ecco che quindi il “nostro” (rectius il loro…) modello sociale ci indica – meglio dire ci impone -  l’idea secondo la quale il c.d. tempo libero vada organizzato in attività parallele, mentre le ferie vadano godute divertendosi e spendendo. Ossia alienandosi completamente dalla realtà e soprattutto dalla riflessione.
Esattamente tutto il contrario di quanto facessero i nostri avi romani e gli uomini del medioevo.
L’otium, infatti, era considerato molto positivamente, e basilare alla vita sociale come il negotium, e questo al fine di alimentare la riflessione, ammirare le bellezze della natura, favorire una certa speculazione intellettuale, vuoi anche godersi le piccole cose della quotidianità.
Ma è nel periodo dell’Età di mezzo che il concetto, fortemente influenzato dal cristianesimo, raggiunge il suo lato più alto ed umano. Il tempo speso a contemplare la Natura, la Bellezza, a respirare l’incenso di una Chiesa o l’aria pura di una montagna, è finalizzato alla scoperta di Dio, e dunque è un tempo benedetto e sacro, che non può e non deve essere sacrificato.
Si potrebbe ribattere affermando che all’epoca non tutti si dedicassero a questo, e che in tantissimi dovessero comunque lavorare, con durezza, la terra.
Ora, a parte che San Benedetto, tramite la famosa regola, sancì l’assoluta compatibilità ed affinità tra culto della terra e culto dello spirito, c’è da sottolineare il fatto che la vita lavorativa media di un contadino medievale era di gran lunga più vivibile ed indubbiamente più a misura d’uomo rispetto a quella di un moderno operaio o di un impiegato: nessun monte ore da rispettare, nessun cartellino da timbrare, tempi di lavoro scanditi solo dalla luce solare, continue pause per le numerosissime feste liturgiche e tradizionali che animavano la vita del villaggio.
I risultati di tanto tempo dedicato alla riflessione, alla contemplazione, alla pace interiore, alla preghiera, non erano tangibili solo sotto il piano strettamente personale nelle forme – tipicamente moderne – del benessere pisco-fisico: molti degli stessi, infatti, hanno avuto ricadute sociali ancora visibili tutt’oggi; lo sviluppo dell’arte, il culto del bello, la speculazione filosofica e persino la medicina raggiunsero infatti vette elevatissime.
E questo proprio perché si aveva il tempo di pensare, di osservare, di contemplare. E soprattutto perché vi era una continua ricerca verso la perfezione, un’incessante tensione verso l’Alto favorita anche da una società gerarchica ed aristocratica che aveva il suo vertice nell’Imperatore e nel Papa, rappresentanti – paritari – di Dio in terra.
Oggi, invece, i termini sono completamente invertiti: si tende verso il basso, verso il livellamento, sintomi questi della massificazione egualitaria e (pseudo)democratica, dove il tempo libero serve a spegnere la mente.
La frase più in voga del resto pare essere “sono in vacanza, non voglio pensare a niente”. Ora, lasciando ai linguisti la risposta al quesito se due negazioni siano, in questo caso, affermative, e ai filosofi quella alla questione se il Niente, in quanto tale, possa essere pensato, certo è che l’atteggiamento di chi cerca l’alienazione da sé è anti-umana oltre che anti-razionale.
D’altronde, è tipicamente nichilista farsi stordire ogni notte da rumori elettronici che – non si sa bene in base a quale canone estetico – vengono chiamati musica…  E se non segui il trend della “movida” sei “vecchio” o sei “out”… Per non parlare poi di droghe chimiche ed alcool.
Cos’è, non si dovrebbe bere? Nulla di più falso!
Però, anche su questo punto, va rilevata una differenza di fondo rispetto al passato, o meglio ad un passato che risulta essere più evoluto, razionale ed umano del nostro tempo: il vino, la birra, fanno parte della cultura “occidentale”, così come altre bevande alcoliche sono da sempre presenti sulle tavole delle diverse popolazioni della terra.
Ma è questo il punto: sono presenti proprio sulle tavole, dove si socializza, dove si crea un rapporto di fedeltà, perché non si mangia con chi è nemico (la nostra cultura ha ben presente il concetto di tradimento a tavola…), e dove ci si può lasciare andare ad ogni sorta di confidenza (in vino veritas…). E si beve stando seduti, lasciando che tutto ruoti intorno alla discussione, alla parola, al logos (parola, ma anche ragione) che irrompe.
Oggi, al contrario, si beve stando spesso – per non dire sempre – in piedi, fuori casa o lontano da un luogo confidenziale, ed è difficile affrontare qualsiasi discussione vuoi per il frastuono “musicale”, vuoi perché la discussione in sé è troppo impegnativa per chi vuole, come si diceva, non pensare.
Dunque vacanze rovinate? Consigli per gli acquisti? Morale a tutto tondo?
Ma assolutamente nulla di tutto questo : semplice e banale osservazione della realtà, vuoi con una buona dose di approssimazione e di generalizzazione, vuoi con un sottile velo di ironia. Ma questi sono i tempi del social network e dell’informazione veloce, dove tutto scorre (ma Eraclito non c’entra) e dove passa, forse, un solo concetto.
E dunque è necessario lasciare gli approfondimenti, le riflessioni, le scoperte, a tutti coloro che vorranno godersi una vacanza completamente contemplativa: sia essa al mare, in campagna, in montagna, in casa propria, l’importante che sia, ontologicamente e culturalmente, il più lontano possibile dai ritmi violenti e dalla mode imposte dalla tirannide modernista.
La mente ed il cuore, oltre che lo spirito ed il corpo, indubbiamente ringrazieranno.

 

venerdì 19 agosto 2011

Benedetto XVI: l'economia deve avere un'etica


P Lombardi: Santità, i tempi cambiano. L’Europa e il mondo occidentale in generale vivono una crisi economica profonda, ma che manifesta anche dimensioni di grave disagio sociale e morale e di grande incertezza per il futuro, che diventano particolarmente dolorose per i giovani. Nei giorni scorsi abbiamo visto, ad esempio, i fatti avvenuti in Gran Bretagna, con scatenamento di ribellione o di aggressività. Allo stesso tempo ci sono segni di impegno generoso ed entusiasta, di volontariato e solidarietà, di giovani credenti e non credenti. A Madrid incontreremo moltissimi giovani meravigliosi. Quali messaggi può dare la Chiesa per la speranza e l’incoraggiamento dei giovani del mondo, soprattutto quelli che sono oggi tentati di scoraggiamento e di ribellione?
Benedictus PP. XVI: Ecco. Si conferma nell’attuale crisi economica quanto è già apparso nella precedente grande crisi, che la dimensione etica, cioè, non è una cosa esteriore ai problemi economici, ma una dimensione interiore e fondamentale. L’economia non funziona solo con un’autoregolamentazione di mercato, ma ha bisogno di una ragione etica per funzionare per l’uomo. E appare di nuovo quanto aveva già detto nella sua prima enciclica sociale Papa Giovanni Paolo II, che l’uomo dev’essere il centro dell’economia e che l’economia non è da misurare secondo il massimo del profitto, ma secondo il bene di tutti, include responsabilità per l’altro e funziona veramente bene solo se funziona in modo umano, nel rispetto dell’altro. E con le diverse dimensioni: responsabilità per la propria Nazione e non solo per se stessi; responsabilità per il mondo – anche una Nazione non è isolata, anche l’Europa non è isolata, ma è responsabile per l’intera umanità e deve pensare ai problemi economici sempre in questa chiave della responsabilità anche per le altre parti del mondo, per quelle che soffrono, hanno sete e fame, non hanno futuro. E quindi – terza dimensione di questa responsabilità – è la responsabilità per il futuro. Sappiamo che dobbiamo proteggere il nostro pianeta, ma dobbiamo proteggere – tutto sommato – il funzionamento del servizio del lavoro economico per tutti e pensare che il domani è anche l’oggi. Se i giovani di oggi non trovano prospettive nella loro vita, anche il nostro oggi è sbagliato e “male”. Quindi, la Chiesa con la sua dottrina sociale, con la sua dottrina sulla responsabilità verso Dio, apre la capacità di rinunciare al massimo del profitto e di vedere le cose nella dimensione umanistica e religiosa, cioè: essere l’uno per l’altro. Così si possono anche aprire le strade. Il grande numero di volontari che lavorano in diverse parti del mondo, non per sé ma per l’altro, e trovano proprio così il senso della vita, dimostrano che è possibile fare questo e che un’educazione a questi grandi scopi, come cerca di fare la Chiesa, è fondamentale per il nostro futuro.

lunedì 15 agosto 2011

C'era una volta in Europa...

di Massimo Fini

Se vi dicessi che c'è in Europa un Paese dove non esiste la disoccupazione, non esiste il lavoro precario, non esiste il problema dei pendolari, non esiste l'inflazione, dove le tasse sono al 10%, dove ognuno possiede una casa e quanto basta per vivere e quindi non ci sono poveri, mi prendereste per matto. E avreste ragione. Perchè questo è il Paese che non c'è. Ma è esistito. E' esistito un mondo fatto così. E si chiama Medioevo Europeo.
La disoccupazione appare, come fenomeno sociale, con la Rivoluzione industriale. Prima, con una popolazione formata al 90/95% da agricoltori e artigiani, ognuno, o quasi, viveva sul suo e del suo, aveva, nelle forme della proprietà o del possesso perpetuo, una casa e un terreno da coltivare. E anche i famigerati 'servi della gleba' (i servi casati), comunque una realtà marginale, se è vero che non possono lasciare la terra del padrone non ne possono essere nemmeno cacciati. Non esisteva il precariato perchè il contadino lavora tutta la vita sulla sua terra e l'artigiano nella sua bottega che è anche la sua casa (per questo non esiste nemmeno il pendolarismo). Il giovane apprendista non percepisce un salario, ma il Maestro ha il dovere, oltre che di insegnargli il mestiere, di fornirgli alloggio, vitto e vestiti (due, uno per la festa, l'altro per i giorni lavorativi; ma, in fondo, abbiamo davvero bisogno di più di due vestiti?). Dopo i sette anni di apprendistato il giovane o rimarrà in bottega, pagato, o ne aprirà una propria. Senza difficoltà perchè c'è posto per tutti. Gli statuti artigiani infatti proibiscono ogni forma di concorrenza e quindi, di fatto, la formazione di posizioni oligopoliste. Per tutelare però l'acquirente (oggi diremo 'il consumatore') gli statuti stabiliscono regole rigidissime per garantire la qualità del prodotto.

Nelle campagne il fenomeno del bracciantato si creò quasi a ridosso della Rivoluzione industriale quando i grandi proprietari terrieri cominciarono a recintare i loro campi (enclosure) rompendo così il regime delle 'terre aperte' (open fields) e delle servitù comunitarie (ad uso di tutti) su cui si era retto per secoli lo straordinario ma delicato equilibrio del mondo agricolo. Per molti contadini, non avendo più il supporto delle servitù, la propria terra non era più sufficiente a sostentarli. Ma fu un fenomeno tardo. Perchè la concezione di quel mondo, contadino o artigiano, era che ogni nucleo familiare doveva avere il proprio spazio vitale. Scrive lo storico Giuseppe Felloni: "Le terre sono divise con criteri che antepongono l'equità distributiva all'efficenza economica".

Le imposte, comprendendovi quelle statali, quelle dovute al feudatario, nella forma di prelievo sul raccolto e di corvèes personali, la 'decima' alla Chiesa, non superarono mai il 10%. E' vero che anche i servizi erano minimi, ma per molti aspetti di quello che noi oggi chiamiamo 'welfare' sovveniva la Chiesa, naturalmente nei modi consentiti dai tempi.

Non esisteva l'inflazione. I prezzi rimanevano stabili per decenni. Una delle rare eccezioni fu la Spagna degli inizi del XVII secolo a causa dell'oro e dell'argento rapinati agli indios d'America. E nel suo 'Memorial' Gonzales de Collerigo scrisse con sarcastica lucidità: "Se la Spagna è povera è perchè è ricca". Che è poi la paradossale condizione in cui si trovano molti Paesi industrializzati di oggi.

In quel mondo, per quanto a noi appaia incredibile, non esistevano i poveri. Il termine 'pauperismo' nasce nell'opulenta Inghilterra degli anni '30 dell'Ottocento. Fu Alexis de Tocqueville, uno dei padri del mondo moderno, ad accorgersi per primo dello sconcertante fatto che nel Paese del massimo sforzo produttivo e industriale c'era un povero ogni sei abitanti mentre in Spagna e Portogallo, dove il processo era appena agli inizi, la proporzione era di 1 a 25 e che nei Paesi e nelle regioni non ancora toccate dalla Rivoluzione industriale non c'erano poveri. Perchè è la ricchezza dei molti, alzando il costo della vita, a rendere poveri tutti gli altri. Che è quanto sta accadendo oggi in Russia, in Cina, in Albania, in Afghanistan e persino in Italia.

mercoledì 3 agosto 2011

Iraq, la tragedia e la speranza di Andrea Tornielli

Il 2010 è stato l’anno peggiore per la comunità cristiana in Iraq. Lo denuncia l’organizzazione per i diritti umani in Iraq Hammurabi, riportata dall'agenzia Asianews. «Molti cristiani sono stati costretti a lasciare il Paese nel timore di uccisioni e violenze di ogni tipo».
Il bilancio delle vittime tra i cristiani negli ultimi sette anni, secondo Hammurabi, supera la 822 persone. 629 di loro sono stati assassinati per il fatto di far parte della minoranza cristiana. Altri 126 sono rimasti coinvolti in attentati di vario genere; altri ancora sono rimasti vittime di operazioni militari compiute dalle forze americane e irachene. Il 13% delle vittime sono donne. Fra le vittime cristiane del 2010 si contano 33 bambini, 25 anziani e 14 religiosi. Nell’anno 2010 Hammurabi registra 92 casi di cristiani uccisi e 47 feriti; 68 a Baghdad, 23 a Mosul e uno a Erbil.
Mi scuserete se ancora una volta ricordo la profetica posizione di Giovanni Paolo II, che già anziano e piegato dalla malattia, scongiurò di non fare la guerra in Iraq. Quella guerra fatta per «disarmare» Saddam Hussein delle armi di distruzione di massa che non aveva e che nessuno ha mai trovato.
Ma Asianews ricorda anche i segnali di speranza. Il 4 luglio il patriarca caldeo Emmanuel Delly III, ha incontrato massima autorità religiosa sciita irachena, Ali al Sistani, e ha sottolineato che si è trattato di «una visita fraterna, per ribadire l’unità dell’Iraq e degli iracheni musulmani e cristiani». La settimana scorsa a Kirkuk, a nord di Baghdad, è stata inaugurata la prima chiesa costruita dopo l’invasione dell’Iraq del 2003, su un terreno donato dal governo iracheno con il contributo del presidente Jalal Talabani, e finanziata dalle offerte dei cristiani iracheni.